Negli ultimi anni, i servizi pubblici di ascolto e presa in carico dei minori in condizioni di disagio psico-sociale si sono orientati sempre più verso modelli di governance clinica fondati su protocolli standardizzati, manuali diagnostici e strumenti valutativi rigidamente applicati. Questo approccio rischia di oscurare la soggettività del minore, riducendola a una serie di comportamenti da misurare e classificare secondo parametri normativi di normalità e anormalità. Attraverso l’analisi di una situazione osservata all’interno di un servizio pubblico per minori in adozione e affido dell’ASP di Palermo, e con il supporto teorico della psicoanalisi lacaniana e dei contributi di Michel Foucault e Pierre Bourdieu, il capitolo riflette criticamente sugli effetti istituzionali e clinici di tali pratiche. Si mette in luce come esse contribuiscano alla produzione di identità stigmatizzate e alla riproduzione di disuguaglianze sociali, favorendo un modello di bambino “universalizzato” e aderente a traiettorie di sviluppo standard. In un contesto in cui il sapere clinico viene piegato a logiche neoliberiste di efficienza e rischio, la diagnosi e il colloquio rischiano di perdere la loro funzione di apertura all’incontro soggettivo, divenendo strumenti di controllo e normalizzazione. L’articolo propone una lettura critica di tali dinamiche, evidenziando la necessità di recuperare la complessità del vissuto e l’alterità irriducibile del soggetto nella pratica clinica contemporanea.
Governance clinica e presa in carico di minori in condizioni di disagio psico-sociale. Che posto spetta alle parole del soggetto?
Miriam BELLUZZO
2025
Abstract
Negli ultimi anni, i servizi pubblici di ascolto e presa in carico dei minori in condizioni di disagio psico-sociale si sono orientati sempre più verso modelli di governance clinica fondati su protocolli standardizzati, manuali diagnostici e strumenti valutativi rigidamente applicati. Questo approccio rischia di oscurare la soggettività del minore, riducendola a una serie di comportamenti da misurare e classificare secondo parametri normativi di normalità e anormalità. Attraverso l’analisi di una situazione osservata all’interno di un servizio pubblico per minori in adozione e affido dell’ASP di Palermo, e con il supporto teorico della psicoanalisi lacaniana e dei contributi di Michel Foucault e Pierre Bourdieu, il capitolo riflette criticamente sugli effetti istituzionali e clinici di tali pratiche. Si mette in luce come esse contribuiscano alla produzione di identità stigmatizzate e alla riproduzione di disuguaglianze sociali, favorendo un modello di bambino “universalizzato” e aderente a traiettorie di sviluppo standard. In un contesto in cui il sapere clinico viene piegato a logiche neoliberiste di efficienza e rischio, la diagnosi e il colloquio rischiano di perdere la loro funzione di apertura all’incontro soggettivo, divenendo strumenti di controllo e normalizzazione. L’articolo propone una lettura critica di tali dinamiche, evidenziando la necessità di recuperare la complessità del vissuto e l’alterità irriducibile del soggetto nella pratica clinica contemporanea.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.