«[…] Visto con gli occhi del singolo e dal centro della città, il mondo globale è un mondo della discontinuità e dell’interdetto […]» (Augè). Ma navigatori satellitari e Google Maps mostrano dall’alto un mondo diverso da quello che viviamo. L’estetica contemporanea è perciò «estetica della distanza» che abituandoci alle visioni globali delle cose rende irrilevanti gli effetti di rottura, li diluisce, li sdrammatizza, salvo poi a riscoprire a piedi una città completamente diversa, «intimamente violenta» e con più di una contraddizione come quella «[…] tra l’esistenza proclamata di uno spazio continuo e la realtà di un mondo discontinuo, nel quale proliferano i divieti di ogni genere» (Augè). Nella città ad altezza d’occhi si è diffusa un’«estetica della sicurezza» (Bauman) che spinge a realizzare costruzioni scaturite da una logica fondata sulla vigilanza e la distanza. In questa città “da far paura” si moltiplicano «spazi preclusi» (Flusty) che la frammentano in recinti presidiati da checkpoint dosatori del flusso di cose e persone, che segnano la disintegrazione della vita comunitaria. Esiste nella città contemporanea un antidoto per ripristinare una diffusa vita di relazione che non sia il suo semplice trasferimento nel cyberspazio o essa si dovrà arrendere a rimanere una realtà «grumosa» (Masullo)? Con le Smart Cities si pensano “nuove” città parallele che vivono in chilometriche gallerie informatiche scavate all’interno delle città “reali”. Potranno le Smart Cities produrre nuovi modi di fruire le città o si tratterà unicamente di interventi di microchirurgia urbana antilifting, inserimento di bypass e protesi di teflon, che lasceranno in superficie

Naples Smart City?

GAMBARDELLA, Claudio
2014

Abstract

«[…] Visto con gli occhi del singolo e dal centro della città, il mondo globale è un mondo della discontinuità e dell’interdetto […]» (Augè). Ma navigatori satellitari e Google Maps mostrano dall’alto un mondo diverso da quello che viviamo. L’estetica contemporanea è perciò «estetica della distanza» che abituandoci alle visioni globali delle cose rende irrilevanti gli effetti di rottura, li diluisce, li sdrammatizza, salvo poi a riscoprire a piedi una città completamente diversa, «intimamente violenta» e con più di una contraddizione come quella «[…] tra l’esistenza proclamata di uno spazio continuo e la realtà di un mondo discontinuo, nel quale proliferano i divieti di ogni genere» (Augè). Nella città ad altezza d’occhi si è diffusa un’«estetica della sicurezza» (Bauman) che spinge a realizzare costruzioni scaturite da una logica fondata sulla vigilanza e la distanza. In questa città “da far paura” si moltiplicano «spazi preclusi» (Flusty) che la frammentano in recinti presidiati da checkpoint dosatori del flusso di cose e persone, che segnano la disintegrazione della vita comunitaria. Esiste nella città contemporanea un antidoto per ripristinare una diffusa vita di relazione che non sia il suo semplice trasferimento nel cyberspazio o essa si dovrà arrendere a rimanere una realtà «grumosa» (Masullo)? Con le Smart Cities si pensano “nuove” città parallele che vivono in chilometriche gallerie informatiche scavate all’interno delle città “reali”. Potranno le Smart Cities produrre nuovi modi di fruire le città o si tratterà unicamente di interventi di microchirurgia urbana antilifting, inserimento di bypass e protesi di teflon, che lasceranno in superficie
2014
«[…] le monde global, vu avec les yeux de l'individu et vu du centre de la ville, il est un monde de la discontinuité et de l'interdit […]» (Augé). Mais les navigateurs satellitaires et Google Maps dès là-haut nous montrent un monde différent de ce qu'on vit. Donc l’esthétique contemporaine c'est «une esthétique de la distance» qui nous éduque à avoir une vision globale des choses, qui rend insignifiants les effets de rupture, qui les délaie, les dédramatise. Mais en parcourant une ville à pieds, on la découvre, au contraire, totalement différente, «profondément violente» et dans tous ses contradictions telle celle-là «entre l'existence proclamée d'un espace continu et tout à la fois la réalité d'un monde discontinu, où s’accroîtront interdictions de toute sorte» (Augé). Dans la ville, vue de l' hauteur de nos yeux, se diffuse ainsi une «esthétique de la sécurité» (Bauman) qui pousse à réaliser des bâtiments issus d'une logique basée sur la vigilance et la distance. Dans cette ville "à faire peur" des «espaces interdits» (Flusty) qui la divisent dans des enceintes surveillées par des checkpoint et qui dosent le flux de choses et de personnes et qui marquent la désintégration de la vie communautaire, se multiplient. Il existe, dans la ville contemporaine, un antidote pour rétablir une vie de relation diffusée qui ne soit pas le simple fait qu'elle se déplace dans le cyberespace ou elle sera obligée de céder et de demeurer en tant que réalité «grumeleuse» (Masullo). Grâce aux Smart Cities on peut concevoir des villes "nouvelles" et parallèles qui résident dans des kilométriques galeries informatiques, fouillées au sein des villes "réelles". Est ce-que les Smart Cities pourront-elles produire des nouvelles façons de fluidifier les rapports, ou il ne sera le cas que d'interventions de microchirurgie urbaine "antilifting", ou d'insertion de by-pass et prothèses en téflon ?
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/198681
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