Il complesso – oggi sede comunale – occupa il margine settentrionale di piazza E. Imperio, invaso sistemato nel primo Novecento lungo l’antico collegamento con il casale di Mercato. La fabbrica si colloca, infatti, appena fuori il centro storico, alla base della collina del Palco, rilevante presidio strategico, ancor oggi munito di ampi e pregevoli resti diversamente datati, principale difesa dello Stato dei Sanseverino di Marsico. L’illustre ramo del potente casato, sempre assai prossimo al potere centrale, accrebbe decisamente il proprio dominio in età aragonese, specie negli anni Sessanta, allorché fu anche investito del Principato di Salerno (1463). Tali vicende hanno uno stretto legame con il manufatto in parola. Fu, difatti, Roberto (1428/29-1474) che, nel dare esecuzione al testamento del padre Giovanni (1444) - che, volendo fondare un convento domenicano nelle proprie perti-nenze, a tal uopo, aveva disposto un lascito di 6000 ducati – concesse come sede dell’istituendo monastero, per un corrispettivo di 4000 ducati, il proprio palazzo “cum pertinentie dove si dice lo Parco”. L’atto fu registrato a Salerno il 22 novembre 1466, mentre al luglio di quell’anno ascrive il breve papale per lo scioglimento del patto testamentario, nel quale è una prima assai sommaria elencazione dei volumi conventuali. Poco altro può dirsi sulla prima facies della struttura domenicana, ad eccezione di un’importante descrizione (1650) dalla quale, oltre a uno stato conservativo già precario, si deducono decisive affinità con le consistenze attuali, coincidenti con un “claustro di sotto”, sorretto da 24 archi di tufo con “officine” intorno e un pozzo d’acqua sorgiva al centro, e un “claustro di sopra” con due dormitori per un totale di 16 celle per 12 religiosi (7 sacerdoti e 5 conversi). Grazie alle tante donazioni, i religiosi poterono, difatti, accumulare una ricca proprietà fondiaria, in parte censuata, provvedendo così più diffusamente alle trasformazioni e agli ampliamenti dell’originario palazzo. D’altronde, oltre al dato filologico sull’evoluzione delle proprietà, anche le strutture attuali, tra le testimonianze più antiche comprendono diversi interventi, genericamente, ascrivibili al tardo XVI – primo XVII sec. In chiesa, ad esempio, ascriverebbe a tale fase l’ambiente a botte lunettata, retrostante l’odierna sacrestia. Dalla metà del XVII alla seconda metà del XVIII sec. si registra un periodo di decadenza. Nel settembre 1775, per “ristaurare il Convento di S. Giovanni al Palco, per l’antichità di esso minacciante ruina”, si affidarono i lavori “con aggiungervi alcune nuove fabbriche per rinforzarlo, e renderlo più commodo”, a Carmine Calvanese, “secondo il disegno e direzione del Regio Ing. D. Michelangelo Arinelli di Napoli”. Dell’imponente ristrutturazione, sinora, non si era stati in grado di definire né la paternità, né l’entità di quanto effettivamente realizzato. Dopo una prima monografia (Morrica, 1999), gli studiosi che hanno esaminato il cosiddetto palazzo “vanvitelliano” si sono occupati, prevalentemente, della pregressa residenza comitale, pervenendo peraltro ad interessanti riflessioni sul gusto albertiano che informerebbe l’attuale configurazione, specie la parte centrale del fronte sud, e sulle influenze toscane della committenza sanseveriniana. Grazie ad inedite acquisizioni documentali e all’analitica lettura stratigrafica e materico-costruttiva che della fabbrica, in questa sede, si è svolta ne è stata affrontata la puntuale restituzione degli approcci e delle modalità esecutive approntati nell'intervento arinelliano.

L'ex-monastero di San Giovanni in Palco a Mercato Sanseverino (SA),

D'APRILE, Marina
;
2016

Abstract

Il complesso – oggi sede comunale – occupa il margine settentrionale di piazza E. Imperio, invaso sistemato nel primo Novecento lungo l’antico collegamento con il casale di Mercato. La fabbrica si colloca, infatti, appena fuori il centro storico, alla base della collina del Palco, rilevante presidio strategico, ancor oggi munito di ampi e pregevoli resti diversamente datati, principale difesa dello Stato dei Sanseverino di Marsico. L’illustre ramo del potente casato, sempre assai prossimo al potere centrale, accrebbe decisamente il proprio dominio in età aragonese, specie negli anni Sessanta, allorché fu anche investito del Principato di Salerno (1463). Tali vicende hanno uno stretto legame con il manufatto in parola. Fu, difatti, Roberto (1428/29-1474) che, nel dare esecuzione al testamento del padre Giovanni (1444) - che, volendo fondare un convento domenicano nelle proprie perti-nenze, a tal uopo, aveva disposto un lascito di 6000 ducati – concesse come sede dell’istituendo monastero, per un corrispettivo di 4000 ducati, il proprio palazzo “cum pertinentie dove si dice lo Parco”. L’atto fu registrato a Salerno il 22 novembre 1466, mentre al luglio di quell’anno ascrive il breve papale per lo scioglimento del patto testamentario, nel quale è una prima assai sommaria elencazione dei volumi conventuali. Poco altro può dirsi sulla prima facies della struttura domenicana, ad eccezione di un’importante descrizione (1650) dalla quale, oltre a uno stato conservativo già precario, si deducono decisive affinità con le consistenze attuali, coincidenti con un “claustro di sotto”, sorretto da 24 archi di tufo con “officine” intorno e un pozzo d’acqua sorgiva al centro, e un “claustro di sopra” con due dormitori per un totale di 16 celle per 12 religiosi (7 sacerdoti e 5 conversi). Grazie alle tante donazioni, i religiosi poterono, difatti, accumulare una ricca proprietà fondiaria, in parte censuata, provvedendo così più diffusamente alle trasformazioni e agli ampliamenti dell’originario palazzo. D’altronde, oltre al dato filologico sull’evoluzione delle proprietà, anche le strutture attuali, tra le testimonianze più antiche comprendono diversi interventi, genericamente, ascrivibili al tardo XVI – primo XVII sec. In chiesa, ad esempio, ascriverebbe a tale fase l’ambiente a botte lunettata, retrostante l’odierna sacrestia. Dalla metà del XVII alla seconda metà del XVIII sec. si registra un periodo di decadenza. Nel settembre 1775, per “ristaurare il Convento di S. Giovanni al Palco, per l’antichità di esso minacciante ruina”, si affidarono i lavori “con aggiungervi alcune nuove fabbriche per rinforzarlo, e renderlo più commodo”, a Carmine Calvanese, “secondo il disegno e direzione del Regio Ing. D. Michelangelo Arinelli di Napoli”. Dell’imponente ristrutturazione, sinora, non si era stati in grado di definire né la paternità, né l’entità di quanto effettivamente realizzato. Dopo una prima monografia (Morrica, 1999), gli studiosi che hanno esaminato il cosiddetto palazzo “vanvitelliano” si sono occupati, prevalentemente, della pregressa residenza comitale, pervenendo peraltro ad interessanti riflessioni sul gusto albertiano che informerebbe l’attuale configurazione, specie la parte centrale del fronte sud, e sulle influenze toscane della committenza sanseveriniana. Grazie ad inedite acquisizioni documentali e all’analitica lettura stratigrafica e materico-costruttiva che della fabbrica, in questa sede, si è svolta ne è stata affrontata la puntuale restituzione degli approcci e delle modalità esecutive approntati nell'intervento arinelliano.
2016
D'Aprile, Marina; Bicco, M.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/225196
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