L’art. 23 della L. 69/2009 prevede e disciplina l’istituto delle buone prassi amministrative, che spetta alle amministrazioni pubbliche elaborare e diffondere per via telematica tra i propri uffici. L’innesto in campo amministrativo dell’istituto delle ‘buone prassi’ (best practices), tratto dal mondo produttivo e rafforzato dalla sua esplicita considerazione, in ambito legislativo, ai fini della valutazione dei dirigenti e del personale, sollecita una rivisitazione della teorica tradizionale relativa alla formazione ed alla rilevanza della prassi negli enti pubblici. Questa, pur mantenendo fermi i caratteri essenziali del fenomeno autoregolatorio, viene riguardata in un’ottica di comparazione tra apparati (benchlearning), di valorizzazione delle condotte amministrative più virtuose e, soprattutto, di inclusione del cittadino nella fase di formazione delle regole che presiedono all’esercizio delle funzioni pubbliche, nel contesto di un più fluido e malleabile sistema di soft law. In quest’ottica, la prima parte del saggio è destinata alla rimeditazione della prassi amministrativa come istituto giuridico. Di essa vengono ridefiniti nozione e caratteri, per passare poi a distinguere le varie tipologie di prassi (prassi operativa e prassi interpretativa). In tale contesto assume particolare rilevanza la prassi praeter legem, espressione di una reale autonomia organizzativa dell’amministrazione pubblica.

Buone prassi e continuità dell'amministrazione pubblica - Parte I

TARULLO, Stefano
2012

Abstract

L’art. 23 della L. 69/2009 prevede e disciplina l’istituto delle buone prassi amministrative, che spetta alle amministrazioni pubbliche elaborare e diffondere per via telematica tra i propri uffici. L’innesto in campo amministrativo dell’istituto delle ‘buone prassi’ (best practices), tratto dal mondo produttivo e rafforzato dalla sua esplicita considerazione, in ambito legislativo, ai fini della valutazione dei dirigenti e del personale, sollecita una rivisitazione della teorica tradizionale relativa alla formazione ed alla rilevanza della prassi negli enti pubblici. Questa, pur mantenendo fermi i caratteri essenziali del fenomeno autoregolatorio, viene riguardata in un’ottica di comparazione tra apparati (benchlearning), di valorizzazione delle condotte amministrative più virtuose e, soprattutto, di inclusione del cittadino nella fase di formazione delle regole che presiedono all’esercizio delle funzioni pubbliche, nel contesto di un più fluido e malleabile sistema di soft law. In quest’ottica, la prima parte del saggio è destinata alla rimeditazione della prassi amministrativa come istituto giuridico. Di essa vengono ridefiniti nozione e caratteri, per passare poi a distinguere le varie tipologie di prassi (prassi operativa e prassi interpretativa). In tale contesto assume particolare rilevanza la prassi praeter legem, espressione di una reale autonomia organizzativa dell’amministrazione pubblica.
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