La facoltà attribuita a una delle parti contrattuali di apportare unilateralmente variazioni al regime negoziale originariamente concordato si pone in dissonanza con il dogma secondo cui il contratto «ha forza di legge tra le parti» e non può essere modificato o sciolto se non su base consensuale La circostanza che nel codice civile non vi sia un esplicito riferimento all’istituto della modifica unilaterale, se non in relazione a singoli tipi contrattuali, viene imputata, infatti, a una sostanziale resistenza del legislatore a riconoscere valenza sistemica a uno strumento che si ritiene, in distonia con il principio generale della vincolatività del contratto. Ne consegue che ogni modifica delle condizioni negoziali in essere – specie se in peius per la parte che la subisce – dovrebbe derivare, in linea teorica, da una rinegoziazione ed essere esercitata nel rispetto di determinati limiti e condizioni, in chiave di tutela delle posizioni soggettive dei paciscenti e, in particolare, di quello qualificabile come “debole”. Il presente lavoro si occupa delle declinazione teorica in ambito bancario della modifica unilaterale, quale strumento di revisione dell’assetto contrattuale, che si connota per una risalente attribuzione alle banche (anche in chiave di autoregolamentazione settoriale) del privilegio di intervenire sui contenuti di un rapporto in corso di esecuzione, per il tramite di una clausola specifica inserita nelle condizioni generali e in applicazione di un’espansione (per alcuni versi forzata) del principio di autonomia delle parti.
La modifica unilaterale dei contratti bancari: profili evolutivi e ambito applicativo
Gennaro Rotondo
2023
Abstract
La facoltà attribuita a una delle parti contrattuali di apportare unilateralmente variazioni al regime negoziale originariamente concordato si pone in dissonanza con il dogma secondo cui il contratto «ha forza di legge tra le parti» e non può essere modificato o sciolto se non su base consensuale La circostanza che nel codice civile non vi sia un esplicito riferimento all’istituto della modifica unilaterale, se non in relazione a singoli tipi contrattuali, viene imputata, infatti, a una sostanziale resistenza del legislatore a riconoscere valenza sistemica a uno strumento che si ritiene, in distonia con il principio generale della vincolatività del contratto. Ne consegue che ogni modifica delle condizioni negoziali in essere – specie se in peius per la parte che la subisce – dovrebbe derivare, in linea teorica, da una rinegoziazione ed essere esercitata nel rispetto di determinati limiti e condizioni, in chiave di tutela delle posizioni soggettive dei paciscenti e, in particolare, di quello qualificabile come “debole”. Il presente lavoro si occupa delle declinazione teorica in ambito bancario della modifica unilaterale, quale strumento di revisione dell’assetto contrattuale, che si connota per una risalente attribuzione alle banche (anche in chiave di autoregolamentazione settoriale) del privilegio di intervenire sui contenuti di un rapporto in corso di esecuzione, per il tramite di una clausola specifica inserita nelle condizioni generali e in applicazione di un’espansione (per alcuni versi forzata) del principio di autonomia delle parti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.