Nella fase recente di espansione del settore dei servizi sociali, fase legata anche all’attuazione della legge 328 del 2000 di riforma del welfare, cresce la precarietà retributiva ed occupazionale di coloro che operano nel variegato mondo delle professioni sociali. Il fenomeno riguarda soprattutto i più giovani, assunti perciò di recente, spesso in base a contratti lavorativi legati alla realizzazione di progetti annuali o, comunque, di breve durata. La crescente precarietà dei rapporti lavorativi nel settore dei servizi sociali è sempre più spesso all’origine di una crisi motivazionale degli operatori e di una conseguente “fuga di cervelli” dal settore nonprofit in genere a quello privato forprofit o, in misura più consistente, a quello pubblico. Altri, invece, cercano fortuna in settori affatto diversi da quello dell’offerta di servizi sociali. Da un lato, il fenomeno in considerazione può essere visto come una dimostrazione della vitalità delle organizzazioni nonprofit, che si confermano essere uno stepping stone (una sorta di trampolino di lancio, una palestra) dove molti giovani accumulano un bagaglio di esperienza professionale che può essere facilmente speso in altre organizzazioni o in altri settori. Dall’altro, però, esso rappresenta una fonte di depauperamento, in primo luogo, per coloro che ne sono direttamente coinvolti: essi, infatti, sono costretti ad interrompere la loro esperienza professionale ed a continuare la loro carriera altrove, spesso ripartendo da zero pur avendo già accumulato alcuni anni di esperienza lavorativa. Infatti, almeno una parte dell’esperienza lavorativa, la componente specifica all’organizzazione è difficilmente trasferibile. In secondo luogo, il settore stesso perde l’investimento formativo fatto su chi transita altrove ed è costretto a contare su lavoratori sempre nuovi e, perciò, spesso in difetto di motivazione e di formazione professionale specifica. La “fuga dei cervelli” dal settore delle professioni sociali è, almeno in parte, una conseguenza fisiologica della sua crescita tumultuosa che ha determinato l’entrata di molti giovani poco motivati già in partenza, anche perché non dotati della formazione necessaria per affrontare professioni difficili sul piano emotivo, oltre che economico. Tuttavia, il fenomeno è da attribuirsi anche ad un senso di frustrazione crescente e diffuso fra gli operatori sociali, legato, a sua volta, alla diffusione di contratti di lavoro flessibili, non accompagnati da sufficienti forme di tutele della stabilità occupazionale e retributiva. Questo lavoro si propone di analizzare le cause e le conseguenze della “fuga di cervelli” dal settore delle professioni sociali nella convinzione che sia necessario ormai concepire le professioni sociali non come residuali, bensì come una componente stabile e duratura dell’occupazione complessiva. La recente espansione del settore non è, infatti, un fenomeno casuale, ma una conseguenza logica della strategia di diversificazione dell’offerta di servizi sociali perseguita non solo in Italia, ma in tutti i paesi ad economia avanzata. Di conseguenza, i problemi che l’espansione del settore pone non possono essere affrontati con un’ottica emergenziale. Essi richiedono una attenta riflessione e l’adozione di interventi di riforma adeguati, volti sia a modificare il quadro legislativo esistente che ad introdurre nuovi strumenti di intervento ancora non considerati. Il primo paragrafo si propone di richiamare il dibattito di teoria economica sulla flessibilità nel mercato del lavoro, nella convinzione che la crescente precarietà delle professioni sociali sia la conseguenza non solo di fattori specifici del settore, ma anche di una più generale tendenza del mercato del lavoro italiano alla flessibilità dei rapporti lavorativi. Si analizzano, pertanto, i vantaggi e i limiti dell’introduzione di forme contrattuali atipiche su larga scala nel mercato del lavoro come messi in evidenza nella letteratura teorica. Un certo grado di flessibilità è necessario quando l’economia passa da un sistema di produzione fordista ad uno post-fordista. Tuttavia, la flessibilità permette effettivamente una migliore allocazione delle risorse lavorative fra i settori senza tradursi perciò in precarietà lavorativa ed in ulteriore disoccupazione quando riguarda una forza lavoro con alto livello d’istruzione e di formazione professionale. Inoltre, come suggerito dall’approccio della flexicurity, la flessibilità richiede l’adozione di forme di tutela del reddito e dell’occupazione, rappresentate sia dai sussidi di disoccupazione che da garanzie previdenziali. Queste possono, in principio, essere garantite dal settore pubblico ovvero dalle organizzazioni di settore. Il secondo paragrafo analizza l’esperienza italiana degli