Nel corso degli ultimi anni, parallelamente all’aumento dei flussi migratori verso l’Europa, il trafficking ha conosciuto un’evoluzione costante. È cresciuto il numero delle vittime: uomini, donne e soprattutto minori, tutti soggetti estremamente deboli sottoposti a varie forme di sfruttamento. È conseguentemente cresciuto il volume di affari di coloro che traggono vantaggio dalla situazione di irregolarità e vulnerabilità delle proprie vittime. Si tratta di membri di reti criminali transnazionali che compiono gravi violazioni dei diritti umani e, sempre più spesso, agiscono in collaborazione con la criminalità organizzata presente nel Paese di destinazione. Quest’evoluzione ha reso necessaria l’elaborazione di nuovi strumenti internazionali che accogliessero una nozione di trafficking sufficientemente ampia da comprendere le diverse declinazioni del fenomeno. Ciononostante, le problematiche giuridiche connesse alla tutela delle vittime di tratta sono ancora molteplici. In primo luogo, il principale limite delle norme internazionali sulla tutela dell’integrità psico-fisica delle persone è dato dal fatto che tali norme si rivolgono solo alle autorità statali cui, però, generalmente, non è imputabile alcuna responsabilità diretta per gli atti di violenza perpetrati da soggetti privati. Se non mancano casi in cui il fenomeno si realizza con la complicità di agenti statali, gli episodi di tratta, com’è noto, si riconducono all’ambito di sodalizi criminali tra privati. Il problema dell’imputabilità delle condotte poste in essere da attori non-statali riaffiora a fronte di una recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che riconosce la responsabilità indiretta degli Stati per omessa due diligence, anche nel caso di violazioni di diritti umani configurabili come trafficking. D’altra parte, in base alla normativa elaborata nel quadro delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea, gli Stati sono tenuti ad attuare norme puntuali al fine di garantire protezione, accoglienza e accesso alla giustizia alla vittime di tratta. È un dato di fatto, tuttavia, che molti Stati sono oggi impegnati nell’adozione di politiche migratorie restrittive e nell’innalzamento di nuovi muri che favoriscono la diffusione del trafficking e scoraggiano le vittime dal denunciare il loro sfruttamento. Il livello di attuazione, peraltro, è tutt’altro che uniforme. Mentre il Regno Unito lo scorso ottobre introduceva gravi sanzioni a carico delle aziende britanniche colpevoli, anche all’estero, di forme moderne di schiavitù, l’Italia continua a registrare ritardi attuativi della normativa internazionale ed europea. Da questo tragico, contradditorio ma quanto mai attuale scenario nasce l’esigenza di chiarire se ed in che modo gli obblighi internazionali posti a tutela dei diritti fondamentali dell’individuo siano in grado di incidere sull’azione statale diretta a tutelare le vittime di tratta. Prendendo spunto dal recente Rapporto della Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sul trafficking di persone, verificheremo il nesso tra i problemi di attribuzione delle condotte di tratta e il persistente gap di protezione delle sue vittime. Analizzeremo rimedi alternativi, anche ante iudicium, che si rivolgano tanto agli Stati quanto ad attori non-statali, tenendo in particolare considerazione la condizione di asservimento e la perdita di capacità di autodeterminarsi delle vittime di tratta.

Obblighi positivi degli Stati e ineffettività della tutela delle vittime di tratta di esseri umani

Giorgia Bevilacqua
2017

Abstract

Nel corso degli ultimi anni, parallelamente all’aumento dei flussi migratori verso l’Europa, il trafficking ha conosciuto un’evoluzione costante. È cresciuto il numero delle vittime: uomini, donne e soprattutto minori, tutti soggetti estremamente deboli sottoposti a varie forme di sfruttamento. È conseguentemente cresciuto il volume di affari di coloro che traggono vantaggio dalla situazione di irregolarità e vulnerabilità delle proprie vittime. Si tratta di membri di reti criminali transnazionali che compiono gravi violazioni dei diritti umani e, sempre più spesso, agiscono in collaborazione con la criminalità organizzata presente nel Paese di destinazione. Quest’evoluzione ha reso necessaria l’elaborazione di nuovi strumenti internazionali che accogliessero una nozione di trafficking sufficientemente ampia da comprendere le diverse declinazioni del fenomeno. Ciononostante, le problematiche giuridiche connesse alla tutela delle vittime di tratta sono ancora molteplici. In primo luogo, il principale limite delle norme internazionali sulla tutela dell’integrità psico-fisica delle persone è dato dal fatto che tali norme si rivolgono solo alle autorità statali cui, però, generalmente, non è imputabile alcuna responsabilità diretta per gli atti di violenza perpetrati da soggetti privati. Se non mancano casi in cui il fenomeno si realizza con la complicità di agenti statali, gli episodi di tratta, com’è noto, si riconducono all’ambito di sodalizi criminali tra privati. Il problema dell’imputabilità delle condotte poste in essere da attori non-statali riaffiora a fronte di una recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che riconosce la responsabilità indiretta degli Stati per omessa due diligence, anche nel caso di violazioni di diritti umani configurabili come trafficking. D’altra parte, in base alla normativa elaborata nel quadro delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea, gli Stati sono tenuti ad attuare norme puntuali al fine di garantire protezione, accoglienza e accesso alla giustizia alla vittime di tratta. È un dato di fatto, tuttavia, che molti Stati sono oggi impegnati nell’adozione di politiche migratorie restrittive e nell’innalzamento di nuovi muri che favoriscono la diffusione del trafficking e scoraggiano le vittime dal denunciare il loro sfruttamento. Il livello di attuazione, peraltro, è tutt’altro che uniforme. Mentre il Regno Unito lo scorso ottobre introduceva gravi sanzioni a carico delle aziende britanniche colpevoli, anche all’estero, di forme moderne di schiavitù, l’Italia continua a registrare ritardi attuativi della normativa internazionale ed europea. Da questo tragico, contradditorio ma quanto mai attuale scenario nasce l’esigenza di chiarire se ed in che modo gli obblighi internazionali posti a tutela dei diritti fondamentali dell’individuo siano in grado di incidere sull’azione statale diretta a tutelare le vittime di tratta. Prendendo spunto dal recente Rapporto della Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sul trafficking di persone, verificheremo il nesso tra i problemi di attribuzione delle condotte di tratta e il persistente gap di protezione delle sue vittime. Analizzeremo rimedi alternativi, anche ante iudicium, che si rivolgano tanto agli Stati quanto ad attori non-statali, tenendo in particolare considerazione la condizione di asservimento e la perdita di capacità di autodeterminarsi delle vittime di tratta.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/396705
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