Nella storia della pratica allestitiva, come propensione volta all’accomodamento dello spazio costruito, l’opposizione archetipica del Novecento si reifica nell’incontro/scontro tra il lavoro di Carlo Scarpa e quello di Franco Albini: due protagonisti della scena museale che operavano con approcci diametralmente opposti. Il primo progettava allestimenti concentrati sull’enfasi della bellezza degli oggetti ma, al tempo stesso, lavorava sulla loro integrazione in armonia con il contesto. Un esempio rilevante è il lavoro che Scarpa ha realizzato al museo di Castelvecchio a Verona, dove restaura la fabbrica e si occupa di come esporre le opere al suo interno. Franco Albini, invece, interveniva sullo spazio in maniera non definitiva e attraverso degli allestimenti leggeri, modulari e modulabili in funzione delle necessità. Nel suo caso il rispetto per il “contenitore” passava tutto dalla estrema reversibilità dell’oggetto che aggiungeva. L’utilizzo di telai in ferro smontabili sia nella mostra di Arte Contemporanea italiana a Stoccolma nel 1953 che allo stand di Montecatini, con Franca Helg, per la fiera campionaria di Milano del 1961; dimostra questa attitudine reversibile. L’archetipo dell’opposto, perciò, può vivere in queste due modalità che si confrontano con l’indispensabile volontà di agire sull’esistente, senza escludersi necessariamente a vicenda, ma è proprio l’interpolazione formale dei due approcci a trasformare l’opposizione pragmatica in un incontro prolifico.
In opposizione. Dialogo ideale tra Scarpa e Albini
Giuseppina Bosso
2025
Abstract
Nella storia della pratica allestitiva, come propensione volta all’accomodamento dello spazio costruito, l’opposizione archetipica del Novecento si reifica nell’incontro/scontro tra il lavoro di Carlo Scarpa e quello di Franco Albini: due protagonisti della scena museale che operavano con approcci diametralmente opposti. Il primo progettava allestimenti concentrati sull’enfasi della bellezza degli oggetti ma, al tempo stesso, lavorava sulla loro integrazione in armonia con il contesto. Un esempio rilevante è il lavoro che Scarpa ha realizzato al museo di Castelvecchio a Verona, dove restaura la fabbrica e si occupa di come esporre le opere al suo interno. Franco Albini, invece, interveniva sullo spazio in maniera non definitiva e attraverso degli allestimenti leggeri, modulari e modulabili in funzione delle necessità. Nel suo caso il rispetto per il “contenitore” passava tutto dalla estrema reversibilità dell’oggetto che aggiungeva. L’utilizzo di telai in ferro smontabili sia nella mostra di Arte Contemporanea italiana a Stoccolma nel 1953 che allo stand di Montecatini, con Franca Helg, per la fiera campionaria di Milano del 1961; dimostra questa attitudine reversibile. L’archetipo dell’opposto, perciò, può vivere in queste due modalità che si confrontano con l’indispensabile volontà di agire sull’esistente, senza escludersi necessariamente a vicenda, ma è proprio l’interpolazione formale dei due approcci a trasformare l’opposizione pragmatica in un incontro prolifico.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.


