Nel marzo del 1918 Napoli fu oggetto di un rapido quanto inaspettato attacco aereo, oltre 6 tonnellate di bombe sganciate da un dirigibile Zeppelin partito oltreadriatico. Obiettivi della missione dovevano evidentemente essere gli stabilimenti siderurgici nell’area flegrea – a ovest della città – e la zona del porto, anche se un improvviso annuvolamento e una serie di errori di calcolo concentreranno tutti gli ordigni sul centro urbano, mietendo vittime tra la popolazione dei Quartieri Spagnoli e dei Granili e causando gravissimi danni a numerosi edifici privati, all’Ospizio delle Suore dei Poveri a Chiaia e soprattutto all’ottocentesca Galleria Umberto I e alle seicentesche chiese di S. Brigida e di S. Nicola da Tolentino. Senza entrare nello specifico di una vicenda troppo presto dimenticata dalla popolazione stessa, questo contributo vuole mettere in luce alcuni aspetti a mio avviso interessanti per meglio comprendere il mutato atteggiamento della cultura architettonica italiana di fronte ad un nuovo tipo di devastazioni: caratterizzata da una secolare convivenza con ogni sorta di calamità naturale, Napoli sarà infatti l’ultima fra le città italiane ad essere impegnata in più o meno complesse opere di ricostruzione ben prima dei drammatici avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale.
Un dirigibile nel Golfo. Il bombardamento aereo del 1918 e i danni al patrimonio architettonico napoletano
PIgnatelli Spinazzola Giuseppe
2021
Abstract
Nel marzo del 1918 Napoli fu oggetto di un rapido quanto inaspettato attacco aereo, oltre 6 tonnellate di bombe sganciate da un dirigibile Zeppelin partito oltreadriatico. Obiettivi della missione dovevano evidentemente essere gli stabilimenti siderurgici nell’area flegrea – a ovest della città – e la zona del porto, anche se un improvviso annuvolamento e una serie di errori di calcolo concentreranno tutti gli ordigni sul centro urbano, mietendo vittime tra la popolazione dei Quartieri Spagnoli e dei Granili e causando gravissimi danni a numerosi edifici privati, all’Ospizio delle Suore dei Poveri a Chiaia e soprattutto all’ottocentesca Galleria Umberto I e alle seicentesche chiese di S. Brigida e di S. Nicola da Tolentino. Senza entrare nello specifico di una vicenda troppo presto dimenticata dalla popolazione stessa, questo contributo vuole mettere in luce alcuni aspetti a mio avviso interessanti per meglio comprendere il mutato atteggiamento della cultura architettonica italiana di fronte ad un nuovo tipo di devastazioni: caratterizzata da una secolare convivenza con ogni sorta di calamità naturale, Napoli sarà infatti l’ultima fra le città italiane ad essere impegnata in più o meno complesse opere di ricostruzione ben prima dei drammatici avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.