ultimi due decenni, quando il mercato del lavoro si è trasformato da molto rigido a moderatamente flessibile. Alla fine degli anni Ottanta e all’inizio dei Novanta è stato compiuto il percorso che ha condotto ad un alto grado di flessibilità salariale, attraverso la sostituzione dell’indicizzazione automatica contro l’inflazione garantita dalla scala mobile alla indicizzazione istituzionale garantita dagli accordi di politica dei redditi nell’ambito della concertazione tripartita. Nel corso degli anni Novanta, si è introdotta la flessibilità funzionale, anche nella pubblica amministrazione, e la flessibilità numerica, riducendo i costi di assunzione dei lavoratori attraverso la introduzione di forme contrattuali atipiche. I servizi sociali hanno subito le conseguenze di questo generale processo di flessibilizzazione del mondo del lavoro italiano. Infatti, un’ampia evidenza aneddotica suggerisce che in anni recenti si è verificata una crescita notevole delle forme lavorative atipiche, sia temporanee che a progetto non solo nel settore privato nonprofit, ma anche in quello privato forprofit e, ciò che potrebbe all’apparenza sorprendere, in quello pubblico. Fra i fattori specifici del settore particolare importanza assume l’assenza di concorrenzialità dal lato della domanda, ciò che permette al settore pubblico di avere una posizione monopsonistica. Il settore pubblico detta non solo il prezzo, ma anche i tempi del suo pagamento agli operatori sociali. Ciò spinge a dire che un elemento addizionale di certezza delle retribuzioni e di continuità del rapporto lavorativo, ovvero di minore precarietà, potrebbe venire da un impegno maggiore da parte del partner pubblico nel garantire continuità di rapporti e dei pagamenti. In estrema sintesi, questo studio permette di affermare che la crescente precarietà dei rapporti lavorativi esistenti nel settore nonprofit non è la conseguenza di una sua presunta naturale tendenza allo sfruttamento dei lavoratori più deboli, come è stato talvolta sostenuto sia nel dibattito di politica economica che in quello accademico. Essa è piuttosto la conseguenza di una generale crescente flessibilità del mercato del lavoro italiano e delle incertezze dell’operatore pubblico nel programmare le politiche sociali.

Il mercato delle professioni sociali fra innovazione e flessibilità

PASTORE, Francesco
2007

Abstract

Nella fase recente di espansione del settore dei servizi sociali, fase legata anche all’attuazione della legge 328 del 2000 di riforma del welfare, cresce la precarietà retributiva ed occupazionale di coloro che operano nel variegato mondo delle professioni sociali. Il fenomeno riguarda soprattutto i più giovani, assunti perciò di recente, spesso in base a contratti lavorativi legati alla realizzazione di progetti annuali o, comunque, di breve durata. La crescente precarietà dei rapporti lavorativi nel settore dei servizi sociali è sempre più spesso all’origine di una crisi motivazionale degli operatori e di una conseguente “fuga di cervelli” dal settore nonprofit in genere a quello privato forprofit o, in misura più consistente, a quello pubblico. Altri, invece, cercano fortuna in settori affatto diversi da quello dell’offerta di servizi sociali. Da un lato, il fenomeno in considerazione può essere visto come una dimostrazione della vitalità delle organizzazioni nonprofit, che si confermano essere uno stepping stone (una sorta di trampolino di lancio, una palestra) dove molti giovani accumulano un bagaglio di esperienza professionale che può essere facilmente speso in altre organizzazioni o in altri settori. Dall’altro, però, esso rappresenta una fonte di depauperamento, in primo luogo, per coloro che ne sono direttamente coinvolti: essi, infatti, sono costretti ad interrompere la loro esperienza professionale ed a continuare la loro carriera altrove, spesso ripartendo da zero pur avendo già accumulato alcuni anni di esperienza lavorativa. Infatti, almeno una parte dell’esperienza lavorativa, la componente specifica all’organizzazione è difficilmente trasferibile. In secondo luogo, il settore stesso perde l’investimento formativo fatto su chi transita altrove ed è costretto a contare su lavoratori sempre nuovi e, perciò, spesso in difetto di motivazione e di formazione professionale specifica. La “fuga dei cervelli” dal settore delle professioni sociali è, almeno in parte, una conseguenza fisiologica della sua crescita tumultuosa che ha determinato l’entrata di molti giovani poco motivati già in partenza, anche perché non dotati della formazione necessaria per affrontare professioni difficili sul piano emotivo, oltre che economico. Tuttavia, il fenomeno è da attribuirsi anche ad un senso di frustrazione crescente e diffuso fra gli operatori sociali, legato, a sua