La Carta dei diritti fondamentali, che ha acquisito la stessa forza dei trattati dal 1° dicembre 2009, è stata oggetto in questi dieci anni di un tormentato percorso, i cui effetti vanno misurati sul terreno del diritto penale. Dopo aver generato l’aspettativa di un incremento del livello di protezione delle garanzie, essa è rimasta vittima di un certo disincanto, in larga parte riconducibile alle note vicende della ‘saga’ Taricco, letta da molti come il segnale di un arretramento pericoloso sul piano dei diritti fondamentali. Oggi, ribadita la centralità costituzionale e politico-criminale della Carta, si impone una lettura ravvicinata dei dati giurisprudenziali che emergono dalle Corti supreme. Lo scenario che si delinea, guardando alla Corte di Giustizia, si caratterizza — con l’eccezione degli strumenti del mutuo riconoscimento — per un approccio riduzionista e notevoli incertezze. Più articolato è il tracciato seguito dalla Corte Costituzionale, a far data perlomeno dal celebre obiter dictum contenuto nella sentenza n.269/2017, la quale ha stabilito che in caso di doppia pregiudizialità occorra esperire in via prioritaria la questione di legittimità costituzionale, così limitando il potere del giudice penale di dare applicazione ai diritti fondamentali di fonte eurounitaria. Tale enunciato, largamente commentato dalla dottrina giuspubblicistica, si intreccia con un crescente uso parametrico della Carta nella giurisprudenza costituzionale, la cui disamina permette tuttavia di cogliere una certa tendenza al contenimento degli effetti della stessa in ambito penalistico. Significative indicazioni di una rinnovata attenzione al tema emergono nelle più recenti pronunce della Consulta, specie nel 2019, dove si segnalano quattro importanti decisioni che segnano una reviviscenza del ruolo della Carta, forniscono una più chiara indicazione delle prerogative del giudice comune e gettano le basi per la costruzione di uno statuto garantistico dell’illecito amministrativo punitivo.

'Doppia pregiudizialità' e Carta dei diritti fondamentali: il sistema penale al cospetto del diritto dell'Unione europea nell'era del disincanto

Stefano Manacorda
2020

Abstract

La Carta dei diritti fondamentali, che ha acquisito la stessa forza dei trattati dal 1° dicembre 2009, è stata oggetto in questi dieci anni di un tormentato percorso, i cui effetti vanno misurati sul terreno del diritto penale. Dopo aver generato l’aspettativa di un incremento del livello di protezione delle garanzie, essa è rimasta vittima di un certo disincanto, in larga parte riconducibile alle note vicende della ‘saga’ Taricco, letta da molti come il segnale di un arretramento pericoloso sul piano dei diritti fondamentali. Oggi, ribadita la centralità costituzionale e politico-criminale della Carta, si impone una lettura ravvicinata dei dati giurisprudenziali che emergono dalle Corti supreme. Lo scenario che si delinea, guardando alla Corte di Giustizia, si caratterizza — con l’eccezione degli strumenti del mutuo riconoscimento — per un approccio riduzionista e notevoli incertezze. Più articolato è il tracciato seguito dalla Corte Costituzionale, a far data perlomeno dal celebre obiter dictum contenuto nella sentenza n.269/2017, la quale ha stabilito che in caso di doppia pregiudizialità occorra esperire in via prioritaria la questione di legittimità costituzionale, così limitando il potere del giudice penale di dare applicazione ai diritti fondamentali di fonte eurounitaria. Tale enunciato, largamente commentato dalla dottrina giuspubblicistica, si intreccia con un crescente uso parametrico della Carta nella giurisprudenza costituzionale, la cui disamina permette tuttavia di cogliere una certa tendenza al contenimento degli effetti della stessa in ambito penalistico. Significative indicazioni di una rinnovata attenzione al tema emergono nelle più recenti pronunce della Consulta, specie nel 2019, dove si segnalano quattro importanti decisioni che segnano una reviviscenza del ruolo della Carta, forniscono una più chiara indicazione delle prerogative del giudice comune e gettano le basi per la costruzione di uno statuto garantistico dell’illecito amministrativo punitivo.
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