Il programma di ricerca triennale Agire nell’Emergenza, ormai prossimo a compiere un anno di traiettoria, ha già prodotto una serie di interessanti analisi riguardanti in generale la capacità di azione del design (nel suo senso più ampio di progetto), delle arti visive e delle scienze sociali di fronte alla sfida del Covid-19. All’interno di questo quadro d’insieme, la mostra “Fabbricare nell’emergenza”- concentrandosi sul lavoro di alcune/i makers provenienti da ambiti vicini alle unità di ricerca coinvolte nel programma, sia in Spagna che in Italia - si propone di gettar luce su alcuni dei modi in cui il mondo della fabbricazione digitale si è mobilitato, dalla primavera 2020 ad oggi, per far fronte all’emergenza pandemica. Questo impegno naturalmente ha riguardato in primo luogo l’ambito biomedicale, con la produzione delle ormai note valvole per i respiratori artificiali delle unità di terapia intensiva, ma anche di mascherine e visiere per la protezione dal contagio di operatori sanitari e altre categorie particolarmente esposte al rischio. Pur nelle difficoltà di un quadro normativo che in molte occasioni finisce per limitare fortemente il loro campo di azione – si pensi ad esempio alla questione dei brevetti e alla compatibilità dei vari artefatti autoprodotti con gli standard di sicurezza vigenti a livello nazionale e sovranazionale – le/i makers sono spesso riuscite/i a intervenire con molta più rapidità ed efficacia rispetto a quanto abbiano fatto le filiere produttive dell’industria tradizionale, pesantemente inficiate dai diversi lockdown proprio per la loro dipendenza sistemica da complesse reti di approvvigionamento e distribuzione globale. Il biomedicale, pur nella sua centralità, non è comunque stato l’unico ambito in cui le/i makers hanno offerto e continuano ad offrire contributi significativi riguardo all’attuale condizione pandemica: di grande interesse sono anche le sperimentazioni con oggetti e artefatti che, in diverso modo e misura, hanno cercato e cercano di fornire soluzioni – o semplicemente di porre interrogativi, in un’ottica speculativa – riguardanti le nuove condizioni e i nuovi rituali di una quotidianità che da ormai più un anno e mezzo ci appare inevitabilmente trasformata. Da questa prospettiva, il Covid-19 costituisce un’occasione, una sorta di dispositivo ottico che permette – pur nella sua condizione immediata di “urgenza” – di avere una visione d’insieme su pratiche e metodologie la cui messa a punto implica temporalità decisamente più lunghe: pratiche non esenti da riformulazioni, redirezionamenti, controversie materiali e normative che lungi da qualsiasi visione soluzionista, manifestano l’irriducibile complessità di approcci al progetto che hanno il loro punto di forza proprio nella ricerca, nella sperimentazione e nella lenta “composizione” collettiva.

Fabbricare nell'emergenza

Michela Musto
2022

Abstract

Il programma di ricerca triennale Agire nell’Emergenza, ormai prossimo a compiere un anno di traiettoria, ha già prodotto una serie di interessanti analisi riguardanti in generale la capacità di azione del design (nel suo senso più ampio di progetto), delle arti visive e delle scienze sociali di fronte alla sfida del Covid-19. All’interno di questo quadro d’insieme, la mostra “Fabbricare nell’emergenza”- concentrandosi sul lavoro di alcune/i makers provenienti da ambiti vicini alle unità di ricerca coinvolte nel programma, sia in Spagna che in Italia - si propone di gettar luce su alcuni dei modi in cui il mondo della fabbricazione digitale si è mobilitato, dalla primavera 2020 ad oggi, per far fronte all’emergenza pandemica. Questo impegno naturalmente ha riguardato in primo luogo l’ambito biomedicale, con la produzione delle ormai note valvole per i respiratori artificiali delle unità di terapia intensiva, ma anche di mascherine e visiere per la protezione dal contagio di operatori sanitari e altre categorie particolarmente esposte al rischio. Pur nelle difficoltà di un quadro normativo che in molte occasioni finisce per limitare fortemente il loro campo di azione – si pensi ad esempio alla questione dei brevetti e alla compatibilità dei vari artefatti autoprodotti con gli standard di sicurezza vigenti a livello nazionale e sovranazionale – le/i makers sono spesso riuscite/i a intervenire con molta più rapidità ed efficacia rispetto a quanto abbiano fatto le filiere produttive dell’industria tradizionale, pesantemente inficiate dai diversi lockdown proprio per la loro dipendenza sistemica da complesse reti di approvvigionamento e distribuzione globale. Il biomedicale, pur nella sua centralità, non è comunque stato l’unico ambito in cui le/i makers hanno offerto e continuano ad offrire contributi significativi riguardo all’attuale condizione pandemica: di grande interesse sono anche le sperimentazioni con oggetti e artefatti che, in diverso modo e misura, hanno cercato e cercano di fornire soluzioni – o semplicemente di porre interrogativi, in un’ottica speculativa – riguardanti le nuove condizioni e i nuovi rituali di una quotidianità che da ormai più un anno e mezzo ci appare inevitabilmente trasformata. Da questa prospettiva, il Covid-19 costituisce un’occasione, una sorta di dispositivo ottico che permette – pur nella sua condizione immediata di “urgenza” – di avere una visione d’insieme su pratiche e metodologie la cui messa a punto implica temporalità decisamente più lunghe: pratiche non esenti da riformulazioni, redirezionamenti, controversie materiali e normative che lungi da qualsiasi visione soluzionista, manifestano l’irriducibile complessità di approcci al progetto che hanno il loro punto di forza proprio nella ricerca, nella sperimentazione e nella lenta “composizione” collettiva.
2022
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/548324
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