Quella dell’alfabeto greco è stata tradizionalmente considerata come l’invenzione, da parte di un ignoto benefattore dell’umanità, di uno strumento che avrebbe costituito uno dei più prodigiosi vettori di civilizzazione e progresso della civiltà greca (e, con essa, di quella occidentale). Tuttavia, sembra oggi più verosimile che la diffusione di tale potente strumento non sia da interpretare in termini di monogenesi, ma come frutto di un lungo processo al quale parteciparono diversi intermediari in diversi momenti e in diversi luoghi. L’inizio di questo labirintico percorso si colloca nel Levante del II millennio a.C., dove era in uso una pluralità di alfabeti consonantici, tra loro correlati e in fase di vivace sperimentazione, che si stavano gradualmente sviluppando nel repertorio di forme segniche che si troverà poi standardizzato nelle attestazioni più antiche dell’alfabeto fenicio. Da questo, intorno al IX secolo a.C., sarebbero derivati, per adeguamento dei caratteri fenici alle esigenze della lingua greca, gli alfabeti regionali greci, finché uno di questi, quello euboico, sarebbe poi approdato sulle coste campane nell’VIII secolo a.C. La mostra intende narrare, attraverso l’esposizione di alcune tra le più significative iscrizioni alfabetiche ad oggi rinvenute che per la prima volta vengono esposte insieme, non solo il primo, delicato processo di adattamento della scrittura fenicia alla notazione della lingua greca, ma soprattutto il passaggio dell’alfabeto greco in Occidente e la graduale nascita della costellazione di alfabeti in uso dell’Italia antica. Attraverso la sua introduzione da parte dei naviganti euboici prima a Pitecusa e poi a Cuma, infatti, la pratica della scrittura si diffuse rapidamente presso le popolazioni vicine e nel corso del VI secolo a.C. assunse un valore identitario etnico, dando vita a un mosaico di diverse tradizioni grafiche, di volta in volta derivate direttamente dall’alfabeto greco o attraverso la mediazione etrusca o latina. Narrare questo lungo processo – contraddistinto da una intricata rete di stimoli, creazioni indipendenti, sperimentazioni locali – è lo scopo della mostra, che non a caso è ospitata nel castello aragonese di Baia. Dalla sua terrazza superiore, infatti, è possibile abbracciare con lo sguardo non solo Ischia e Cuma, luoghi di approdo dell’alfabeto greco in Occidente, ma anche, attraverso un’istallazione ottica realizzata in occasione dell’evento, il limite meridionale del Lazio, da dove la scrittura si sarebbe diffusa alle culture dell’Italia centrale. È quindi della scrittura intesa come fenomeno flessibile e cangiante (‘prima e dopo Cuma’, appunto), sempre al servizio di lingue e culture diverse che ne fecero uso per disparate finalità che la mostra vuole raccontare. Ma della scrittura verranno raccontate anche le pratiche, i supporti, i contesti e gli usi, poiché solo privilegiando i processi di produzione e fruizione della comunicazione scritta si possono comprendere appieno i suoi prodotti: ovvero i singoli testi, manifestazioni di quella ‘pittura della voce’ che la mostra vuole disegnare.

F. Pagano, M. Civitillo, C. Rescigno, 'La Pittura della voce. L’alfabeto prima e dopo Cuma', Catalogo della Mostra (Baia, maggio-giugno 2024)

Matilde Civitillo;Carlo Rescigno
2024

Abstract

Quella dell’alfabeto greco è stata tradizionalmente considerata come l’invenzione, da parte di un ignoto benefattore dell’umanità, di uno strumento che avrebbe costituito uno dei più prodigiosi vettori di civilizzazione e progresso della civiltà greca (e, con essa, di quella occidentale). Tuttavia, sembra oggi più verosimile che la diffusione di tale potente strumento non sia da interpretare in termini di monogenesi, ma come frutto di un lungo processo al quale parteciparono diversi intermediari in diversi momenti e in diversi luoghi. L’inizio di questo labirintico percorso si colloca nel Levante del II millennio a.C., dove era in uso una pluralità di alfabeti consonantici, tra loro correlati e in fase di vivace sperimentazione, che si stavano gradualmente sviluppando nel repertorio di forme segniche che si troverà poi standardizzato nelle attestazioni più antiche dell’alfabeto fenicio. Da questo, intorno al IX secolo a.C., sarebbero derivati, per adeguamento dei caratteri fenici alle esigenze della lingua greca, gli alfabeti regionali greci, finché uno di questi, quello euboico, sarebbe poi approdato sulle coste campane nell’VIII secolo a.C. La mostra intende narrare, attraverso l’esposizione di alcune tra le più significative iscrizioni alfabetiche ad oggi rinvenute che per la prima volta vengono esposte insieme, non solo il primo, delicato processo di adattamento della scrittura fenicia alla notazione della lingua greca, ma soprattutto il passaggio dell’alfabeto greco in Occidente e la graduale nascita della costellazione di alfabeti in uso dell’Italia antica. Attraverso la sua introduzione da parte dei naviganti euboici prima a Pitecusa e poi a Cuma, infatti, la pratica della scrittura si diffuse rapidamente presso le popolazioni vicine e nel corso del VI secolo a.C. assunse un valore identitario etnico, dando vita a un mosaico di diverse tradizioni grafiche, di volta in volta derivate direttamente dall’alfabeto greco o attraverso la mediazione etrusca o latina. Narrare questo lungo processo – contraddistinto da una intricata rete di stimoli, creazioni indipendenti, sperimentazioni locali – è lo scopo della mostra, che non a caso è ospitata nel castello aragonese di Baia. Dalla sua terrazza superiore, infatti, è possibile abbracciare con lo sguardo non solo Ischia e Cuma, luoghi di approdo dell’alfabeto greco in Occidente, ma anche, attraverso un’istallazione ottica realizzata in occasione dell’evento, il limite meridionale del Lazio, da dove la scrittura si sarebbe diffusa alle culture dell’Italia centrale. È quindi della scrittura intesa come fenomeno flessibile e cangiante (‘prima e dopo Cuma’, appunto), sempre al servizio di lingue e culture diverse che ne fecero uso per disparate finalità che la mostra vuole raccontare. Ma della scrittura verranno raccontate anche le pratiche, i supporti, i contesti e gli usi, poiché solo privilegiando i processi di produzione e fruizione della comunicazione scritta si possono comprendere appieno i suoi prodotti: ovvero i singoli testi, manifestazioni di quella ‘pittura della voce’ che la mostra vuole disegnare.
2024
9788849251333
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/538608
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