Poche malattie hanno conosciuto una storia tanto controversa come l’algodistrofia. La sua stessa denominazione ha subìto delle variazioni drastiche basate sulle prevalenti convinzioni patogenetiche succedutesi nelle diverse epoche della storia della medicina. La capacità mediatica di Silas Weir Mitchell, che descrisse diversi casi di causalgia da ferita da arma da fuoco accaduti durante la guerra di secessione americana, consentì la diffusione delle conoscenze su questa condizione clinica. Una successiva fondamentale tappa nella storia di questa patologia è legata al nome di Paul Sudeck che, utilizzando per la prima volta esami radiografici, descrisse reperti di atrofia ossea dopo un evento traumatico o infettivo dell’arto superiore. L’ipotesi patogenetica più accreditata, proposta da Rene Leriche e condivisa da James A. Evans, sosteneva un ruolo chiave del sistema nervoso simpatico nella comparsa dei segni e sintomi della patologia, che venne pertanto definita come reflex sympathetic dystrophy. Un anno dopo, un chirurgo americano, Philip S. Foisie, ipotizzò che fosse il vasospasmo arteriolare traumatico e il conseguente ridotto apporto nutritizio tissutale a causare alterazioni degenerative, soprattutto del sistema muscolo-scheletrico. Negli anni ’50 John J. Bonica, padre dell’algologia moderna e fondatore della IASP (International Association for the Study of Pain), propose la prima stadiazione della distrofia simpatico-riflessa in tre tempi. In una Consensus Conference, organizzata dalla IASP e tenutasi a Budapest nel 2003, fu proposto un nuovo sistema classificativo che prevedeva la presenza di almeno due segni clinici compresi in quattro categorie e almeno tre sintomi nelle relative quattro categorie. Il Comitato per la classificazione del dolore cronico della IASP ha accettato e codificato i criteri “Budapest” sia per la diagnosi clinica sia per la ricerca. Nel corso degli anni sono stati proposti altri criteri classificativi per la diagnosi delle sindromi algodistrofiche. Peter Veldman, un chirurgo olandese, ha proposto, nel 1993, criteri diagnostici basati sulla presenza di almeno 4 segni e sintomi della patologia (dolore diffuso, differenza nel colorito cutaneo tra i due arti, edema diffuso, differenza al termotatto tra i due arti, rigidità articolare), associati ad un peggioramento degli stessi in seguito all’utilizzo dell’arto e alla loro localizzazione in un’area distale rispetto a quella che ha subìto il danno. Lo stesso Veldman rilanciò l’ipotesi patogenetica infiammatoria, dovuta ad un’esagerata risposta flogistica regionale ad uno stimolo Complex regional pain syndrome (CRPS) type I: prospettiva storica e criticità Giovanni Iolascon1, Alessandro de Sire1, Antimo Moretti1, Francesca Gimigliano2 1Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche - Seconda Università di Napoli 2 Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva - Seconda Università di Napoli 9 Complex regional pain syndrome (CRPS) type I : prospettiva storica e criticità lesivo, già formulata da Sudeck negli ultimi anni della sua attività scientifica, e identificò forme primariamente fredde accanto alle più comuni forme primariamente calde di CRPS-I. I criteri diagnostici di Atkins, invece, sono decisamente più oggettivi di quelli proposti dalla IASP e risultano applicabili specificamente ad un contesto ortopedico. I sistemi classificativi e i relativi criteri diagnostici per la CRPS-I non comprendono però valutazioni strumentali e di imaging, ma si ba sano esclusivamente sul quadro clinico, non permettendo una stadiazione ottimale del processo patologico, soprattutto in ambito ortopedico. A nostro parere, una metodica di imaging dovrebbe essere inclusa nei criteri diagnostici della CRPS-I per meglio definire la stadiazione della patologia. Considerando l’ampio spettro di tipologia e di severità del quadro clinico, proponiamo un algoritmo (Figura 1) che potrebbe spiegare in modo semplice, ma esaustivo, i fattori fisiopatologici alla base della CRPS-I.

