Il saggio parte dal dato empirico della diffusione delle indagini di customer satisfaction e indaga sulla rilevanza che esse possono avere sui rapporti di lavoro. Sebbene tali strumenti, volti in primo luogo alla costruzione di capitale reputazionale, rispondano a logiche estranee al contratto di lavoro, di fatto essi consentono all’impresa di acquisire informazioni circa diversi aspetti del servizio reso e, con esso, della prestazione lavorativa. Lo scritto si sofferma proprio sulla interferenza empirica tra lo strumento di marketing e la gestione dei rapporti di lavoro, che si mostra evidente soprattutto nel mercato digitale di beni o servizi sviluppato dalle piattaforme informatiche, ove le valutazioni dei clienti non solo possono determinare l’estinzione del rapporto stesso ma comunque condizionano l’affidamento del lavoro, la sua collocazione oraria e il compenso percepito. Sottolineando come le informazioni che il cliente fornisce all’impresa siano influenzate da aspettative, abitudini, gusti personali e finanche pregiudizi, l’A. esclude che l’adozione di sistemi di misurazione del gradimento degli utenti possa costituire un mezzo di controllo sulla prestazione e, sempre sulla base della differenza tra fatto e valutazione personale, nega la rilevanza disciplinare dei dati così acquisiti. In particolare, ritiene che la valutazione negativa non possa né assurgere a indice di violazione dell’obbligo di diligenza nè possa essere indicativa del rendimento negativo del lavoratore: il gradimento degli utenti non qualifica il debito di lavoro e dunque, secondo l’A., esso può rilevare solo in chiave incentivante attribuendogli rilevanza giuridica autonoma ai fini della quantificazione del compenso.

Customer satisfaction e rapporto di lavoro subordinato

Valeria Nuzzo
2020

Abstract

Il saggio parte dal dato empirico della diffusione delle indagini di customer satisfaction e indaga sulla rilevanza che esse possono avere sui rapporti di lavoro. Sebbene tali strumenti, volti in primo luogo alla costruzione di capitale reputazionale, rispondano a logiche estranee al contratto di lavoro, di fatto essi consentono all’impresa di acquisire informazioni circa diversi aspetti del servizio reso e, con esso, della prestazione lavorativa. Lo scritto si sofferma proprio sulla interferenza empirica tra lo strumento di marketing e la gestione dei rapporti di lavoro, che si mostra evidente soprattutto nel mercato digitale di beni o servizi sviluppato dalle piattaforme informatiche, ove le valutazioni dei clienti non solo possono determinare l’estinzione del rapporto stesso ma comunque condizionano l’affidamento del lavoro, la sua collocazione oraria e il compenso percepito. Sottolineando come le informazioni che il cliente fornisce all’impresa siano influenzate da aspettative, abitudini, gusti personali e finanche pregiudizi, l’A. esclude che l’adozione di sistemi di misurazione del gradimento degli utenti possa costituire un mezzo di controllo sulla prestazione e, sempre sulla base della differenza tra fatto e valutazione personale, nega la rilevanza disciplinare dei dati così acquisiti. In particolare, ritiene che la valutazione negativa non possa né assurgere a indice di violazione dell’obbligo di diligenza nè possa essere indicativa del rendimento negativo del lavoratore: il gradimento degli utenti non qualifica il debito di lavoro e dunque, secondo l’A., esso può rilevare solo in chiave incentivante attribuendogli rilevanza giuridica autonoma ai fini della quantificazione del compenso.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/439406
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