Il saggio descrive i contrasti tra Regno Unito e Italia fascista evidenti sin dalla seconda metà degli Anni Trenta perché il primo vedeva minacciato il ruolo strategicamente decisivo del Mediterraneo come cerniera dell’intero sistema di comunicazioni dell’Impero britannico dalle aspirazioni della seconda a esercitare l’egemonia sul «Mare nostrum». Sono poi analizzati i motivi dell'insuccesso dei tentativi di raggiungere una soluzione di compromesso nella fase della «non belligeranza» italiana, nonostante gli accordi presi in quei mesi nei negoziati tra Roma e Londra, soprattutto nel campo navale, mettendo in luce come gli inglesi abbiano sempre rifiutato anche solo di prendere in considerazione le «ragionevoli» richieste di Mussolini senza una formale denuncia dell’allenza con la Germania. Il saggio descrive, inoltre, i motivi della scelta degli inglesi di concentrare le forze nel Mediterraneo, perché era l’unico teatro di guerra in cui potevano mantenere l’iniziativa militare, cercando alleati nella lotta contro la Germania, con il sostegno alla «Libre France» di De Gaulle e ai movimenti di resistenza armata nei Balcani ed, infine, cercando di raggiungere, da posizioni di forza grazie ai successi militari, una pace separata con l’Italia. Il regime fascista, invece, trascinò il Paese in guerra senza aver concordato una comune linea d’azione con gli alleati tedeschi e senza neppure aver predisposto una precisa strategia militare, nell’illusione di poter partecipare in tempi brevissimi alla spartizione del bottino di una vittoria data già per conseguita dalla Germania. La dichiarazione di guerra non fu perciò seguita da alcuna iniziativa immediata, senza neppure tentare un colpo di mano su Malta, in quel momento quasi del tutto priva di efficaci difese. Neppure la resa della Francia consentì perciò all’Italia fascista di conseguire i propri dichiarati obiettivi di guerra ed, anzi, l’instaurarsi di rapporti sempre più stretti tra la Repubblica di Vichy e il Terzo Reich portò in qualche modo a indebolire il peso dell’Italia nell’Asse. Ne fornisce una conferma la decisione tedesca di lasciare la Tunisia ai francesi, anche a costo di rinunciare ad accorciare le rotte dei convogli che dovevano rifornire le truppe dell’Asse in Nord Africa e di condannare perciò la marina mercantile italiana, costantemente esposta agli attacchi aeronavali inglesi, ad un progressivo dissanguamento. La debolezza militare e i gravi errori nelle scelte strategiche adottate costrinsero perciò rapidamente l'Italia fascista ad abbandonare le pretese di condurre una guerra "parallela" per passare ad una più modesta guerra "subalterna" e a ridimensionare le sue aspirazioni all’egemonia nel Mediterraneo, accettando un regime di condominio, su posizioni subalterne, con i tedeschi nei territori occupati (Grecia, Jugoslavia, Albania, Creta). Neppure la Germania seppe elaborare una precisa strategia mediterranea perché, nonostante i successi del blitz-krieg nei Balcani, dell’Afrika Korps di Rommel e il ruolo svolto dalla Luftwaffe nel Mediterraneo, quel settore d’operazioni rimase sempre subalterno al fronte orientale, non ottenendo mai le risorse necessarie per realizzare il progetto della gigantesca manovra a tenaglia, dal Caucaso e dall’Egitto, per la conquista dei giacimenti petroliferi del Medio Oriente. Il coinvolgimento degli USA nel conflitto riaprì invece il confronto sulla strategia «mediterranea» di Churchill, contestata dai vertici americani, favorevoli invece all’attacco «diretto» alla fortezza europea attraverso la Manica. Il confronto tra le diverse strategie militari di inglesi e americani era anche, ovviamente, condizionato dalla priorità assegnata, dagli americani, agli immediati obiettivi «militari» e, dagli inglesi, a quelli «politici» di lunga durata e dai diversi scenari previsti per il dopoguerra, com’è confermato dai diversi rapporti stabiliti da inglesi e americani nel Nord Africa francese, nel corso dell’operazione Torch (l’occupazione del Marocco e dell’Algeria) con esponenti petainisti (l’accordo Clark-Darlan) o con personaggi in competizione per assumere la guida della Resistenza francese, come Giraud e De Gaulle. Il progressivo aumento degli impegni militari alleati nel Mediterraneo (sbarco in Sicilia, poi preparazione di una «piccola» campagna d’Italia finalizzata alla sola conquista di Napoli e Foggia, infine progetto d’occupazione dell’intera penisola) sembrò segnare l’affermazione della strategia di Churchill, ma i crescenti costi umani ed economici delle operazioni militari portarono gradualmente a modificare i rapporti di forza tra gli inglesi e gli americani, così che già nel corso del conflitto si delinearono gli equilibri geo-politici che si sarebbero affermati nel dopoguerra, con il declino irreversibile dei vecchi imperi coloniali e l’affermazione dell’egemonia americana nel Mediterraneo.

