Nel saggio si compie un’analisi storica dei codici preunitari rilevando come cambia il concetto di colpabilità con l’ingresso della frenologia nel processo penale. Il viaggio dà testimonianza di come si sia passati dall’analisi del fatto criminoso, come presupposto della responsabilità penale, all’emersione della natura dell’uomo come universo da indagare per giungere a una più soggettiva affermazione di colpabilità. Ritenevano difatti i primi frenologi che fosse da superare quell’impostazione secondo cui la non imputabilità si limitava alla malattia mentale, residuando infatti una serie di casi in cui i folli rei, coscienti delle proprie azioni, non avessero invece controllo su quella mania istintiva che spingeva loro a commettere il delitto. Fu così che, nel XIX secolo, scienza medica, codice penale e processo cominciarono a interagire, non potendo più i tre saperi rimanere impermeabili gli uni agli altri. Questa impostazione ha influenzato grandemente le prime codificazioni che, sulla scorta del Code Napoléon del 1810, hanno accolto il concetto di «forza irresistibile» per indicare una serie di condizioni emotive e passionali che conducevano il reo in uno stato di alienazione che sopraffaceva la ragione. Il dibattito sulle cause di esclusione o diminuzione della imputabilità in occasione della scrittura del nuovo Codice penale unico del Regno d’Italia fu alimentato dalle mozioni degli alienisti che ritenevano necessario l’ausilio del personale medico nel processo penale per indagare le psicopatologie degli imputati; i frenologi, in questa occasione, rimarcarono l’inadeguatezza del giudice a decidere sulla sorte del reo folle se dovesse scontare la pena in carcere o in casa di custodia. A questo riguardo, essi caldeggiarono l’istituzione di manicomi criminali per rei folli e folli rei. L’ingresso della psichiatria nella riflessione processualpenalista nella gestione della criminalità e della devianza comportò una nuova attenzione, prima sconosciuta, all’autore del reato: i pionieri della scienza criminologica costringevano a ripensare la procedura penale dalla prospettiva del delinquente e non da quella del delitto, anche al fine di una migliore individualizzazione della pena, adeguata alla effettiva personalità e pericolosità sociale del reo.
Dal ‘fatto criminoso’ al ‘soggetto criminale’: la coscienza di delinquere come presupposto dell’imputabilità
Pignata, Marianna
2022
Abstract
Nel saggio si compie un’analisi storica dei codici preunitari rilevando come cambia il concetto di colpabilità con l’ingresso della frenologia nel processo penale. Il viaggio dà testimonianza di come si sia passati dall’analisi del fatto criminoso, come presupposto della responsabilità penale, all’emersione della natura dell’uomo come universo da indagare per giungere a una più soggettiva affermazione di colpabilità. Ritenevano difatti i primi frenologi che fosse da superare quell’impostazione secondo cui la non imputabilità si limitava alla malattia mentale, residuando infatti una serie di casi in cui i folli rei, coscienti delle proprie azioni, non avessero invece controllo su quella mania istintiva che spingeva loro a commettere il delitto. Fu così che, nel XIX secolo, scienza medica, codice penale e processo cominciarono a interagire, non potendo più i tre saperi rimanere impermeabili gli uni agli altri. Questa impostazione ha influenzato grandemente le prime codificazioni che, sulla scorta del Code Napoléon del 1810, hanno accolto il concetto di «forza irresistibile» per indicare una serie di condizioni emotive e passionali che conducevano il reo in uno stato di alienazione che sopraffaceva la ragione. Il dibattito sulle cause di esclusione o diminuzione della imputabilità in occasione della scrittura del nuovo Codice penale unico del Regno d’Italia fu alimentato dalle mozioni degli alienisti che ritenevano necessario l’ausilio del personale medico nel processo penale per indagare le psicopatologie degli imputati; i frenologi, in questa occasione, rimarcarono l’inadeguatezza del giudice a decidere sulla sorte del reo folle se dovesse scontare la pena in carcere o in casa di custodia. A questo riguardo, essi caldeggiarono l’istituzione di manicomi criminali per rei folli e folli rei. L’ingresso della psichiatria nella riflessione processualpenalista nella gestione della criminalità e della devianza comportò una nuova attenzione, prima sconosciuta, all’autore del reato: i pionieri della scienza criminologica costringevano a ripensare la procedura penale dalla prospettiva del delinquente e non da quella del delitto, anche al fine di una migliore individualizzazione della pena, adeguata alla effettiva personalità e pericolosità sociale del reo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.