A distanza di oltre settantasei anni dalla morte, avvenuta a Roma il 27 aprile 1937, Antonio Gramsci continua ad essere al centro di un acceso dibattito, filosofico e politico, e suscita ancora polemiche. Michela Murgia, nella prefazione alla recente edizione delle Lettere dal carcere, ha osservato che il volto del pensatore sardo è diventato ormai «una icona pop con livelli di riconoscibilità pari o di poco inferiori a quelli di Che Guevara, di Marilyn Monroe e di Martin Luther King» . In effetti, la sua figura è rimasta a lungo sovraesposta assumendo, di volta in volta, il ruolo di “parafulmine”, di nume tutelare cui ricorrere al momento giusto o, al contrario, quello del dissidente, osteggiato e strumentalizzato secondo le convenienze. In questa sede si cerca di delineare un punto di vista poco usuale per la rilettura del percorso filosofico gramsciano, ossia quello degli studi linguistici, per dimostrare quanto questi siano stati importanti per la definizione del progetto politico e quanto siano stati originali e fecondi. Si racconta che Gramsci amasse ripetere il ritornello “Spesso a cuori e picche/ ansiose bocche/ chiedono la verità/ principi e plebe vengono qua/ Madam di Tebe le carte fa…”, citando dall’operetta Madama di Tebe (1918) di Carlo Lombardo . Senza pretendere di iper-interpretare, si può ritenere che il motivetto evocasse nella sua mente l’idea che ciascuno interpreta i segni secondo le proprie aspirazioni, seguendo bisogni e inclinazioni, sogni e desideri, e che compito dell’uomo politico – nel senso più alto del termine – fosse quello di tradurre i “segni” dei tempi, interpretandoli e rendendoli accessibili a tutti. Le carte da gioco possono essere viste, in questa prospettiva, come i “semi” delle situazioni personali, nazionali e internazionali, da combinare e tradurre per decifrare la realtà. Se le cose stanno così, Gramsci è – e rimarrà per tutta la vita – uno studioso del linguaggio. L’indagine su una parola diventa l’investigazione su un mondo, l’analisi di una cultura e pertanto la storia del pensiero e della realtà. La linguistica diventa, così, il codice con cui decifrare la Storia.

Una passione mai sopita: gli studi linguistici di Antonio Gramsci

SAGGIOMO, Carmen
2013

Abstract

A distanza di oltre settantasei anni dalla morte, avvenuta a Roma il 27 aprile 1937, Antonio Gramsci continua ad essere al centro di un acceso dibattito, filosofico e politico, e suscita ancora polemiche. Michela Murgia, nella prefazione alla recente edizione delle Lettere dal carcere, ha osservato che il volto del pensatore sardo è diventato ormai «una icona pop con livelli di riconoscibilità pari o di poco inferiori a quelli di Che Guevara, di Marilyn Monroe e di Martin Luther King» . In effetti, la sua figura è rimasta a lungo sovraesposta assumendo, di volta in volta, il ruolo di “parafulmine”, di nume tutelare cui ricorrere al momento giusto o, al contrario, quello del dissidente, osteggiato e strumentalizzato secondo le convenienze. In questa sede si cerca di delineare un punto di vista poco usuale per la rilettura del percorso filosofico gramsciano, ossia quello degli studi linguistici, per dimostrare quanto questi siano stati importanti per la definizione del progetto politico e quanto siano stati originali e fecondi. Si racconta che Gramsci amasse ripetere il ritornello “Spesso a cuori e picche/ ansiose bocche/ chiedono la verità/ principi e plebe vengono qua/ Madam di Tebe le carte fa…”, citando dall’operetta Madama di Tebe (1918) di Carlo Lombardo . Senza pretendere di iper-interpretare, si può ritenere che il motivetto evocasse nella sua mente l’idea che ciascuno interpreta i segni secondo le proprie aspirazioni, seguendo bisogni e inclinazioni, sogni e desideri, e che compito dell’uomo politico – nel senso più alto del termine – fosse quello di tradurre i “segni” dei tempi, interpretandoli e rendendoli accessibili a tutti. Le carte da gioco possono essere viste, in questa prospettiva, come i “semi” delle situazioni personali, nazionali e internazionali, da combinare e tradurre per decifrare la realtà. Se le cose stanno così, Gramsci è – e rimarrà per tutta la vita – uno studioso del linguaggio. L’indagine su una parola diventa l’investigazione su un mondo, l’analisi di una cultura e pertanto la storia del pensiero e della realtà. La linguistica diventa, così, il codice con cui decifrare la Storia.
2013
Saggiomo, Carmen
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