Il lavoro affronta il tema della redistribuzione finanziaria e gli strumenti perequativi degli Enti Locali e le connesse problematiche poste dal novellato Titolo V, Parte seconda della Costituzione che statuisce l’autonomia finanziaria. Indipendentemente dalla genesi del processo di revisione costituzionale, giova riaffermare con la prevalente dottrina, che la riforma del Titolo V della Costituzione ha apportato sull’assetto costituzionale rilevanti modifiche che influenzano sostanzialmente la disciplina della finanza locale, con particolare riferimento all’autonomia finanziaria, sulla base di un tripode rappresentato dagli artt. 114, 117 e 119. La delimitazione dell’autonomia finanziaria, a mia opinione, in re ipsa, nell’articolazione normativa dell’art. 119 Cost. statuisce che i predetti Enti Istituzionali nello stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie devono agire «in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», ponendo un vincolo di comportamento che delimita la piena autonomia finanziaria ed un limite al potere normativo autonomo delle Regioni. È opportuno ricordare che in un’economia sempre più globalizzata, come l’attuale, la scelta di politica finanziaria, ed in particolare di quella fiscale, ha notevole importanza in quanto influenza le scelte di allocazione dei capitali, delle attività produttive all’interno di un territorio. Questo aspetto risulta essere fondamentale sia a livello statale che eventualmente in un’ottica sovranazionale in quanto il flusso dei capitali finanziari, la collocazione di nuove attività produttive concorrono allo sviluppo di una determinata regione, di un determinato ambito territoriale. In un siffatto sistema agli Enti Locali viene ad essere riconosciuta una reale ed effettiva autonomia nella capacità di indirizzare o, certamente, di influenzare le decisioni che riguardano le scelte di finanza pubblica. La tendenza favorevole ad un’organizzazione di tipo federale della finanza pubblica e, in particolare, con riferimento all’ambito fiscale, si ritiene che risieda anche nella possibilità di un “recupero del rapporto tra rappresentati e rappresentanti”, di conseguenza sul “consenso all’imposizione” in quanto diventa più immediata e verificabile da parte dei consociati l’efficienza e l’efficacia delle scelte effettuate da chi detiene il potere politico. Il nucleo forte del processo di riforma in senso federale ruota attorno al profondo ed integrale ribaltamento del sistema fiscale che si è basato per un lungo periodo prevalentemente sul c.d. trasferimento di quote di tributi erariali agli Enti Locali; finalità che non appare, almeno in modo decisivo e radicale, perseguita nel nuovo testo. Ed è su questo delicatissimo tema che è ancora aperto il dibattito in sede politico-istituzionale. Nel Titolo V, Parte seconda della Costituzione da un lato viene affermata una maggiore autonomia finanziaria delle Regioni e degli Enti Locali, con particolare riguardo alla regolamentazione dei tributi stabiliti dai diversi livelli di governo, dall’altro viene estesa a questi stessi Enti il principio fondamentale della perequazione finanziaria disciplinato dal legislatore statale al fine di assicurare un’equa distribuzione delle risorse derivanti dal gettito fiscale in modo da garantire i livelli essenziali delle prestazioni nelle diverse aree territoriali. Lo Stato persegue tale obiettivo sia attraverso la statuizione di parametri per l’assegnazione dei trasferimenti con destinazione vincolata, sia attraverso trasferimenti diretti sempre in coerenza con i programmi di politica economica ad esse relative. Si ritiene opportuno rilevare che una lettura del federalismo fiscale solo in termini di redistribuzione delle risorse finanziarie in base ai fabbisogni delle singole realtà territoriali è alquanto riduttiva, in quanto esso deve essere considerato soprattutto uno strumento di sviluppo economico che coniughi gli obiettivi di efficienza ed economicità della spesa pubblica, autonomia finanziaria e cooperazione allo sviluppo. Tale visione può essere garantita solo in parte se, nel quadro normativo di attuazione del Titolo V della Costituzione, alle singole Regioni viene attribuita tra