volta, alla diffusione di contratti di lavoro flessibili, non accompagnati da sufficienti forme di tutele della stabilità occupazionale e retributiva. Questo lavoro si propone di analizzare le cause e le conseguenze della “fuga di cervelli” dal settore delle professioni sociali nella convinzione che sia necessario ormai concepire le professioni sociali non come residuali, bensì come una componente stabile e duratura dell’occupazione complessiva. La recente espansione del settore non è, infatti, un fenomeno casuale, ma una conseguenza logica della strategia di diversificazione dell’offerta di servizi sociali perseguita non solo in Italia, ma in tutti i paesi ad economia avanzata. Di conseguenza, i problemi che l’espansione del settore pone non possono essere affrontati con un’ottica emergenziale. Essi richiedono una attenta riflessione e l’adozione di interventi di riforma adeguati, volti sia a modificare il quadro legislativo esistente che ad introdurre nuovi strumenti di intervento ancora non considerati. Il primo paragrafo si propone di richiamare il dibattito di teoria economica sulla flessibilità nel mercato del lavoro, nella convinzione che la crescente precarietà delle professioni sociali sia la conseguenza non solo di fattori specifici del settore, ma anche di una più generale tendenza del mercato del lavoro italiano alla flessibilità dei rapporti lavorativi. Si analizzano, pertanto, i vantaggi e i limiti dell’introduzione di forme contrattuali atipiche su larga scala nel mercato del lavoro come messi in evidenza nella letteratura teorica. Un certo grado di flessibilità è necessario quando l’economia passa da un sistema di produzione fordista ad uno post-fordista. Tuttavia, la flessibilità permette effettivamente una migliore allocazione delle risorse lavorative fra i settori senza tradursi perciò in precarietà lavorativa ed in ulteriore disoccupazione quando riguarda una forza lavoro con alto livello d’istruzione e di formazione professionale. Inoltre, come suggerito dall’approccio della flexicurity, la flessibilità richiede l’adozione di forme di tutela del reddito e dell’occupazione, rappresentate sia dai sussidi di disoccupazione che da garanzie previdenziali. Queste possono, in principio, essere garantite dal settore pubblico ovvero dalle organizzazioni di settore. Il secondo paragrafo analizza l’esperienza italiana degli ultimi due decenni, quando il mercato del lavoro si è trasformato da molto rigido a moderatamente flessibile. Alla fine degli anni Ottanta e all’inizio dei Novanta è stato compiuto il percorso che ha condotto ad un alto grado di flessibilità salariale, attraverso la sostituzione dell’indicizzazione automatica contro l’inflazione garantita dalla scala mobile alla indicizzazione istituzionale garantita dagli accordi di politica dei redditi nell’ambito della concertazione tripartita. Nel corso degli anni Novanta, si è introdotta la flessibilità funzionale, anche nella pubblica amministrazione, e la flessibilità numerica, riducendo i costi di assunzione dei lavoratori attraverso la introduzione di forme contrattuali atipiche. I servizi sociali hanno subito le conseguenze di questo generale processo di flessibilizzazione del mondo del lavoro italiano. Infatti, un’ampia evidenza aneddotica suggerisce che in anni recenti si è verificata una crescita notevole delle forme lavorative atipiche, sia temporanee che a progetto non solo nel settore privato nonprofit, ma anche in quello privato forprofit e, ciò che potrebbe all’apparenza sorprendere, in quello pubblico. Fra i fattori specifici del settore particolare importanza assume l’assenza di concorrenzialità dal lato della domanda, ciò che permette al settore pubblico di avere una posizione monopsonistica. Il settore pubblico detta non solo il prezzo, ma anche i tempi del suo pagamento agli operatori sociali. Ciò spinge a dire che un elemento addizionale di certezza delle retribuzioni e di continuità del rapporto lavorativo, ovvero di minore precarietà, potrebbe venire da un impegno maggiore da parte del partner pubblico nel garantire continuità di rapporti e dei pagamenti. In estrema sintesi, questo studio permette di affermare che la crescente precarietà dei rapporti lavorativi esistenti nel settore nonprofit non è la conseguenza di una sua presunta naturale tendenza allo sfruttamento dei lavoratori più deboli, come è stato talvolta sostenuto sia nel dibattito di politica economica che in quello accademico. Essa è piuttosto la conseguenza di una generale crescente flessibilità del mercato del lavoro italiano e delle incertezze dell’operatore pubblico nel programmare le politiche sociali.
2007
Pastore, Francesco
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/177054
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