La centralità del Mediterraneo durante la seconda guerra mondiale

DE MARCO, Paolo
2015

Abstract

Il saggio descrive i contrasti tra Regno Unito e Italia fascista evidenti sin dalla seconda metà degli Anni Trenta perché il primo vedeva minacciato il ruolo strategicamente decisivo del Mediterraneo come cerniera dell’intero sistema di comunicazioni dell’Impero britannico dalle aspirazioni della seconda a esercitare l’egemonia sul «Mare nostrum». Sono poi analizzati i motivi dell'insuccesso dei tentativi di raggiungere una soluzione di compromesso nella fase della «non belligeranza» italiana, nonostante gli accordi presi in quei mesi nei negoziati tra Roma e Londra, soprattutto nel campo navale, mettendo in luce come gli inglesi abbiano sempre rifiutato anche solo di prendere in considerazione le «ragionevoli» richieste di Mussolini senza una formale denuncia dell’allenza con la Germania. Il saggio descrive, inoltre, i motivi della scelta degli inglesi di concentrare le forze nel Mediterraneo, perché era l’unico teatro di guerra in cui potevano mantenere l’iniziativa militare, cercando alleati nella lotta contro la Germania, con il sostegno alla «Libre France» di De Gaulle e ai movimenti di resistenza armata nei Balcani ed, infine, cercando di raggiungere, da posizioni di forza grazie ai successi militari, una pace separata con l’Italia. Il regime fascista, invece, trascinò il Paese in guerra senza aver concordato una comune linea d’azione con gli alleati tedeschi e senza neppure aver predisposto una precisa strategia militare, nell’illusione di poter partecipare in tempi brevissimi alla spartizione del bottino di una vittoria data già per conseguita dalla Germania. La dichiarazione di guerra non fu perciò seguita da alcuna iniziativa immediata, senza neppure tentare un colpo di mano su Malta, in quel momento quasi del tutto priva di efficaci difese. Neppure la resa della Francia consentì perciò all’Italia fascista di conseguire i propri dichiarati obiettivi di guerra ed, anzi, l’instaurarsi di rapporti sempre più stretti tra la Repubblica di Vichy e il Terzo Reich portò in qualche modo a indebolire il peso dell’Italia nell’Asse. Ne fornisce una conferma la decisione tedesca di lasciare la Tunisia ai francesi, anche a costo di rinunciare ad accorciare le rotte dei convogli che dovevano rifornire le truppe dell’Asse in Nord Africa e di condannare perciò la marina mercantile italiana, costantemente esposta agli attacchi aeronavali inglesi, ad un progressivo dissanguamento. La debolezza militare e i gravi errori nelle scelte strategiche adottate costrinsero perciò rapidamente l'Italia fascista ad abbandonare le pretese di condurre una guerra "parallela" per passare ad una più modesta guerra "subalterna" e a ridimensionare le sue aspirazioni all’egemonia nel Mediterraneo, accettando un regime di condominio, su posizioni subalterne, con i tedeschi nei territori occupati (Grecia, Jugoslavia, Albania, Creta). Neppure la Germania seppe elaborare una precisa strategia mediterranea perché, nonostante i successi del blitz-krieg nei Balcani, dell’Afrika Korps di Rommel e il ruolo svolto dalla Luftwaffe nel Mediterraneo, quel settore d’operazioni rimase sempre subalterno al fronte orientale, non ottenendo mai le risorse necessarie per realizzare il progetto della gigantesca manovra a tenaglia, dal Caucaso e dall’Egitto, per la conquista dei giacimenti petroliferi del Medio Oriente. Il coinvolgimento degli USA nel conflitto riaprì invece il confronto sulla strategia «mediterranea» di Churchill, contestata dai vertici americani, favorevoli invece all’attacco «diretto» alla fortezza europea attraverso la Manica. Il confronto tra le diverse strategie militari di inglesi e americani era anche, ovviamente, condizionato dalla priorità assegnata, dagli americani, agli immediati obiettivi «militari» e, dagli inglesi, a quelli «politici» di lunga durata e dai diversi scenari previsti per il dopoguerra, com’è confermato dai diversi rapporti stabiliti da inglesi e americani nel Nord Africa francese, nel corso dell’operazione Torch (l’occupazione del Marocco e dell’Algeria) con esponenti petainisti (l’accordo Clark-Darlan) o con personaggi in competizione per assumere la guida della Resistenza francese, come Giraud e De Gaulle. Il progressivo aumento degli impegni militari alleati nel Mediterraneo (sbarco in Sicilia, poi preparazione di una «piccola» campagna d’Italia finalizzata alla sola conquista di Napoli e Foggia, infine progetto d’occupazione dell’intera penisola) sembrò segnare l’affermazione della strategia di Churchill, ma i crescenti costi umani ed economici delle operazioni militari portarono gradualmente a modificare i rapporti di forza tra gli inglesi e gli americani, così che già nel corso del conflitto si delinearono gli equilibri geo-politici che si sarebbero affermati nel dopoguerra, con il declino irreversibile dei vecchi imperi coloniali e l’affermazione dell’egemonia americana nel Mediterraneo.
2015
DE MARCO, Paolo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/343724
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