le altre la funzione fondamentale di “governo del proprio territorio” conferendo agli Enti Locali ad esse afferenti la potestà di istituire tributi propri che non incidono su basi imponibili già colpite da altri tributi nazionali e/o regionali, più precisamente con la compartecipazione di aliquota ai tributi nazionali e/o regionali sulla base della sussidiarietà. Seguendo tali impostazioni se da un lato viene ulteriormente rafforzato il senso di appartenenza dei cittadini non solo all’Ente Locale, ma al territorio nazionale, dall’altro si dipana il dualismo tra le diverse aree territoriali reperendo i fondi da ridistribuire al fine di perequare le differenze delle capacità fiscali che si verificano. Nel lavoro si effettua un'analisi economica delle norme che evidenziano come la funzione di redistribuzione finanziaria deve essere una funzione svolta a livello nazionale in quanto una politica redistributiva gestita a livello locale sarebbe poca cosa in considerazione della quasi impossibilità nel comporre gli interessi comuni, ma questa conclusione ovviamente non esclude gli Enti Locali dalla realizzazione della politica redistributiva. In conclusione si evidenzia che lo Stato deve adempiere alla funzione di redistribuzione finanziaria tra le varie aree territoriali attraverso il potere di assegnare contributi economici ai singoli Enti Territoriali Locali che non sono in grado di garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali costituzionalmente tutelati, evitando una deresponsabilizzazione da parte delle Autorità Locali e di arginare i dualismi che si potrebbero venire a creare tra i diversi territori a seconda dei livelli di prestazioni differenti conseguenti ad una diversa capacità fiscale per abitante pertanto mediante l’intervento dello Stato con strumenti perequativi “limitare” le disponibilità finanziarie delle Regioni più “virtuose” colmando così il gap di sviluppo tra le differenti aree geografiche. Nel capitolo si pone l'attenzione sull'individuazione del livello appropriato dei servizi poiché nella Costituzione all’art. 117, comma 2, lett. m) si parla di “livello essenziale delle prestazioni …” che dovranno essere garantiti dallo Stato su tutto il territorio nazionale compatibilmente con i principi costituzionalmente tutelati di uguaglianza e garanzia. Inoltre l'analisi della perequazione e redistribuzione finanziaria viene effettuata attraverso l'esame approfondito degli strumenti introdotti dal novellato Titolo V, Parte seconda della Costituzione La sostanziale differenza tra il vecchio e l’attuale disposto costituzionale è rappresentata dalla non confluenza del gettito erariale in un fondo dal quale vengono ripartite le risorse alle Regioni, ma nella possibilità da parte delle Regioni e degli Enti Istituzionali Locali di trattenere direttamente la percentuale di compartecipazioni proporzionata alle entrate territoriali e di godere di un fondo perequativo basato sulla propria capacità fiscale complessiva. Tale sistema consente già in buona parte di ridurre le sperequazioni esistenti tra le Regioni e tra gli Enti Istituzionali Locali. È proprio questo nuovo sistema di riparto del gettito che sostituisce il precedente criterio basato sull’istituto della riserva di aliquota a rappresentare l’ulteriore differenza nell’attuale impianto costituzionale. Obiettivo principale della scelta del Legislatore di mutare il sistema di trasferimenti in compartecipazioni ai tributi erariali è quello di assicurare un sistema di finanziamento dinamico rispetto al gettito, garantendo la stabilità economica. Si ritiene che un sistema dinamico di finanziamento degli Enti Locali e delle Regioni consente di poter meglio “controllare” il grado di equità della redistribuzione sulla base della ricchezza degli Enti Locali stessi. Inoltre gli stessi potrebbero “utilizzare” in modo più conveniente l’autonomia impositiva e, quindi, manovrare la leva fiscale secondo i propri fabbisogni. In secondo luogo la Costituzione si riferisce ai tributi erariali senza alcuna specificazione per l’applicazione della aliquota di compartecipazione, pertanto si ritiene che in tale espressione rientrino non solo i tradizionali tributi statali, ma