Complex regional pain syndrome (CRPS) type I: prospettiva storica e criticità

Giovanni Iolascon;Moretti A;Francesca Gimigliano
2015

Abstract

Poche malattie hanno conosciuto una storia tanto controversa come l’algodistrofia. La sua stessa denominazione ha subìto delle variazioni drastiche basate sulle prevalenti convinzioni patogenetiche succedutesi nelle diverse epoche della storia della medicina. La capacità mediatica di Silas Weir Mitchell, che descrisse diversi casi di causalgia da ferita da arma da fuoco accaduti durante la guerra di secessione americana, consentì la diffusione delle conoscenze su questa condizione clinica. Una successiva fondamentale tappa nella storia di questa patologia è legata al nome di Paul Sudeck che, utilizzando per la prima volta esami radiografici, descrisse reperti di atrofia ossea dopo un evento traumatico o infettivo dell’arto superiore. L’ipotesi patogenetica più accreditata, proposta da Rene Leriche e condivisa da James A. Evans, sosteneva un ruolo chiave del sistema nervoso simpatico nella comparsa dei segni e sintomi della patologia, che venne pertanto definita come reflex sympathetic dystrophy. Un anno dopo, un chirurgo americano, Philip S. Foisie, ipotizzò che fosse il vasospasmo arteriolare traumatico e il conseguente ridotto apporto nutritizio tissutale a causare alterazioni degenerative, soprattutto del sistema muscolo-scheletrico. Negli anni ’50 John J. Bonica, padre dell’algologia moderna e fondatore della IASP (International Association for the Study of Pain), propose la prima stadiazione della distrofia simpatico-riflessa in tre tempi. In una Consensus Conference, organizzata dalla IASP e tenutasi a Budapest nel 2003, fu proposto un nuovo sistema classificativo che prevedeva la presenza di almeno due segni clinici compresi in quattro categorie e almeno tre sintomi nelle relative quattro categorie. Il Comitato per la classificazione del dolore cronico della IASP ha accettato e codificato i criteri “Budapest” sia per la diagnosi clinica sia per la ricerca. Nel corso degli anni sono stati proposti altri criteri classificativi per la diagnosi delle sindromi algodistrofiche. Peter Veldman, un chirurgo olandese, ha proposto, nel 1993, criteri diagnostici basati sulla presenza di almeno 4 segni e sintomi della patologia (dolore diffuso, differenza nel colorito cutaneo tra i due arti, edema diffuso, differenza al termotatto tra i due arti, rigidità articolare), associati ad un peggioramento degli stessi in seguito all’utilizzo dell’arto e alla loro localizzazione in un’area distale rispetto a quella che ha subìto il danno. Lo stesso Veldman rilanciò l’ipotesi patogenetica infiammatoria, dovuta ad un’esagerata risposta flogistica regionale ad uno stimolo Complex regional pain syndrome (CRPS) type I: prospettiva storica e criticità Giovanni Iolascon1, Alessandro de Sire1, Antimo Moretti1, Francesca Gimigliano2 1Dipartimento Multidisciplinare di Specialità Medico-Chirurgiche e Odontoiatriche - Seconda Università di Napoli 2 Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva - Seconda Università di Napoli 9 Complex regional pain syndrome (CRPS) type I : prospettiva storica e criticità lesivo, già formulata da Sudeck negli ultimi anni della sua attività scientifica, e identificò forme primariamente fredde accanto alle più comuni forme primariamente calde di CRPS-I. I criteri diagnostici di Atkins, invece, sono decisamente più oggettivi di quelli proposti dalla IASP e risultano applicabili specificamente ad un contesto ortopedico. I sistemi classificativi e i relativi criteri diagnostici per la CRPS-I non comprendono però valutazioni strumentali e di imaging, ma si ba sano esclusivamente sul quadro clinico, non permettendo una stadiazione ottimale del processo patologico, soprattutto in ambito ortopedico. A nostro parere, una metodica di imaging dovrebbe essere inclusa nei criteri diagnostici della CRPS-I per meglio definire la stadiazione della patologia. Considerando l’ampio spettro di tipologia e di severità del quadro clinico, proponiamo un algoritmo (Figura 1) che potrebbe spiegare in modo semplice, ma esaustivo, i fattori fisiopatologici alla base della CRPS-I.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/419633
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact