Il Trattato di Maastricht ha trapiantato nel patto costitutivo delle società europee il principio della delega del governo della moneta a un’istituzione irresponsabile di fronte agli organismi rappresentativi dei titolari della sovranità, e lo ha legittimato agli occhi dell’opinione pubblica con l’argomento secondo cui la politica monetaria sarebbe incapace di incidere sulla distribuzione della ricchezza tra le diverse categorie di operatori che contribuiscono alla produzione. Nel saggio, l’idea della neutralità del governo della moneta viene discussa criticamente alla luce di una ricognizione della letteratura di matrice eterodossa e di una ricostruzione storica della vicenda della BCE. Si sostiene che i poteri attribuiti all’autorità monetaria europea dal Trattato di Maastricht siano stati sistematicamente utilizzati per mantenere l’economia sotto una soffocante cappa deflazionistica, con l’obiettivo di indebolire il potere negoziale delle organizzazioni rappresentative del lavoro dipendente, in modo da disciplinare severamente la dinamica salariale. Sebbene negli anni della crisi si sia consolidata una narrazione del ruolo della BCE come principale attore di contrasto alla recessione, tale “lettura” non risulta confermata dall’analisi dei suoi comportamenti e del suo complesso intersecarsi con le scelte degli altri attori istituzionali di livello continentale. Al contrario, l’Eurotower avrebbe approfittato di quella drammatica congiuntura per allargare l’area delle proprie prerogative istituzionali e le avrebbe sistematicamente utilizzate per assecondare il progetto impopolare dell’Europa “austeritaria”, contribuendo in maniera decisiva ad orientare gli Stati membri verso l’adozione di strategie di policy ad impatto assai rilevante sugli equilibri distributivi tra categorie sociali e tra aree a differente struttura produttiva.

Il mito del governo tecnocratico della moneta e il ruolo della BCE nella vicenda dell’Eurozona

Salvatore D'Acunto
2021

Abstract

Il Trattato di Maastricht ha trapiantato nel patto costitutivo delle società europee il principio della delega del governo della moneta a un’istituzione irresponsabile di fronte agli organismi rappresentativi dei titolari della sovranità, e lo ha legittimato agli occhi dell’opinione pubblica con l’argomento secondo cui la politica monetaria sarebbe incapace di incidere sulla distribuzione della ricchezza tra le diverse categorie di operatori che contribuiscono alla produzione. Nel saggio, l’idea della neutralità del governo della moneta viene discussa criticamente alla luce di una ricognizione della letteratura di matrice eterodossa e di una ricostruzione storica della vicenda della BCE. Si sostiene che i poteri attribuiti all’autorità monetaria europea dal Trattato di Maastricht siano stati sistematicamente utilizzati per mantenere l’economia sotto una soffocante cappa deflazionistica, con l’obiettivo di indebolire il potere negoziale delle organizzazioni rappresentative del lavoro dipendente, in modo da disciplinare severamente la dinamica salariale. Sebbene negli anni della crisi si sia consolidata una narrazione del ruolo della BCE come principale attore di contrasto alla recessione, tale “lettura” non risulta confermata dall’analisi dei suoi comportamenti e del suo complesso intersecarsi con le scelte degli altri attori istituzionali di livello continentale. Al contrario, l’Eurotower avrebbe approfittato di quella drammatica congiuntura per allargare l’area delle proprie prerogative istituzionali e le avrebbe sistematicamente utilizzate per assecondare il progetto impopolare dell’Europa “austeritaria”, contribuendo in maniera decisiva ad orientare gli Stati membri verso l’adozione di strategie di policy ad impatto assai rilevante sugli equilibri distributivi tra categorie sociali e tra aree a differente struttura produttiva.
2021
D'Acunto, Salvatore
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