Secondo un recente studio, condotto da ricercatori francesi e basato sull’analisi della vocalizzazione, comunicazione e creazione di modelli acustici nei primati, il linguaggio verbale umano risalirebbe a circa 20.000 di anni fa mentre, secondo altre ricerche, i primi disegni eseguiti dall’Homo Sapiens a 73.000 anni fa. Questo gap temporale contraddice l’opinione, alquanto diffusa, che il linguaggio della comunicazione verbale sia l’unico capace di trasmettere informazioni ed emozioni laddove esso rappresenta uno dei possibili modi. Fra tutte le forme di comunicazione utilizzate (ora come allora), l’immagine visiva è la più potente poiché non richiede alcuna azione da parte del destinatario. Una frase scritta necessita della volontà di leggerla; un video, di tempo per la visione e attenzione per essere assimilato così come un messaggio audio per essere ascoltato. Al contrario, un’immagine visiva non può essere evitata: se si sceglie di non guardarla più, è già troppo tardi perché è stata processata dal cervello raggiungendo la memoria. La velocità con cui un’immagine visiva compie la sua funzione comunicativa è il motivo per cui, in così breve tempo, fra i vari tipi di linguaggio la fotografia abbia avuto tanto successo. Ma la velocità è anche causa ed effetto di cambiamenti che il linguaggio subisce repentinamente. Il cambiamento del linguaggio (anche fotografico) non è sempre interpretabile come miglioramento e, spesso, invece di evo-luzione trattasi di invo-luzione. La velocità è oggi la causa principale del continuo modificarsi delle forme di comunicazione, soprattutto per la gestione tecnica e sociale dei processi informatici. Considerando il contenuto (emozione, riflessione) e la qualità della comunicazione (intesa come quantità di sfumature percettive di un pensiero), si potrebbe affermare che spesso si assiste a una involuzione del linguaggio, sia verbale che grafica. La facilità di operare comporta la realizzazione di un’immagine visiva senza riflessione e/o metodo. Ma, senza di ciò, la fotografia scompare. L’immagine fotografica non è rappresentazione della realtà ma comunicazione di ‘come’ una determinata situazione sia percepita dal fotografo in base alle personali sensazioni, emozioni e, soprattutto, al punto di vista. Senza meditazione, la fotografia perde l’essenza di tramite di emozioni e diventa un’immagine casuale, equiparabile allo scatto automatico prodotto da un algoritmo informatico qualunque. Oggi, l’attuale facilità a realizzare un’immagine fotografica rischia di snaturarne l’essenza, smarrendola nel caos della moltitudine, anche a discapito della funzionalità come tramite comunicativo. Dalla lunga meditazione per l’esposizione di una lastra al banco ottico, si è passati al nulla assoluto che precede il gesto automatico del fotografare la lista della spesa o guardare un momento importante della propria vita attraverso lo schermo digitale di uno smartphone per fotografare un ritaglio di vita, che non si sta vivendo davvero: per dimostrare di aver vissuto, si sceglie di non vivere e per comunicare al ‘pubblico’ la propria avvenenza, si usano filtri e ritocchi. In questo clima di degenerazione, le immagini meditate sono come iceberg nell’oceano e occorre una riflessione urgente per evitare che il surriscaldamento dell’invo-luzione dissolva il ‘senso’ della fotografia.

Identità fotografica. Linguaggio in evo-luzione o invo-luzione? | Photographic Identity. Language in Evo-lution or Invo-lution?

Ornella Zerlenga
;
2023

Abstract

Secondo un recente studio, condotto da ricercatori francesi e basato sull’analisi della vocalizzazione, comunicazione e creazione di modelli acustici nei primati, il linguaggio verbale umano risalirebbe a circa 20.000 di anni fa mentre, secondo altre ricerche, i primi disegni eseguiti dall’Homo Sapiens a 73.000 anni fa. Questo gap temporale contraddice l’opinione, alquanto diffusa, che il linguaggio della comunicazione verbale sia l’unico capace di trasmettere informazioni ed emozioni laddove esso rappresenta uno dei possibili modi. Fra tutte le forme di comunicazione utilizzate (ora come allora), l’immagine visiva è la più potente poiché non richiede alcuna azione da parte del destinatario. Una frase scritta necessita della volontà di leggerla; un video, di tempo per la visione e attenzione per essere assimilato così come un messaggio audio per essere ascoltato. Al contrario, un’immagine visiva non può essere evitata: se si sceglie di non guardarla più, è già troppo tardi perché è stata processata dal cervello raggiungendo la memoria. La velocità con cui un’immagine visiva compie la sua funzione comunicativa è il motivo per cui, in così breve tempo, fra i vari tipi di linguaggio la fotografia abbia avuto tanto successo. Ma la velocità è anche causa ed effetto di cambiamenti che il linguaggio subisce repentinamente. Il cambiamento del linguaggio (anche fotografico) non è sempre interpretabile come miglioramento e, spesso, invece di evo-luzione trattasi di invo-luzione. La velocità è oggi la causa principale del continuo modificarsi delle forme di comunicazione, soprattutto per la gestione tecnica e sociale dei processi informatici. Considerando il contenuto (emozione, riflessione) e la qualità della comunicazione (intesa come quantità di sfumature percettive di un pensiero), si potrebbe affermare che spesso si assiste a una involuzione del linguaggio, sia verbale che grafica. La facilità di operare comporta la realizzazione di un’immagine visiva senza riflessione e/o metodo. Ma, senza di ciò, la fotografia scompare. L’immagine fotografica non è rappresentazione della realtà ma comunicazione di ‘come’ una determinata situazione sia percepita dal fotografo in base alle personali sensazioni, emozioni e, soprattutto, al punto di vista. Senza meditazione, la fotografia perde l’essenza di tramite di emozioni e diventa un’immagine casuale, equiparabile allo scatto automatico prodotto da un algoritmo informatico qualunque. Oggi, l’attuale facilità a realizzare un’immagine fotografica rischia di snaturarne l’essenza, smarrendola nel caos della moltitudine, anche a discapito della funzionalità come tramite comunicativo. Dalla lunga meditazione per l’esposizione di una lastra al banco ottico, si è passati al nulla assoluto che precede il gesto automatico del fotografare la lista della spesa o guardare un momento importante della propria vita attraverso lo schermo digitale di uno smartphone per fotografare un ritaglio di vita, che non si sta vivendo davvero: per dimostrare di aver vissuto, si sceglie di non vivere e per comunicare al ‘pubblico’ la propria avvenenza, si usano filtri e ritocchi. In questo clima di degenerazione, le immagini meditate sono come iceberg nell’oceano e occorre una riflessione urgente per evitare che il surriscaldamento dell’invo-luzione dissolva il ‘senso’ della fotografia.
2023
Zerlenga, Ornella; Todisco, Igor
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/523612
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