anche i tributi propri delle Regioni. Una terza annotazione che si ritiene necessaria al fine dell’esame del dettato costituzionale riguarda la “riferibilità al loro territorio”, che viene considerata la reale novità della riforma costituzionale. Tale impostazione di decisione concertata ai diversi livelli istituzionali dovrebbe essere la soluzione che consentirebbe di dare piena attuazione al federalismo fiscale, principio ispiratore della riforma costituzionale, e consentirebbe di raggiungere l’obiettivo della redistribuzione e perequazione finanziaria. Inoltre si evidenzia che la novità del nuovo Titolo V della Costituzione non sia tanto l’introduzione del modello perequativo quanto la costituzionalizzazione del corrispondente principio. In conclusione, l’impianto normativo della perequazione finanziaria trascura una variabile che si ritiene alquanto rilevante cioè quella dei diversi gradi di efficienza dei singoli Enti Territoriali che dipendono, seguendo la definizione del politologo americano Putnam, da «cause di “tradizione civica”, dai diversi livelli di efficienza-economicità del personale politico-amministrativo degli Enti Territoriali, dalla diversa distribuzione della popolazione che può liberamente trasferirsi tra i vari territori, dalla eterogeneità della popolazione stessa». Quindi il riconoscimento del principio redistributivo degli strumenti di finanziamento degli Enti Territoriali Locali è correlato al perseguimento di specifici obiettivi quali «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale…; rimuovere gli squilibri economici e sociali; favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona» con conseguente riconoscimento allo Stato del ruolo di regolatore e correttore degli squilibri territoriali insiti in ogni sistema federale. Inoltre occorre sottolineare come la nostra previsione costituzionale sia programmatica, generica ed elastica in modo da evidenziare ancor di più il tentativo di importazione del modello finanziario tedesco, tralasciando la previsione di importanti e precise norme di principio che limiterebbero la discrezionalità del legislatore statale. Tale sistema redistributivo trova la sua ragion d’essere nel riconoscimento che punto fondamentale del federalismo è il rafforzamento dell’autonomia, della responsabilità e dell’autogoverno anche in presenza di una competizione “virtuosa” tra i vari territori al fine di garantire, almeno nella prima fase di attuazione del decentramento, pari opportunità finanziarie. Ulteriore questione da evidenziare, in contrapposizione all'autonomia, è l’individuazione del momento in cui le Regioni devono essere coinvolte nella definizione dei criteri per la destinazione delle risorse aggiuntive e la realizzazione degli interventi speciali in favore di determinati Enti Territoriali da parte dello Stato per poter provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni. Il trasferimento di alcune funzioni, tra cui la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (che consentono di determinare gli scopi diversi dall’esercizio delle proprie funzioni) di competenza esclusiva dello Stato, potrebbe provocare un non efficiente intervento statale e quindi compromettere il raggiungimento dell’obiettivo di promozione economico-sociale e di riduzione degli squilibri territoriali esistenti. Tale rischio diventa ancor più elevato quando verrà attuato definitivamente anche l’art. 116 Cost. che prevede la possibilità di ampliare le competenze delle Regioni. Non negando la centralità dello Stato nella programmazione delle politiche di sviluppo finanziate con risorse aggiuntive, si ritiene che l’ampliamento delle competenze dei livelli di governo sub-centrali determinerà che l’«intervento statale perderà il requisito dell’aggiuntività, con la conseguente necessità di verificare la competenza per materia». Ovviamente data la mancata attuazione definitiva dell’art. 119 Cost., ad oggi si rileva ancora l’esistenza di un modello centralista e con ripercussioni pesanti sulla finanza pubblica e soprattutto per i bilanci degli Enti Territoriali Locali che devono scegliere tra la riduzione dei servizi ai cittadini o un aumento della pressione fiscale e tariffaria.
