La mort civile est une fiction: la loi peut donc faire mourir et faire revivre un condamné, par rapport à ses droits civils, et l’en priver pour un temps, con queste parole François Denis Tronchet, uno dei quattro artisans della commissione incaricata di redigere il Codice civile francese del 1804, durante i lavori del 16 Termidoro dell’anno IX, definì un istituto che dalla tradizione antica si insinuava nella ‘modernità’ del Code. Gli effetti della morte civile avrebbero così consentito di equiparare il condannato vivente, privato di ogni partecipazione ai diritti civili, ad un soggetto morto naturalmente, con l’intento di amplificare quell’effetto intimidatorio e di prevenzione generale peculiare di una ‘condanna’ rigorosa. La scelta di lasciare all’interpretazione gli effetti pervasivi della pena, soprattutto in materia di famiglia e successioni, prestò il fianco alle critiche che la dottrina non fece attendere. Nel Regno, dove la disciplina del diritto di famiglia fu osteggiata fin dalla introduzione del Codice francese durante il Decennio, fu più agevole superare la morte civile che aveva tra i suoi effetti proprio lo scioglimento del vincolo coniugale. Affermata quindi l’indissolubilità del matrimonio, venne espunto dal Codice per lo Regno delle Due Sicilie l’istituto della morte civile, così come previsto nel code Napoléon, non solo come diretta conseguenza delle modifiche introdotte in materia di famiglia, anche in seguito al Concordato del 1818 con la Santa Sede, ma anche con l’intento di contenere la privazione dei diritti civili ai casi tassativamente previsti dalla legge.
La loi peut donc faire mourir et faire revivre un condamné, par rapport à ses droits civils? La morte civile tra due codici (1804-1819)
Antonio Tisci
2020
Abstract
La mort civile est une fiction: la loi peut donc faire mourir et faire revivre un condamné, par rapport à ses droits civils, et l’en priver pour un temps, con queste parole François Denis Tronchet, uno dei quattro artisans della commissione incaricata di redigere il Codice civile francese del 1804, durante i lavori del 16 Termidoro dell’anno IX, definì un istituto che dalla tradizione antica si insinuava nella ‘modernità’ del Code. Gli effetti della morte civile avrebbero così consentito di equiparare il condannato vivente, privato di ogni partecipazione ai diritti civili, ad un soggetto morto naturalmente, con l’intento di amplificare quell’effetto intimidatorio e di prevenzione generale peculiare di una ‘condanna’ rigorosa. La scelta di lasciare all’interpretazione gli effetti pervasivi della pena, soprattutto in materia di famiglia e successioni, prestò il fianco alle critiche che la dottrina non fece attendere. Nel Regno, dove la disciplina del diritto di famiglia fu osteggiata fin dalla introduzione del Codice francese durante il Decennio, fu più agevole superare la morte civile che aveva tra i suoi effetti proprio lo scioglimento del vincolo coniugale. Affermata quindi l’indissolubilità del matrimonio, venne espunto dal Codice per lo Regno delle Due Sicilie l’istituto della morte civile, così come previsto nel code Napoléon, non solo come diretta conseguenza delle modifiche introdotte in materia di famiglia, anche in seguito al Concordato del 1818 con la Santa Sede, ma anche con l’intento di contenere la privazione dei diritti civili ai casi tassativamente previsti dalla legge.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.