L’emergenza di una responsabilità verso le generazioni future coincide sempre di più con la messa in questione del concetto di dignità umana che sembra irreversibilmente prodursi dal processo di desostanzializzazione genetica del vivente ad opera delle biotecnologie. Tuttavia andrebbe considerato il fatto che dalle possibilità e i rischi delle manipolazioni biotecnologiche emerge un cambiamento della nostra percezione delle disposizioni naturali della soggettività umana, dove la stessa natura umana si rivela come naturale artificialità dell’umano (Plessner), e dove gli uomini “non fanno nulla di perverso e contrario alla loro natura --- valicandone presunti limiti congeniti (Anders) ¬-- quando si mutano in modo auto-tecnico” (Sloterdijk). Non si tratterà, quindi, di delineare una nuova ontologia della soggettività da cui possa emergere un principio etico-normativo che attivi la nostra responsabilità verso le condizioni di ingiustizia che potrebbero conseguire dagli imprevedibili sviluppi del nostro agire tecnologico, in quanto si tratterà soprattutto di “evitare una nuova ontologia della sovrapposizione assoluta di politica e natura” (Duclos). Se, infatti, la dignità umana in quanto “prestazione di rappresentazione” (Luhmann)” inerisce all’ambito simbolico del nostro destino di socializzazione”, la questione sarà piuttosto bio-politica. Più precisamente, riguarderà il potere istitutivo e rappresentazionale della soggettività individuale e collettiva e il rischio di una sua omologazione bio-tecno-lideologica.Se un rischio si profila per le generazioni future non è tanto quello di un’umanità post-naturale, quanto che la vita umana sia consegnata al post-umano, alla perdita dell’umanità, in quanto specie simbolica, del suo potere di autorappresentarsi in una forma politica.
Generazioni future, soggettività post-naturale e dignità umana
DE RITA, Carlo
2008
Abstract
L’emergenza di una responsabilità verso le generazioni future coincide sempre di più con la messa in questione del concetto di dignità umana che sembra irreversibilmente prodursi dal processo di desostanzializzazione genetica del vivente ad opera delle biotecnologie. Tuttavia andrebbe considerato il fatto che dalle possibilità e i rischi delle manipolazioni biotecnologiche emerge un cambiamento della nostra percezione delle disposizioni naturali della soggettività umana, dove la stessa natura umana si rivela come naturale artificialità dell’umano (Plessner), e dove gli uomini “non fanno nulla di perverso e contrario alla loro natura --- valicandone presunti limiti congeniti (Anders) ¬-- quando si mutano in modo auto-tecnico” (Sloterdijk). Non si tratterà, quindi, di delineare una nuova ontologia della soggettività da cui possa emergere un principio etico-normativo che attivi la nostra responsabilità verso le condizioni di ingiustizia che potrebbero conseguire dagli imprevedibili sviluppi del nostro agire tecnologico, in quanto si tratterà soprattutto di “evitare una nuova ontologia della sovrapposizione assoluta di politica e natura” (Duclos). Se, infatti, la dignità umana in quanto “prestazione di rappresentazione” (Luhmann)” inerisce all’ambito simbolico del nostro destino di socializzazione”, la questione sarà piuttosto bio-politica. Più precisamente, riguarderà il potere istitutivo e rappresentazionale della soggettività individuale e collettiva e il rischio di una sua omologazione bio-tecno-lideologica.Se un rischio si profila per le generazioni future non è tanto quello di un’umanità post-naturale, quanto che la vita umana sia consegnata al post-umano, alla perdita dell’umanità, in quanto specie simbolica, del suo potere di autorappresentarsi in una forma politica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.