Sono molti gli elementi che hanno portato ad una diffusione del contratto di associazione in partecipazione. L’assunzione della posizione di associante anche da parte di chi non è imprenditore (come avviene nel caso degli avvocati, come riconosciuto dall’art. 8, l. 31 dicembre 2012, n. 247), l’ampiomargine lasciato alle parti nel definire l’affare relativamente al quale determinare utili e perdite nonché la libertà nello stabilire quale sia l’apporto a carico dell’associato hanno consentito l’utilizzo di tale contratto come valida alternativa a diversi altri schemi negoziali, con particolare riguardo a rapporti associativi, a contratti di finanziamento ed a quelli di collaborazione lavorativa. Ciò costituisce lo spunto per una rilettura delle disposizioni del codice civile dedicate al contratto di associazione in partecipazione, recentemente modificate dall’art. 1, comma 28, l. 28 giugno 2012, n. 92 e dall’art. 7, comma 5, d.l. 28 giugno 2013, n. 76 (convertito, con modifiche, in l. 9 agosto 2013, n. 99), relativamente all’apporto di una prestazione lavorativa.Particolare rilievo nello studio del contratto viene dato all’apporto dell’associato, a fronte del quale viene attribuita una partecipazione agli utili di un’impresa o di un determinato affare,verificando la sussistenza di limiti nella scelta e nel suo utilizzo da parte dell’associante. L’ampia autonomia privata, da un lato, e il rischio dell’associato di non ricevere alcun corrispettivo e di subire perdite, tali da intaccare il diritto al rimborso del relativo valore, dall’altro, impongono spesso l’utilizzo di clausole contrattuali, che stabiliscano parametri sia per la partecipazione agli utili che per la quantificazione delle perdite sopportabili dall’associato.

Crisi economica e distribuzione dei rischi tra le parti contrattuali: apporti in associazione in partecipazione e limiti all’autonomia privata

RUBINO DE RITIS, Massimo
2014

Abstract

Sono molti gli elementi che hanno portato ad una diffusione del contratto di associazione in partecipazione. L’assunzione della posizione di associante anche da parte di chi non è imprenditore (come avviene nel caso degli avvocati, come riconosciuto dall’art. 8, l. 31 dicembre 2012, n. 247), l’ampiomargine lasciato alle parti nel definire l’affare relativamente al quale determinare utili e perdite nonché la libertà nello stabilire quale sia l’apporto a carico dell’associato hanno consentito l’utilizzo di tale contratto come valida alternativa a diversi altri schemi negoziali, con particolare riguardo a rapporti associativi, a contratti di finanziamento ed a quelli di collaborazione lavorativa. Ciò costituisce lo spunto per una rilettura delle disposizioni del codice civile dedicate al contratto di associazione in partecipazione, recentemente modificate dall’art. 1, comma 28, l. 28 giugno 2012, n. 92 e dall’art. 7, comma 5, d.l. 28 giugno 2013, n. 76 (convertito, con modifiche, in l. 9 agosto 2013, n. 99), relativamente all’apporto di una prestazione lavorativa.Particolare rilievo nello studio del contratto viene dato all’apporto dell’associato, a fronte del quale viene attribuita una partecipazione agli utili di un’impresa o di un determinato affare,verificando la sussistenza di limiti nella scelta e nel suo utilizzo da parte dell’associante. L’ampia autonomia privata, da un lato, e il rischio dell’associato di non ricevere alcun corrispettivo e di subire perdite, tali da intaccare il diritto al rimborso del relativo valore, dall’altro, impongono spesso l’utilizzo di clausole contrattuali, che stabiliscano parametri sia per la partecipazione agli utili che per la quantificazione delle perdite sopportabili dall’associato.
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