Il saggio si propone di riflettere su tre passaggi epocali che sono, al tempo stesso, da un lato, storicamente individuabili e, dall’altro, filosoficamente investigabili. Si tratta: 1) della antica percezione del Nomos, intesa nella sua forza arbitraria e assoluta (che si impone a prescindere da un Logos), 2) del rovesciamento radicale avvenuto con l’Evangelo, 3) della costruzione nata dal rapporto conflittuale tra il Nomos, in quanto forza costituente, e i diritti fondamentali, in quanto forze delle singole persone. Lungo questo tracciato è possibile individuare, fin dai tempi dell’illuminismo greco, nel Nomos l’aprirsi di alcune crepe, soprattutto là dove si incrocia con i fenomeni costituiti dalla coscienza interrogante e dalla potenza dell’artificio. La rottura, rappresentata dall’Evangelo, individua il paradossale luogo di un Ultimo che vien posto come superiore allo stesso Primo che lo pone, se questo Primo è la semplice Legge, il Nomos senza Logos. Si costituisce, in questa prospettiva, una teologia dell’Ultimo, più radicale di una teologia del Primo intesa come pura teologia della Legge. Nella storia del costituzionalismo moderno i due percorsi – quello del Nomos costituente e quello dell’Ultimo che lo interroga e lo misura – paradossalmente si incrociano daccapo, ma sul terreno più secolare ed empirico del diritto. Una tale prospettiva apre due problemi specifici, degni di considerazione: da un lato, una diversa prospettazione della “laicità”, che spesso viene mal impostata, in quanto, invece di muovere da un atteggiamento di distinzione di piani, muove da un atteggiamento di opposizione di piani. Nel senso più corretto, infatti, la laicità è l’apertura di un orizzonte in cui i diversi valori possono virtuosamente convivere, e non la semplice tolleranza che, priva di valore, tollera che esistano valori. Dall’altro lato, può essere curioso osservare come oggi la considerazione dei diritti dell’uomo si presenti come slegata dalla considerazione dell’Evangelo, il quale, guardato da un punto di vista assolutamente laico, è paradossalmente proprio il luogo originario in cui la dignità dell’Ultimo è rigorosamente affermata, a prescindere da ogni partigiana religiosità. Si verifica così un paradosso analogo a quello messo in scena da Fëdor Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore. Cristo viene condannato dall’Inquisitore in nome di Cristo. Proprio mentre Cristo, condannato dall’Inquisitore, ciononostante, gli perdona e lo bacia.

Nomos, Evangelo, Stato costituzionale. Dall’Uno all’Ultimo: dalla potenza della contrazione alla potenza della contraddizione

LIMONE, Giuseppe
2014

Abstract

Il saggio si propone di riflettere su tre passaggi epocali che sono, al tempo stesso, da un lato, storicamente individuabili e, dall’altro, filosoficamente investigabili. Si tratta: 1) della antica percezione del Nomos, intesa nella sua forza arbitraria e assoluta (che si impone a prescindere da un Logos), 2) del rovesciamento radicale avvenuto con l’Evangelo, 3) della costruzione nata dal rapporto conflittuale tra il Nomos, in quanto forza costituente, e i diritti fondamentali, in quanto forze delle singole persone. Lungo questo tracciato è possibile individuare, fin dai tempi dell’illuminismo greco, nel Nomos l’aprirsi di alcune crepe, soprattutto là dove si incrocia con i fenomeni costituiti dalla coscienza interrogante e dalla potenza dell’artificio. La rottura, rappresentata dall’Evangelo, individua il paradossale luogo di un Ultimo che vien posto come superiore allo stesso Primo che lo pone, se questo Primo è la semplice Legge, il Nomos senza Logos. Si costituisce, in questa prospettiva, una teologia dell’Ultimo, più radicale di una teologia del Primo intesa come pura teologia della Legge. Nella storia del costituzionalismo moderno i due percorsi – quello del Nomos costituente e quello dell’Ultimo che lo interroga e lo misura – paradossalmente si incrociano daccapo, ma sul terreno più secolare ed empirico del diritto. Una tale prospettiva apre due problemi specifici, degni di considerazione: da un lato, una diversa prospettazione della “laicità”, che spesso viene mal impostata, in quanto, invece di muovere da un atteggiamento di distinzione di piani, muove da un atteggiamento di opposizione di piani. Nel senso più corretto, infatti, la laicità è l’apertura di un orizzonte in cui i diversi valori possono virtuosamente convivere, e non la semplice tolleranza che, priva di valore, tollera che esistano valori. Dall’altro lato, può essere curioso osservare come oggi la considerazione dei diritti dell’uomo si presenti come slegata dalla considerazione dell’Evangelo, il quale, guardato da un punto di vista assolutamente laico, è paradossalmente proprio il luogo originario in cui la dignità dell’Ultimo è rigorosamente affermata, a prescindere da ogni partigiana religiosità. Si verifica così un paradosso analogo a quello messo in scena da Fëdor Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore. Cristo viene condannato dall’Inquisitore in nome di Cristo. Proprio mentre Cristo, condannato dall’Inquisitore, ciononostante, gli perdona e lo bacia.
2014
Limone, Giuseppe
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/180657
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