Redistribuzione finanziaria e gli strumenti perequativi degli Enti Locali
Floriana, Santagata
2010
Abstract
Il lavoro affronta il tema della redistribuzione finanziaria e gli strumenti perequativi degli Enti Locali e le connesse problematiche poste dal novellato Titolo V, Parte seconda della Costituzione che statuisce l’autonomia finanziaria. Indipendentemente dalla genesi del processo di revisione costituzionale, giova riaffermare con la prevalente dottrina, che la riforma del Titolo V della Costituzione ha apportato sull’assetto costituzionale rilevanti modifiche che influenzano sostanzialmente la disciplina della finanza locale, con particolare riferimento all’autonomia finanziaria, sulla base di un tripode rappresentato dagli artt. 114, 117 e 119. La delimitazione dell’autonomia finanziaria, a mia opinione, in re ipsa, nell’articolazione normativa dell’art. 119 Cost. statuisce che i predetti Enti Istituzionali nello stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie devono agire «in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», ponendo un vincolo di comportamento che delimita la piena autonomia finanziaria ed un limite al potere normativo autonomo delle Regioni. È opportuno ricordare che in un’economia sempre più globalizzata, come l’attuale, la scelta di politica finanziaria, ed in particolare di quella fiscale, ha notevole importanza in quanto influenza le scelte di allocazione dei capitali, delle attività produttive all’interno di un territorio. Questo aspetto risulta essere fondamentale sia a livello statale che eventualmente in un’ottica sovranazionale in quanto il flusso dei capitali finanziari, la collocazione di nuove attività produttive concorrono allo sviluppo di una determinata regione, di un determinato ambito territoriale. In un siffatto sistema agli Enti Locali viene ad essere riconosciuta una reale ed effettiva autonomia nella capacità di indirizzare o, certamente, di influenzare le decisioni che riguardano le scelte di finanza pubblica. La tendenza favorevole ad un’organizzazione di tipo federale della finanza pubblica e, in particolare, con riferimento all’ambito fiscale, si ritiene che risieda anche nella possibilità di un “recupero del rapporto tra rappresentati e rappresentanti”, di conseguenza sul “consenso all’imposizione” in quanto diventa più immediata e verificabile da parte dei consociati l’efficienza e l’efficacia delle scelte effettuate da chi detiene il potere politico. Il nucleo forte del processo di riforma in senso federale ruota attorno al profondo ed integrale ribaltamento del sistema fiscale che si è basato per un lungo periodo prevalentemente sul c.d. trasferimento di quote di tributi erariali agli Enti Locali; finalità che non appare, almeno in modo decisivo e radicale, perseguita nel nuovo testo. Ed è su questo delicatissimo tema che è ancora aperto il dibattito in sede politico-istituzionale. Nel Titolo V, Parte seconda della Costituzione da un lato viene affermata una maggiore autonomia finanziaria delle Regioni e degli Enti Locali, con particolare riguardo alla regolamentazione dei tributi stabiliti dai diversi livelli di governo, dall’altro viene estesa a questi stessi Enti il principio fondamentale della perequazione finanziaria disciplinato dal legislatore statale al fine di assicurare un’equa distribuzione delle risorse derivanti dal gettito fiscale in modo da garantire i livelli essenziali delle prestazioni nelle diverse aree territoriali. Lo Stato persegue tale obiettivo sia attraverso la statuizione di parametri per l’assegnazione dei trasferimenti con destinazione vincolata, sia attraverso trasferimenti diretti sempre in coerenza con i programmi di politica economica ad esse relative. Si ritiene opportuno rilevare che una lettura del federalismo fiscale solo in termini di redistribuzione delle risorse finanziarie in base ai fabbisogni delle singole realtà territoriali è alquanto riduttiva, in quanto esso deve essere considerato soprattutto uno strumento di sviluppo economico che coniughi gli obiettivi di efficienza ed economicità della spesa pubblica, autonomia finanziaria e cooperazione allo sviluppo. Tale visione può essere garantita solo in parte se, nel quadro normativo di attuazione del Titolo V della