Nell’era dell’ibridazione dei saperi e delle tecnologie, il design tende a spingere il suo ambito di azione oltre i consueti confini disciplinari per poter partecipare alla convergenza tra le nuove forme di tecnoscienza come biotecnologie, nanotecnologie, informatica e neuroscienze. L’incontro con le scienze emergenti, e con le loro derivazioni tecnologiche, schiude nuovi orizzonti di co-evoluzione in cui progettisti e scienziati imparano a intessere tra loro visioni e conoscenze attraverso molteplici prospettive, fermentandosi reciprocamente per approdare al comune obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone. Lo scenario nato dalla collaborazione tra design e nuove scienze è stato introdotto, nell’ambito dell’information design, da Will Burtin nella prima metà del secolo scorso, ma solo nel primo decennio di questo secolo, con l’esposizione Design and the Elastic Mind al MoMA di New York, curata da Paola Antonelli, si è affermato in modo dirompente con un grande riverbero mediatico. Dopo oltre dieci anni, però, sono ancora pochi i casi in cui la collaborazione tra designer e scienziati è davvero biunivoca e capace di tradurre i risultati della ricerca scientifica in oggetti e sistemi plausibili, fruibili dalle persone nel quotidiano, come Antonelli auspicava nel suo testo di introduzione al catalogo. Al mutualismo si interpongono resistenze culturali, filosofiche e relazionali. L’intento di questo lavoro è proporre una lettura critica delle opportunità e dei limiti che caratterizzano le diverse forme di convergenza tra design e scienze, condotta alla scala dello scenario internazionale contemporaneo, alla luce di una esperienza di oltre venti anni di ricerca e sperimentazione progettuale in questo ambito. Tale indagine, operata attraverso una visione trasversale alle diverse scienze con cui il design interagisce, si rivolge a ricercatori e progettisti che intendono percorrere questo nuovo universo di possibilità con consapevolezza e spirito critico.

Mutualismi tra Design e Scienze

LANGELLA, Carla
2019

Abstract

Nell’era dell’ibridazione dei saperi e delle tecnologie, il design tende a spingere il suo ambito di azione oltre i consueti confini disciplinari per poter partecipare alla convergenza tra le nuove forme di tecnoscienza come biotecnologie, nanotecnologie, informatica e neuroscienze. L’incontro con le scienze emergenti, e con le loro derivazioni tecnologiche, schiude nuovi orizzonti di co-evoluzione in cui progettisti e scienziati imparano a intessere tra loro visioni e conoscenze attraverso molteplici prospettive, fermentandosi reciprocamente per approdare al comune obiettivo di migliorare la qualità della vita delle persone. Lo scenario nato dalla collaborazione tra design e nuove scienze è stato introdotto, nell’ambito dell’information design, da Will Burtin nella prima metà del secolo scorso, ma solo nel primo decennio di questo secolo, con l’esposizione Design and the Elastic Mind al MoMA di New York, curata da Paola Antonelli, si è affermato in modo dirompente con un grande riverbero mediatico. Dopo oltre dieci anni, però, sono ancora pochi i casi in cui la collaborazione tra designer e scienziati è davvero biunivoca e capace di tradurre i risultati della ricerca scientifica in oggetti e sistemi plausibili, fruibili dalle persone nel quotidiano, come Antonelli auspicava nel suo testo di introduzione al catalogo. Al mutualismo si interpongono resistenze culturali, filosofiche e relazionali. L’intento di questo lavoro è proporre una lettura critica delle opportunità e dei limiti che caratterizzano le diverse forme di convergenza tra design e scienze, condotta alla scala dello scenario internazionale contemporaneo, alla luce di una esperienza di oltre venti anni di ricerca e sperimentazione progettuale in questo ambito. Tale indagine, operata attraverso una visione trasversale alle diverse scienze con cui il design interagisce, si rivolge a ricercatori e progettisti che intendono percorrere questo nuovo universo di possibilità con consapevolezza e spirito critico.
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