“Il problema di ‘produrre’ non c’è più, tanto bastano poche mosse e le macchine fanno tutto da sé a cicli ripetuti permanenti […] anche gli uomini che vanno a lavorare non ci sono più perché non c’è più bisogno di uomini per lavorare nelle fabbriche e non ci sono più neanche i templi della produttività e del reddito visto che non si lavora più a comando […]” (Sottsass, 1972). Con queste “vaghe ma non utopistiche premesse” di apertura de Il pianeta come festival, pubblicato su Casabella, non solo sono condensate le atmosfere visionarie di quegli anni “radicali”, ma vi si possono rintracciare gli echi di ben più lontane, ma attualissime, intuizioni keyneṡiane: “[…] per la prima volta dalla sua creazione, l’uomo si troverà di fronte al suo vero, costante problema: […] come impiegare il tempo libero che la scienza e l’interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza” (1972/1991). Sarà poi Domenico De Masi, dopo quasi 70 anni da Elogio dell’ozio (1935/2005) di Bertrand Russell, a spingersi oltre e a parlare di Ozio creativo (2002), un ozio, cioè, che ha a che vedere con la sapiente gestione del tempo libero e con un’idea di creatività che è sintesi di “fantasia” e “concretezza”. I festival rispondono appieno a questi momenti di sospensione dal lavoro, per scelta, e di conseguente gestione del proprio tempo libero. Nel loro rapporto con i territori in cui sono nati e operano, vanno intesi come progetti “impliciti” di design strategico, fondati per rispondere a istanze squisitamente culturali e non direttamente finalizzati ad operazioni di marketing territoriale. Il Ravello Festival ha contribuito alla costruzione dell’identità del piccolo comune della Costiera Amalfitana come “Città della musica”. Negli otto anni di presidenza De Masi della Fondazione Ravello (2002-2010), quello che è uno dei più antichi festival italiani - istituito nel 1953 a Villa Rufolo, il complesso monumentale del XIII secolo restaurato nell’Ottocento dall’industriale scozzese Francis Neville Reid - da Festival breve, dedicato alla musica classica, viene trasformato in un evento multiculturale che dura tutta l’estate. Con questo paper saranno indagate, attraverso casi di studio, le molteplici relazioni tra i festival delle Città d’Arte e la sopravvivenza del patrimonio culturale, con un focus sul Ravello Festival e la specifica Sezione Tendenze/Design, in cui furono prodotte a Villa Rufolo tre mostre inedite: Shoes on exhibit: i tesori del Museo Ferragamo (2008); Il Museo Richard Ginori: a new lease on life (2009); Zerodisegno: Madness is Freedom (2010).
Festival: progetti strategici per le Città d'Arte
Claudio Gambardella
;Annapaola Carrano;Mirko Romano
In corso di stampa
Abstract
“Il problema di ‘produrre’ non c’è più, tanto bastano poche mosse e le macchine fanno tutto da sé a cicli ripetuti permanenti […] anche gli uomini che vanno a lavorare non ci sono più perché non c’è più bisogno di uomini per lavorare nelle fabbriche e non ci sono più neanche i templi della produttività e del reddito visto che non si lavora più a comando […]” (Sottsass, 1972). Con queste “vaghe ma non utopistiche premesse” di apertura de Il pianeta come festival, pubblicato su Casabella, non solo sono condensate le atmosfere visionarie di quegli anni “radicali”, ma vi si possono rintracciare gli echi di ben più lontane, ma attualissime, intuizioni keyneṡiane: “[…] per la prima volta dalla sua creazione, l’uomo si troverà di fronte al suo vero, costante problema: […] come impiegare il tempo libero che la scienza e l’interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza” (1972/1991). Sarà poi Domenico De Masi, dopo quasi 70 anni da Elogio dell’ozio (1935/2005) di Bertrand Russell, a spingersi oltre e a parlare di Ozio creativo (2002), un ozio, cioè, che ha a che vedere con la sapiente gestione del tempo libero e con un’idea di creatività che è sintesi di “fantasia” e “concretezza”. I festival rispondono appieno a questi momenti di sospensione dal lavoro, per scelta, e di conseguente gestione del proprio tempo libero. Nel loro rapporto con i territori in cui sono nati e operano, vanno intesi come progetti “impliciti” di design strategico, fondati per rispondere a istanze squisitamente culturali e non direttamente finalizzati ad operazioni di marketing territoriale. Il Ravello Festival ha contribuito alla costruzione dell’identità del piccolo comune della Costiera Amalfitana come “Città della musica”. Negli otto anni di presidenza De Masi della Fondazione Ravello (2002-2010), quello che è uno dei più antichi festival italiani - istituito nel 1953 a Villa Rufolo, il complesso monumentale del XIII secolo restaurato nell’Ottocento dall’industriale scozzese Francis Neville Reid - da Festival breve, dedicato alla musica classica, viene trasformato in un evento multiculturale che dura tutta l’estate. Con questo paper saranno indagate, attraverso casi di studio, le molteplici relazioni tra i festival delle Città d’Arte e la sopravvivenza del patrimonio culturale, con un focus sul Ravello Festival e la specifica Sezione Tendenze/Design, in cui furono prodotte a Villa Rufolo tre mostre inedite: Shoes on exhibit: i tesori del Museo Ferragamo (2008); Il Museo Richard Ginori: a new lease on life (2009); Zerodisegno: Madness is Freedom (2010).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.