Negli ultimi vent’anni i mercati del lavoro dei paesi OCSE hanno subito cambiamenti profondi secondo modalità ed intensità diverse in ragione dei diversi contesti nazionali. Il minimo comune denominatore è rappresentato dalla “flessibilizzazione” della disciplina del lavoro, che, alla luce dei dati relativi alle situazioni occupazionali nei diversi Paesi e della presunta inadeguatezza della rigidità del precedente sistema, è apparsa come l’unica via percorribile in vista del superamento dello stallo economico ed occupazionale in atto. Ne deriva la crisi del modello tradizionale di rapporto di lavoro “a tempo pieno ed indeterminato” come si è affermato dopo un lungo processo avviato alla fine del XIX secolo. E’ la conseguenza di un mutamento della realtà sociale rispetto a quella c.d. “Fordista” che induce a parlare oggi di epoca del “ Post-Fordismo”. La logica fordista che per decenni ha caratterizzato il mondo della produzione, si fondava sul binomio “subordinazione – stabilità”: le imprese legavano a sé la forza lavoro in cambio di una certa stabilità del posto di lavoro. Oggi invece “Occupabilità” per il lavoratore e “Prestazioni” per le imprese sono le nuove ragioni di scambio: si chiede al lavoratore maggiore autonomia e mobilità ma in cambio si offrono minori garanzie. Se da un lato si aprono ampie occasioni per valorizzare le potenzialità professionali del lavoratore, dall’altro la flessibilizzazione del lavoro comporta l’indebolimento delle garanzie e delle tutele, l’affermarsi di disuguaglianze tra gruppi di lavoratori, il rischio di perdita del posto, l’incertezza del futuro, prospettive di inferiorità e di esclusione sul piano economico e sociale, in una parola il rischio dello sconfinamento nel precariato. Questa è la ragione per cui alla flessibilità/precarietà, bisogna saper contrapporre un’adeguata valorizzazione del capitale umano, attraverso protezioni e tutele contro i rischi e le incertezze, mediante la previsione di nuovi e migliori ammortizzatori sociali. Coniugare l’esigenza di flessibilità delle imprese con le istanze di tutela del lavoro è uno degli obiettivi che si propone la riforma del mercato del lavoro attuata in Italia con la legge 30/2003 e il relativo decreto attuativo 276/2003. La legge di riforma, figlia del Libro Bianco di Marco Biagi, è l’ultimo intervento in ordine di tempo che si propone di introdurre una nuova cultura del lavoro improntata sul bilanciamento tra “flessibilità e sicurezza”, per realizzare il quale sembra necessario un intervento decisivo sul sistema di sicurezza sociale ed in particolare una profonda riforma del sistema degli Ammortizzatori Sociali. Il presente lavoro si propone di affrontare proprio la tematica relativa alla necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali di fronte alla realtà del “lavoro che cambia”.

La tutela della disoccupazione

BALLETTI, Emilio
2007

Abstract

Negli ultimi vent’anni i mercati del lavoro dei paesi OCSE hanno subito cambiamenti profondi secondo modalità ed intensità diverse in ragione dei diversi contesti nazionali. Il minimo comune denominatore è rappresentato dalla “flessibilizzazione” della disciplina del lavoro, che, alla luce dei dati relativi alle situazioni occupazionali nei diversi Paesi e della presunta inadeguatezza della rigidità del precedente sistema, è apparsa come l’unica via percorribile in vista del superamento dello stallo economico ed occupazionale in atto. Ne deriva la crisi del modello tradizionale di rapporto di lavoro “a tempo pieno ed indeterminato” come si è affermato dopo un lungo processo avviato alla fine del XIX secolo. E’ la conseguenza di un mutamento della realtà sociale rispetto a quella c.d. “Fordista” che induce a parlare oggi di epoca del “ Post-Fordismo”. La logica fordista che per decenni ha caratterizzato il mondo della produzione, si fondava sul binomio “subordinazione – stabilità”: le imprese legavano a sé la forza lavoro in cambio di una certa stabilità del posto di lavoro. Oggi invece “Occupabilità” per il lavoratore e “Prestazioni” per le imprese sono le nuove ragioni di scambio: si chiede al lavoratore maggiore autonomia e mobilità ma in cambio si offrono minori garanzie. Se da un lato si aprono ampie occasioni per valorizzare le potenzialità professionali del lavoratore, dall’altro la flessibilizzazione del lavoro comporta l’indebolimento delle garanzie e delle tutele, l’affermarsi di disuguaglianze tra gruppi di lavoratori, il rischio di perdita del posto, l’incertezza del futuro, prospettive di inferiorità e di esclusione sul piano economico e sociale, in una parola il rischio dello sconfinamento nel precariato. Questa è la ragione per cui alla flessibilità/precarietà, bisogna saper contrapporre un’adeguata valorizzazione del capitale umano, attraverso protezioni e tutele contro i rischi e le incertezze, mediante la previsione di nuovi e migliori ammortizzatori sociali. Coniugare l’esigenza di flessibilità delle imprese con le istanze di tutela del lavoro è uno degli obiettivi che si propone la riforma del mercato del lavoro attuata in Italia con la legge 30/2003 e il relativo decreto attuativo 276/2003. La legge di riforma, figlia del Libro Bianco di Marco Biagi, è l’ultimo intervento in ordine di tempo che si propone di introdurre una nuova cultura del lavoro improntata sul bilanciamento tra “flessibilità e sicurezza”, per realizzare il quale sembra necessario un intervento decisivo sul sistema di sicurezza sociale ed in particolare una profonda riforma del sistema degli Ammortizzatori Sociali. Il presente lavoro si propone di affrontare proprio la tematica relativa alla necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali di fronte alla realtà del “lavoro che cambia”.
2007
Balletti, Emilio
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