Costituzione, alle singole Regioni viene attribuita tra le altre la funzione fondamentale di “governo del proprio territorio” conferendo agli Enti Locali ad esse afferenti la potestà di istituire tributi propri che non incidono su basi imponibili già colpite da altri tributi nazionali e/o regionali, più precisamente con la compartecipazione di aliquota ai tributi nazionali e/o regionali sulla base della sussidiarietà. Seguendo tali impostazioni se da un lato viene ulteriormente rafforzato il senso di appartenenza dei cittadini non solo all’Ente Locale, ma al territorio nazionale, dall’altro si dipana il dualismo tra le diverse aree territoriali reperendo i fondi da ridistribuire al fine di perequare le differenze delle capacità fiscali che si verificano. Nel lavoro si effettua un'analisi economica delle norme che evidenziano come la funzione di redistribuzione finanziaria deve essere una funzione svolta a livello nazionale in quanto una politica redistributiva gestita a livello locale sarebbe poca cosa in considerazione della quasi impossibilità nel comporre gli interessi comuni, ma questa conclusione ovviamente non esclude gli Enti Locali dalla realizzazione della politica redistributiva. In conclusione si evidenzia che lo Stato deve adempiere alla funzione di redistribuzione finanziaria tra le varie aree territoriali attraverso il potere di assegnare contributi economici ai singoli Enti Territoriali Locali che non sono in grado di garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali costituzionalmente tutelati, evitando una deresponsabilizzazione da parte delle Autorità Locali e di arginare i dualismi che si potrebbero venire a creare tra i diversi territori a seconda dei livelli di prestazioni differenti conseguenti ad una diversa capacità fiscale per abitante pertanto mediante l’intervento dello Stato con strumenti perequativi “limitare” le disponibilità finanziarie delle Regioni più “virtuose” colmando così il gap di sviluppo tra le differenti aree geografiche. Nel capitolo si pone l'attenzione sull'individuazione del livello appropriato dei servizi poiché nella Costituzione all’art. 117, comma 2, lett. m) si parla di “livello essenziale delle prestazioni …” che dovranno essere garantiti dallo Stato su tutto il territorio nazionale compatibilmente con i principi costituzionalmente tutelati di uguaglianza e garanzia. Inoltre l'analisi della perequazione e redistribuzione finanziaria viene effettuata attraverso l'esame approfondito degli strumenti introdotti dal novellato Titolo V, Parte seconda della Costituzione La sostanziale differenza tra il vecchio e l’attuale disposto costituzionale è rappresentata dalla non confluenza del gettito erariale in un fondo dal quale vengono ripartite le risorse alle Regioni, ma nella possibilità da parte delle Regioni e degli Enti Istituzionali Locali di trattenere direttamente la percentuale di compartecipazioni proporzionata alle entrate territoriali e di godere di un fondo perequativo basato sulla propria capacità fiscale complessiva. Tale sistema consente già in buona parte di ridurre le sperequazioni esistenti tra le Regioni e tra gli Enti Istituzionali Locali. È proprio questo nuovo sistema di riparto del gettito che sostituisce il precedente criterio basato sull’istituto della riserva di aliquota a rappresentare l’ulteriore differenza nell’attuale impianto costituzionale. Obiettivo principale della scelta del Legislatore di mutare il sistema di trasferimenti in compartecipazioni ai tributi erariali è quello di assicurare un sistema di finanziamento dinamico rispetto al gettito, garantendo la stabilità economica. Si ritiene che un sistema dinamico di finanziamento degli Enti Locali e delle Regioni consente di poter meglio “controllare” il grado di equità della redistribuzione sulla base della ricchezza degli Enti Locali stessi. Inoltre gli stessi potrebbero “utilizzare” in modo più conveniente l’autonomia impositiva e, quindi, manovrare la leva fiscale secondo i propri fabbisogni. In secondo luogo la Costituzione si riferisce ai tributi erariali senza alcuna specificazione per l’applicazione della aliquota di compartecipazione, pertanto si ritiene che in tale espressione rientrino non solo i tradizionali tributi statali, ma