Nel 1847 Pasquale Mattej, poliedrica figura di storiografo, cartografo e pittore, si imbarcava alla volta di Ponza, prologo di un soggiorno nell'arcipelago protrattosi in due diverse fasi per oltre tre mesi. Il resoconto di quel viaggio, pubblicato qualche anno più tardi, rappresenta uno straordinario reportage su luoghi ancora di fatto sconosciuti, esclusi dai tradizionali itinerari di viaggio e del tutto ignorati da quel particolare genere letterario che pure in quegli stessi anni prediligeva le cosiddette 'cose patrie'. Vera e propria icona del turismo ottocentesco, l'insularità (non solo geografica) diviene in questo caso una forzata condizione di isolamento e di solitudine, filo conduttore attraverso il quale guidare il lettore alla scoperta di luoghi tanto vicini alla terraferma quanto lontani dal mondo in un susseguirsi di grandiosi edifici vulcanici, solitari paesaggi costieri, sinistre fortificazioni abbandonate e malinconiche rovine sulle quali spiccano, quasi accecanti nel loro candore, le moderne e rassicuranti architetture regolarmente disposte intorno ai porti brulicanti di vita, segni inequivocabili di un'urbanizzazione e di una civilizzazione troppo recente per essere credibile. Esaltandone il genius loci, il Mattei avrebbe così gettato le basi per la costruzione del mito dell'arcipelago Ponziano ben prima che Arnold Böcklin e Norman Douglas, fra tutti, ne consacrassero definitivamente la fama di isole dell'esilio, della dimenticanza e dell'oblio.
Prima del mito. Il viaggio di Pasquale Mattej nelle isole Ponziane
PIGNATELLI SPINAZZOLA, Giuseppe
2017
Abstract
Nel 1847 Pasquale Mattej, poliedrica figura di storiografo, cartografo e pittore, si imbarcava alla volta di Ponza, prologo di un soggiorno nell'arcipelago protrattosi in due diverse fasi per oltre tre mesi. Il resoconto di quel viaggio, pubblicato qualche anno più tardi, rappresenta uno straordinario reportage su luoghi ancora di fatto sconosciuti, esclusi dai tradizionali itinerari di viaggio e del tutto ignorati da quel particolare genere letterario che pure in quegli stessi anni prediligeva le cosiddette 'cose patrie'. Vera e propria icona del turismo ottocentesco, l'insularità (non solo geografica) diviene in questo caso una forzata condizione di isolamento e di solitudine, filo conduttore attraverso il quale guidare il lettore alla scoperta di luoghi tanto vicini alla terraferma quanto lontani dal mondo in un susseguirsi di grandiosi edifici vulcanici, solitari paesaggi costieri, sinistre fortificazioni abbandonate e malinconiche rovine sulle quali spiccano, quasi accecanti nel loro candore, le moderne e rassicuranti architetture regolarmente disposte intorno ai porti brulicanti di vita, segni inequivocabili di un'urbanizzazione e di una civilizzazione troppo recente per essere credibile. Esaltandone il genius loci, il Mattei avrebbe così gettato le basi per la costruzione del mito dell'arcipelago Ponziano ben prima che Arnold Böcklin e Norman Douglas, fra tutti, ne consacrassero definitivamente la fama di isole dell'esilio, della dimenticanza e dell'oblio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.