Il pluralismo religioso è fattore non trascurabile per l’espansione del dominio romano e per la coesione dell’impero, poiché anche sul suo fondamento viene assicurata alle comunità via via assoggettate e integrate la facoltà di preservare il radicamento nelle proprie tradizioni, pur nella concomitante appartenenza ad una patria iuris ‘sovranazionale’. Il nesso tra pluralismo religioso e impero universale, che è senz’altro distintivo della cultura ‘pagana’ nei primi tre secoli dell’impero, ha una sua rilevanza, pur problematica, anche in alcune voci dell'apologetica cristiana del II d.C.: in particolare, esso sembra presupposto da Atenagora nell’esordio della sua Supplica per i cristiani, indirizzata a Marco Aurelio e a Commodo (176-180 d.C. circa). Atenagora sembra considerare il politeismo, pur fermamente respinto sul piano dottrinale, come una realtà di fatto dell’assetto imperiale, e proprio a partire da quel dato si sforza, con sottile equilibrio, di cercare per i cristiani uno spazio di autonomia nella compagine religiosa variegata dell'ecumene, indicando nella figura dell’imperatore la garanzia dell’unità universale. Si tratta di un intelligente tentativo, improntato a realismo, di avvicinamento del cristianesimo alla romanità, secondo un punto di vista che trova i suoi antecedenti nell’apologetica giudaica e che si rivela peraltro congruente, lato sensu, con le idealità della coeva pubblicistica politica greca: basti ricordare Elio Aristide, che concepisce l’impero come struttura federativa di comunità autonome. La posizione entro cui Atenagora sembra collocarsi può peraltro iscriversi in una linea di pensiero produttiva nel lungo periodo (se solo si consideri la logica, intrinsecamente romana, dell’editto di Milano, frutto di un mondo religioso ancora plurale, fondato sul concetto di pax deorum; ma particolarmente significativo è anche un confronto di Atenagora con Tertulliano). È d’altra parte innegabile che, in generale, il cristianesimo propugni un monoteismo esclusivo, nel che alcune voci della cultura greco-romana tradizionale sembrano cogliere un rischio per l’equilibrio multietnico e multiculturale dell’impero: da qui l’esplicita difesa, in chiave politica, del pluralismo etico-religioso da parte dell’apologeta pagano Celso e infine il tentativo, esperito da Giuliano nel IV d.C., di recupero del tradizionale politeismo nei termini di un monoteismo (o enoteismo) gerarchico, secondo un paradigma teologico, alternativo a quello cristiano, in grado di coniugare unità e molteplicità in una prospettiva di consapevole difesa dell’universalismo imperiale romano.
La genesi della libertas religionis cristiana nel quadro delle autonomie religiose dell’impero universale: per la storia di un’idea nella cultura greco-romana.
Giuseppe Nardiello
2023
Abstract
Il pluralismo religioso è fattore non trascurabile per l’espansione del dominio romano e per la coesione dell’impero, poiché anche sul suo fondamento viene assicurata alle comunità via via assoggettate e integrate la facoltà di preservare il radicamento nelle proprie tradizioni, pur nella concomitante appartenenza ad una patria iuris ‘sovranazionale’. Il nesso tra pluralismo religioso e impero universale, che è senz’altro distintivo della cultura ‘pagana’ nei primi tre secoli dell’impero, ha una sua rilevanza, pur problematica, anche in alcune voci dell'apologetica cristiana del II d.C.: in particolare, esso sembra presupposto da Atenagora nell’esordio della sua Supplica per i cristiani, indirizzata a Marco Aurelio e a Commodo (176-180 d.C. circa). Atenagora sembra considerare il politeismo, pur fermamente respinto sul piano dottrinale, come una realtà di fatto dell’assetto imperiale, e proprio a partire da quel dato si sforza, con sottile equilibrio, di cercare per i cristiani uno spazio di autonomia nella compagine religiosa variegata dell'ecumene, indicando nella figura dell’imperatore la garanzia dell’unità universale. Si tratta di un intelligente tentativo, improntato a realismo, di avvicinamento del cristianesimo alla romanità, secondo un punto di vista che trova i suoi antecedenti nell’apologetica giudaica e che si rivela peraltro congruente, lato sensu, con le idealità della coeva pubblicistica politica greca: basti ricordare Elio Aristide, che concepisce l’impero come struttura federativa di comunità autonome. La posizione entro cui Atenagora sembra collocarsi può peraltro iscriversi in una linea di pensiero produttiva nel lungo periodo (se solo si consideri la logica, intrinsecamente romana, dell’editto di Milano, frutto di un mondo religioso ancora plurale, fondato sul concetto di pax deorum; ma particolarmente significativo è anche un confronto di Atenagora con Tertulliano). È d’altra parte innegabile che, in generale, il cristianesimo propugni un monoteismo esclusivo, nel che alcune voci della cultura greco-romana tradizionale sembrano cogliere un rischio per l’equilibrio multietnico e multiculturale dell’impero: da qui l’esplicita difesa, in chiave politica, del pluralismo etico-religioso da parte dell’apologeta pagano Celso e infine il tentativo, esperito da Giuliano nel IV d.C., di recupero del tradizionale politeismo nei termini di un monoteismo (o enoteismo) gerarchico, secondo un paradigma teologico, alternativo a quello cristiano, in grado di coniugare unità e molteplicità in una prospettiva di consapevole difesa dell’universalismo imperiale romano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.