anche i tributi propri delle Regioni. Una terza annotazione che si ritiene necessaria al fine dell’esame del dettato costituzionale riguarda la “riferibilità al loro territorio”, che viene considerata la reale novità della riforma costituzionale. Tale impostazione di decisione concertata ai diversi livelli istituzionali dovrebbe essere la soluzione che consentirebbe di dare piena attuazione al federalismo fiscale, principio ispiratore della riforma costituzionale, e consentirebbe di raggiungere l’obiettivo della redistribuzione e perequazione finanziaria. Inoltre si evidenzia che la novità del nuovo Titolo V della Costituzione non sia tanto l’introduzione del modello perequativo quanto la costituzionalizzazione del corrispondente principio. In conclusione, l’impianto normativo della perequazione finanziaria trascura una variabile che si ritiene alquanto rilevante cioè quella dei diversi gradi di efficienza dei singoli Enti Territoriali che dipendono, seguendo la definizione del politologo americano Putnam, da «cause di “tradizione civica”, dai diversi livelli di efficienza-economicità del personale politico-amministrativo degli Enti Territoriali, dalla diversa distribuzione della popolazione che può liberamente trasferirsi tra i vari territori, dalla eterogeneità della popolazione stessa». Quindi il riconoscimento del principio redistributivo degli strumenti di finanziamento degli Enti Territoriali Locali è correlato al perseguimento di specifici obiettivi quali «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale…; rimuovere gli squilibri economici e sociali; favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona» con conseguente riconoscimento allo Stato del ruolo di regolatore e correttore degli squilibri territoriali insiti in ogni sistema federale. Inoltre occorre sottolineare come la nostra previsione costituzionale sia programmatica, generica ed elastica in modo da evidenziare ancor di più il tentativo di importazione del modello finanziario tedesco, tralasciando la previsione di importanti e precise norme di principio che limiterebbero la discrezionalità del legislatore statale. Tale sistema redistributivo trova la sua ragion d’essere nel riconoscimento che punto fondamentale del federalismo è il rafforzamento dell’autonomia, della responsabilità e dell’autogoverno anche in presenza di una competizione “virtuosa” tra i vari territori al fine di garantire, almeno nella prima fase di attuazione del decentramento, pari opportunità finanziarie. Ulteriore questione da evidenziare, in contrapposizione all'autonomia, è l’individuazione del momento in cui le Regioni devono essere coinvolte nella definizione dei criteri per la destinazione delle risorse aggiuntive e la realizzazione degli interventi speciali in favore di determinati Enti Territoriali da parte dello Stato per poter provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni. Il trasferimento di alcune funzioni, tra cui la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (che consentono di determinare gli scopi diversi dall’esercizio delle proprie funzioni) di competenza esclusiva dello Stato, potrebbe provocare un non efficiente intervento statale e quindi compromettere il raggiungimento dell’obiettivo di promozione economico-sociale e di riduzione degli squilibri territoriali esistenti. Tale rischio diventa ancor più elevato quando verrà attuato definitivamente anche l’art. 116 Cost. che prevede la possibilità di ampliare le competenze delle Regioni. Non negando la centralità dello Stato nella programmazione delle politiche di sviluppo finanziate con risorse aggiuntive, si ritiene che l’ampliamento delle competenze dei livelli di governo sub-centrali determinerà che l’«intervento statale perderà il requisito dell’aggiuntività, con la conseguente necessità di verificare la competenza per materia». Ovviamente data la mancata attuazione definitiva dell’art. 119 Cost., ad oggi si rileva ancora l’esistenza di un modello centralista e con ripercussioni pesanti sulla finanza pubblica e soprattutto per i bilanci degli Enti Territoriali Locali che devono scegliere tra la riduzione dei servizi ai cittadini o un aumento della pressione fiscale e tariffaria.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.