Nel 1751, a Napoli, su progetto di Ferdinando Fuga, fu iniziato il Real Albergo dei Poveri per la reclusione coatta di “tutti” gli indigenti e mendicanti del Mezzogiorno d’Italia. Fu ubicato in una zona rinomata per le sue condizioni climatiche, proprio lungo uno dei maggiori assi di penetrazione nella capitale, fuori le mura e contiguo alla città, così da rispondere appieno alle ragioni simbolico-rappresentative del re Carlo di Borbone, poiché, già all’arrivo del “viaggiatore”, avrebbe potuto meglio svolgere la funzione di celebrare i caratteri di carità e la magnificenza della politica della Corona. Dall’impianto rettangolare, il cui lato corto era un quinto di quello lungo, con cinque cortili interni, con al centro una chiesa nella quale convergevano sei bracci di collegamento ai differenti corpi e reparti dell’ospizio, sarebbe stato «il più vasto degli Ospizj che sieno in Europa» per dimensioni e intenti, ma, in realtà non fu mai compiutamente concluso a causa dei continui ripensamenti e delle frequenti interruzioni. Tuttavia, benchè ridotto nelle intenzioni iniziali, è diventato il simbolo indiscutibile del processo di laicizzazione delle elemosine avviato durante il regno autonomo, cioè di quella lenta sottrazione delle opere di beneficenza all’ingerenza ecclesiastica. Soprattutto, articolata su una inedita e rivoluzionaria struttura, estremamente complessa nella sua linearità di funzionamento di spazi integrati e interagenti, è rimasto a lungo un modello per gli edifici di reclusione in Italia. Propose e realizzò uno schema tipologico solo in parte recepito e diffusosi dalla fine del Settecento, che vogliamo qui definire come “proto-panottico”, proprio per questo sistema a “dispositivo di controllo”. Infatti, la costruzione, iniziata nel 1751, anticipava di oltre quindici anni gli scritti di Cesare Beccaria sul reinserimento degli emarginati, che costituiscono il fondamento della cultura progressista del Settecento. Inoltre, sin dall’elaborazione del progetto, anticipando le teorie utopiche di Robert Owen e Charles Fourier, e, in una foucaultiana accezione, già sovrapponendo i suoi spazi eterotopi ad eterocromie, la concezione del reclusorio di Napoli travalicò i confini dell’ospizio e dell’inclusione coatta degli indigenti e rientrò in modo esemplare nel più ampio programma di reinserimento al lavoro degli emarginati, attraverso l’educazione ai vari mestieri artigianali, Il progetto di Fuga, associato al programma sociale ed economico di Carlo di Borbone, pertanto rappresenta una pietra angolare nella svolta culturale del regno autonomo, ponendo le basi per un approccio più umanitario e progressista alla giustizia penale, ben prima che le teorie di Beccaria fossero ampiamente riconosciute e adottate. Il saggio, muovendo da tali considerazioni, analizza le più significative architetture per la reclusione che furono realizzate nel Regno di Napoli durante il governo di Carlo di Borbone e del figlio Ferdinando IV.
Alla corte dei re Borbone: l’Albergo dei Poveri di Napoli e le architetture per la reclusione (1734-1825)
Elena Manzo
2024
Abstract
Nel 1751, a Napoli, su progetto di Ferdinando Fuga, fu iniziato il Real Albergo dei Poveri per la reclusione coatta di “tutti” gli indigenti e mendicanti del Mezzogiorno d’Italia. Fu ubicato in una zona rinomata per le sue condizioni climatiche, proprio lungo uno dei maggiori assi di penetrazione nella capitale, fuori le mura e contiguo alla città, così da rispondere appieno alle ragioni simbolico-rappresentative del re Carlo di Borbone, poiché, già all’arrivo del “viaggiatore”, avrebbe potuto meglio svolgere la funzione di celebrare i caratteri di carità e la magnificenza della politica della Corona. Dall’impianto rettangolare, il cui lato corto era un quinto di quello lungo, con cinque cortili interni, con al centro una chiesa nella quale convergevano sei bracci di collegamento ai differenti corpi e reparti dell’ospizio, sarebbe stato «il più vasto degli Ospizj che sieno in Europa» per dimensioni e intenti, ma, in realtà non fu mai compiutamente concluso a causa dei continui ripensamenti e delle frequenti interruzioni. Tuttavia, benchè ridotto nelle intenzioni iniziali, è diventato il simbolo indiscutibile del processo di laicizzazione delle elemosine avviato durante il regno autonomo, cioè di quella lenta sottrazione delle opere di beneficenza all’ingerenza ecclesiastica. Soprattutto, articolata su una inedita e rivoluzionaria struttura, estremamente complessa nella sua linearità di funzionamento di spazi integrati e interagenti, è rimasto a lungo un modello per gli edifici di reclusione in Italia. Propose e realizzò uno schema tipologico solo in parte recepito e diffusosi dalla fine del Settecento, che vogliamo qui definire come “proto-panottico”, proprio per questo sistema a “dispositivo di controllo”. Infatti, la costruzione, iniziata nel 1751, anticipava di oltre quindici anni gli scritti di Cesare Beccaria sul reinserimento degli emarginati, che costituiscono il fondamento della cultura progressista del Settecento. Inoltre, sin dall’elaborazione del progetto, anticipando le teorie utopiche di Robert Owen e Charles Fourier, e, in una foucaultiana accezione, già sovrapponendo i suoi spazi eterotopi ad eterocromie, la concezione del reclusorio di Napoli travalicò i confini dell’ospizio e dell’inclusione coatta degli indigenti e rientrò in modo esemplare nel più ampio programma di reinserimento al lavoro degli emarginati, attraverso l’educazione ai vari mestieri artigianali, Il progetto di Fuga, associato al programma sociale ed economico di Carlo di Borbone, pertanto rappresenta una pietra angolare nella svolta culturale del regno autonomo, ponendo le basi per un approccio più umanitario e progressista alla giustizia penale, ben prima che le teorie di Beccaria fossero ampiamente riconosciute e adottate. Il saggio, muovendo da tali considerazioni, analizza le più significative architetture per la reclusione che furono realizzate nel Regno di Napoli durante il governo di Carlo di Borbone e del figlio Ferdinando IV.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.