In questo preciso momento storico il nostro paese è chiamato a confrontarsi con le sfide della nuova contemporaneità e con i cambiamenti in essa in atto. La pandemia da coronavirus di fine 2019, la guerra in Ucraina e le rivolte delle donne in Iran del 2022 sono tutti quanti eventi che hanno dimostrato che viviamo in una società non sostenibile, con degli equilibri molto fragili che vengono rinegoziati costantemente. Inoltre, abbiamo ormai imparato come ciascuno di questi eventi, forse anche uno solo e il più distante da noi, possa stravolgere completamente il modo in cui viviamo la nostra quotidianità. Lo abbiamo visto chiaramente con la guerra, che ha comportamento il riassetto energetico dell’Unione Europea, con la conseguente accelerazione verso il raggiungimento degli obiettivi della sostenibilità. Sono state avviate, così, nuove politiche al livello sia europeo che nazionale per permettere agli stati un riassetto quanto mai veloce delle loro economie. Una di queste è Il PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che ci impone di ridefinire il sistema produttivo italiano, orientandolo verso i temi della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione (transizione ecologica e digitale). In generale, tutte le discipline sono chiamate a interrogarsi sul ruolo che esse possono avere nel cambiamento della società di oggi. Il design, in particolare, con la sua tradizionale vicinanza agli utenti e ai cambiamenti della società, ha il compito di riprogettare il sistema sociale, economico e ambientale italiano. Una delle sfide maggiori, storicamente, consiste nel definire delle strategie progettuali (ma anche politiche) che tengano conto della grande diversità presente nel nostro paese, soprattutto a livello di società, abitudini e produzioni. Non si tratta semplicemente del classico, ormai largamente discusso, tema del divario tra il nord e sud del paese. In questo caso è più corretto parlare di un insieme di piccole comunità nei territori, che si confrontano quotidianamente tra di loro. Se prendiamo come esempio il cibo, vale il detto dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei. Infatti, non possiamo parlare di una cucina italiana intesa come unicum, ma come insieme di cose diversissime tra di loro: dal risotto alla milanese al couscous siciliano. E quindi è assolutamente necessario che il design tenga conto del fatto che l’identità non è un dato assoluto e immobile, ma viene costantemente rigenerata attraverso il dialogo e il confronto delle diverse anime del paese. Questa diversità molto spesso viene raccontata solamente nei suoi aspetti più negativi, come elemento di disturbo e d’intralcio alla costruzione di un paese unito. Invece, essa deve essere considerata il nodo cruciale da cui far partire lo sviluppo di un nuovo design per il made in Italy, che venga definito non soltanto a partire dalle ormai classiche aziende di arredamento. È proprio in virtù di questa iper-diversità che è corretto parlare di un sistema produttivo in cui avvengono quotidianamente negoziazioni continue. Il titolo del seguente articolo parte proprio da questa riflessione. La Sicilia è nota ormai per la lotta continua tra le città di Palermo e Catania sul genere dell’arancin*. In un contesto così intrecciato è fondamentale che il design si faccia promotore di una progettualità che metta a sistema le differenze, non appiattendole o neutralizzandole, ma valorizzandole e facendole emergere ciascuna con le sue peculiarità. È quindi necessario che i progettisti mettano in relazione i protagonisti delle produzioni territoriali, quelli che definiamo attori di un territorio (o stakeholders), strutturando una rete che permetta il progressivo avvicinamento a una società più sostenibile e inclusiva. Manzini, nella sua opera Politiche del Quotidiano, definisce un nuovo tipo di socialità e di comunità, in cui le relazioni tra i singoli componenti danno vita a un diverso modo di intendere lo spazio comune. In quest’ottica gli attori non devono essere soltanto in competizione, ma costituire elementi singoli, tasselli fondamentali, di una rete di interdipendenza che permetta di rafforzare e di valorizzare le produzioni di un territorio. Tali relazioni possono trasformare radicalmente il modo in cui concepiamo non solo le imprese, ma anche gli organi pubblici (pubbliche amministrazioni, istituzioni culturali, parchi naturali, ecc). È in questi casi che i designer si devono misurare con una struttura burocratica che ancora oggi non riesce a definire strumenti e metodologie in grado di avvicinare i cittadini a quella res publica, intesa come bene comune, di cui continuano a diffidare. L’obiettivo del seguente articolo è quello di partire da una visione positiva e favorevole della diversità locale italiana, per definire strategie di design sociale in cui prodotti, servizi e comunicazione si completano a vicenda, aprendo i territori a una condizione in cui le peculiarità del singolo territorio si confrontino con quelle di altri, in un sistema complesso e funzionale.

Arancina e arancino. Strategie differenziate per la valorizzazione dei contesti del made in Italy.

