Con l’ausilio di fonti documentarie in gran parte inedite, il contributo getta luce sull’origine e sulla ricostruzione seicentesca del palazzo arcivescovile di Santa Maria Capua Vetere, fino ad oggi erroneamente attribuita alla sola iniziativa dei cardinali Camillo e Giovanni Antonio Melzi. Sino alla soppressione agli inizi del XIX secolo, le vicende dell’edificio si intrecceranno indissolubilmente con quelle dell’adiacente basilica di Santa Maria Maggiore, eretta nel 432 e divenuta episcopio nell’841. Anche dopo il trasferimento del vescovato nella nuova Capua, la sede sammaritana avrebbe infatti conservato il prestigioso status proprio grazie al palazzo edificato nel 949 dal rettore benedettino Leone alla destra dell’atrio d’ingresso alla chiesa. Ristrutturato nel 1370 dal vescovo Stefano, l’edificio avrebbe progressivamente assunto l’aspetto e le funzioni di residenza fortificata, e definitivamente demolito agli inizi del XVI secolo in occasione del prolungamento delle navate della cattedrale promosso da Roberto Bellarmino; ricostruito tra il 1627 e il 1633 dal vescovo Girolamo Costanzo, solo successivamente fu ampliato dai Melzi con l’aggiunta di un più comodo appartamento, di un’elegante cappella e di un piccolo giardino. Confiscato durante l’occupazione francese, dal 1809 il palazzo divenne sede delle Corti della neonata Provincia di Terra di Lavoro, e oggetto durante tutto il XIX secolo di una lunga serie di accomodi e ampliamenti che portò alla scomparsa degli ambienti originari. Il disegno delle facciate, la nuova ala posteriore e l'attuale organizzazione interna devono essere invece ascritti ai lavori eseguiti tra il 1925 e il 1940; dal 1992 il palazzo ospita il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi della Campania 'Luigi Vanvitelli'.

Dipartimento di Giurisprudenza. Il palazzo della Mensa arcivescovile di Santa Maria Capua Vetere

Giuseppe Pignatelli Spinazzola
2018

Abstract

Con l’ausilio di fonti documentarie in gran parte inedite, il contributo getta luce sull’origine e sulla ricostruzione seicentesca del palazzo arcivescovile di Santa Maria Capua Vetere, fino ad oggi erroneamente attribuita alla sola iniziativa dei cardinali Camillo e Giovanni Antonio Melzi. Sino alla soppressione agli inizi del XIX secolo, le vicende dell’edificio si intrecceranno indissolubilmente con quelle dell’adiacente basilica di Santa Maria Maggiore, eretta nel 432 e divenuta episcopio nell’841. Anche dopo il trasferimento del vescovato nella nuova Capua, la sede sammaritana avrebbe infatti conservato il prestigioso status proprio grazie al palazzo edificato nel 949 dal rettore benedettino Leone alla destra dell’atrio d’ingresso alla chiesa. Ristrutturato nel 1370 dal vescovo Stefano, l’edificio avrebbe progressivamente assunto l’aspetto e le funzioni di residenza fortificata, e definitivamente demolito agli inizi del XVI secolo in occasione del prolungamento delle navate della cattedrale promosso da Roberto Bellarmino; ricostruito tra il 1627 e il 1633 dal vescovo Girolamo Costanzo, solo successivamente fu ampliato dai Melzi con l’aggiunta di un più comodo appartamento, di un’elegante cappella e di un piccolo giardino. Confiscato durante l’occupazione francese, dal 1809 il palazzo divenne sede delle Corti della neonata Provincia di Terra di Lavoro, e oggetto durante tutto il XIX secolo di una lunga serie di accomodi e ampliamenti che portò alla scomparsa degli ambienti originari. Il disegno delle facciate, la nuova ala posteriore e l'attuale organizzazione interna devono essere invece ascritti ai lavori eseguiti tra il 1925 e il 1940; dal 1992 il palazzo ospita il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi della Campania 'Luigi Vanvitelli'.
2018
PIGNATELLI SPINAZZOLA, Giuseppe
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/395502
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