Il dibattito sorto in merito al c.d. diritto contrattuale antidiscriminatorio solleva problemi di notevole rilevanza, involgendo la questione relativa alla pretesa antinomia tra autonomia negoziale e divieto di atti discriminatori. Alla luce delle previsioni normative contenute nei decreti legislativi n. 286 del 1998 e n. 215 del 2003, occorre individuare un impianto rimediale che assicuri l’effettività della tutela, in linea con le indicazioni di cui alla direttiva 43 del 2000. L’inquadramento sistematico dell’atto discriminatorio nonché la soluzione relativa ai rimedi applicabili sembra risentire di un equivoco di fondo, probabilmente ingenerato dalla interferenza, nelle fattispecie esaminate dalla dottrina, della tematica connessa alla compromissione dei diritti fondamentali. A fronte della generale identificazione nella fattispecie discriminatoria di un’ipotesi di illecito civile ex art. 2043 c.c., con conseguente riconduzione di tutti i rimedi esperibili dal soggetto discriminato – anche di quelli attinenti alla fase di esecuzione o al contenuto stesso del contratto – nell’àmbito del risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c., occorre individuare un diverso fondamento teorico che, sia pur conducendo talora al medesimo esito sostanziale, consenta di inquadrare piú correttamente la fattispecie in esame. Alla ricostruzione operata dalla dottrina in modo pressoché unanime ed ai corollari che ne derivano in tema di rimedio applicabile si può, dunque, obiettare, riconoscendo che la condotta contraria al divieto di discriminazione incide sulla qualificazione del negozio; la relativa tutela deve essere, pertanto, conseguentemente assicurata anche attraverso la disciplina giuridica del contratto, cioè oltre che attraverso provvedimenti di natura inibitoria o risarcitoria, anche mediante dichiarazioni di invalidità, adeguamento o conservazione del contratto in conformità a Costituzione. Di conseguenza, i rimedi contrattuali comuni, nella prospettiva criticata attuabili in via «accessoria» costituiscono, invece, i principali strumenti a tutela del soggetto discriminato; il risarcimento del danno costituirà elemento che si aggiunge alla tutela approntata dalla disciplina contrattuale, attenendo al solo profilo della violazione di un diritto della persona. Configurata l’attività di contrattazione quale potere diffuso, risulta piú agevole pretenderne lo svolgimento in modo conforme a princípi di matrice costituzionale e comunitaria.

La discriminazione nella contrattazione tra responsabilità civile e disciplina negoziale.

DE OTO, Valeria
2013

Abstract

Il dibattito sorto in merito al c.d. diritto contrattuale antidiscriminatorio solleva problemi di notevole rilevanza, involgendo la questione relativa alla pretesa antinomia tra autonomia negoziale e divieto di atti discriminatori. Alla luce delle previsioni normative contenute nei decreti legislativi n. 286 del 1998 e n. 215 del 2003, occorre individuare un impianto rimediale che assicuri l’effettività della tutela, in linea con le indicazioni di cui alla direttiva 43 del 2000. L’inquadramento sistematico dell’atto discriminatorio nonché la soluzione relativa ai rimedi applicabili sembra risentire di un equivoco di fondo, probabilmente ingenerato dalla interferenza, nelle fattispecie esaminate dalla dottrina, della tematica connessa alla compromissione dei diritti fondamentali. A fronte della generale identificazione nella fattispecie discriminatoria di un’ipotesi di illecito civile ex art. 2043 c.c., con conseguente riconduzione di tutti i rimedi esperibili dal soggetto discriminato – anche di quelli attinenti alla fase di esecuzione o al contenuto stesso del contratto – nell’àmbito del risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c., occorre individuare un diverso fondamento teorico che, sia pur conducendo talora al medesimo esito sostanziale, consenta di inquadrare piú correttamente la fattispecie in esame. Alla ricostruzione operata dalla dottrina in modo pressoché unanime ed ai corollari che ne derivano in tema di rimedio applicabile si può, dunque, obiettare, riconoscendo che la condotta contraria al divieto di discriminazione incide sulla qualificazione del negozio; la relativa tutela deve essere, pertanto, conseguentemente assicurata anche attraverso la disciplina giuridica del contratto, cioè oltre che attraverso provvedimenti di natura inibitoria o risarcitoria, anche mediante dichiarazioni di invalidità, adeguamento o conservazione del contratto in conformità a Costituzione. Di conseguenza, i rimedi contrattuali comuni, nella prospettiva criticata attuabili in via «accessoria» costituiscono, invece, i principali strumenti a tutela del soggetto discriminato; il risarcimento del danno costituirà elemento che si aggiunge alla tutela approntata dalla disciplina contrattuale, attenendo al solo profilo della violazione di un diritto della persona. Configurata l’attività di contrattazione quale potere diffuso, risulta piú agevole pretenderne lo svolgimento in modo conforme a princípi di matrice costituzionale e comunitaria.
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