Baffari Mattia
2023

Abstract

In questo preciso momento storico il nostro paese è chiamato a confrontarsi con le sfide della nuova contemporaneità e con i cambiamenti in essa in atto. La pandemia da coronavirus di fine 2019, la guerra in Ucraina e le rivolte delle donne in Iran del 2022 sono tutti quanti eventi che hanno dimostrato che viviamo in una società non sostenibile, con degli equilibri molto fragili che vengono rinegoziati costantemente. Inoltre, abbiamo ormai imparato come ciascuno di questi eventi, forse anche uno solo e il più distante da noi, possa stravolgere completamente il modo in cui viviamo la nostra quotidianità. Lo abbiamo visto chiaramente con la guerra, che ha comportamento il riassetto energetico dell’Unione Europea, con la conseguente accelerazione verso il raggiungimento degli obiettivi della sostenibilità. Sono state avviate, così, nuove politiche al livello sia europeo che nazionale per permettere agli stati un riassetto quanto mai veloce delle loro economie. Una di queste è Il PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che ci impone di ridefinire il sistema produttivo italiano, orientandolo verso i temi della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione (transizione ecologica e digitale). In generale, tutte le discipline sono chiamate a interrogarsi sul ruolo che esse possono avere nel cambiamento della società di oggi. Il design, in particolare, con la sua tradizionale vicinanza agli utenti e ai cambiamenti della società, ha il compito di riprogettare il sistema sociale, economico e ambientale italiano. Una delle sfide maggiori, storicamente, consiste nel definire delle strategie progettuali (ma anche politiche) che tengano conto della grande diversità presente nel nostro paese, soprattutto a livello di società, abitudini e produzioni. Non si tratta semplicemente del classico, ormai largamente discusso, tema del divario tra il nord e sud del paese. In questo caso è più corretto parlare di un insieme di piccole comunità nei territori, che si confrontano quotidianamente tra di loro. Se prendiamo come esempio il cibo, vale il detto dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei. Infatti, non possiamo parlare di una cucina italiana intesa come unicum, ma come insieme di cose diversissime tra di loro: dal risotto alla milanese al couscous siciliano. E quindi è assolutamente necessario che il design tenga conto del fatto che l’identità non è un dato assoluto e immobile, ma viene costantemente rigenerata attraverso il dialogo e il confronto delle diverse anime del paese. Questa diversità molto spesso viene raccontata solamente nei suoi aspetti più negativi, come elemento di disturbo e d’intralcio alla costruzione di un paese unito. Invece, essa deve essere considerata il nodo cruciale da cui far partire lo sviluppo di un nuovo design per il made in Italy, che venga definito non soltanto a partire dalle ormai classiche aziende di arredamento. È proprio in virtù di questa iper-diversità che è corretto parlare di un sistema produttivo in cui avvengono quotidianamente negoziazioni continue. Il titolo del seguente articolo parte proprio da questa riflessione. La Sicilia è nota ormai per la lotta continua tra le città di Palermo e Catania sul genere dell’arancin*. In un contesto così intrecciato è fondamentale che il design si faccia promotore di una progettualità che metta a sistema le differenze, non appiattendole o neutralizzandole, ma valorizzandole e facendole emergere ciascuna con le sue peculiarità. È quindi necessario che i progettisti mettano in relazione i protagonisti delle produzioni territoriali, quelli che definiamo attori di un territorio (o stakeholders), strutturando una rete che permetta il progressivo avvicinamento a una società più sostenibile e inclusiva. Manzini, nella sua opera Politiche del Quotidiano, definisce un nuovo tipo di socialità e di comunità, in cui le relazioni tra i singoli componenti danno vita a un diverso modo di intendere lo spazio comune. In quest’ottica gli attori non devono essere soltanto in competizione, ma costituire elementi singoli, tasselli fondamentali, di una rete di interdipendenza che permetta di rafforzare e di valorizzare le produzioni di un territorio. Tali relazioni possono trasformare radicalmente il modo in cui concepiamo non solo le imprese, ma anche gli organi pubblici (pubbliche amministrazioni, istituzioni culturali, parchi naturali, ecc). È in questi casi che i designer si devono misurare con una struttura burocratica che ancora oggi non riesce a definire strumenti e metodologie in grado di avvicinare i cittadini a quella res publica, intesa come bene comune, di cui continuano a diffidare. L’obiettivo del seguente articolo è quello di partire da una visione positiva e favorevole della diversità locale italiana, per definire strategie di design sociale in cui prodotti, servizi e comunicazione si completano a vicenda, aprendo i territori a una condizione in cui le peculiarità del singolo territorio si confrontino con quelle di altri, in un sistema complesso e funzionale.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/528688
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