L’impianto ermemeutico (occidentale ed eurocentrico) relativo alla teoria delle scritture, fondato sulla lettura di Aristotele e foraggiato dalla riflessione strutturalista, ha da sempre ignorato l’apporto delle immagini alle fasi più antiche dell’elaborazione dei sistemi scrittori. La scrittura, secondo una celebre definizione di Giorgio Raimondo Cardona, è stata considerata esclusivamente quale vettore del parlato, alla stregua di un «carro che serve a trasportare un carico di fieno». Le caratteristiche strutturali di questo «carro» (i.e. l’aspetto dei segni grafici e le loro valenze) sono state frettolosamente liquidate – segnatamente nell’esplorazione dei sistemi pre-alfabetici a base iconica –, come tappe imperfette (‘primitive’ o ‘di formazione’) che, teleologicamente, avrebbero condotto dall’uso di segni ‘pittografici’ all’invenzione più perfetta, quella dei segni – ormai esclusivamente fonetici – dell’alfabeto greco. Al contrario, nella riflessione corrente, il fenomeno ‘scrittura’ si costituisce soprattutto come una matrice di significati sociali, come un luogo privilegiato di produzione simbolica, laddove larga attenzione viene riservata ai rapporti tra scrittura, pensiero e operazioni conoscitive. Lungi dal rappresentare sistemi ‘primitivi’, quelli pre-alfabetici rappresentano, infatti, un luogo di osservazione privilegiato per esplorare i rapporti tra immagini (intese come segni grafici codificati che scaturiscono da un preciso milieu culturale, ideologico e simbolico, che definiremo ‘l’immaginario’) e segni di scrittura (portatori di una significazione, oltre che culturale, anche fonetica). Infatti, in sistemi scrittori in cui non si sia ancora persa l’iconicità del segno, come nel caso del Geroglifico Cretese (rispetto al quale saranno qui analizzati alcuni esempi), si potrebbe dire – ispirandosi ad una bella formulazione di Carlo Sini – che i segni «conservano ancora la loro sapienza»; ovvero, da una parte il loro contenuto in termini culturali nel rinvio a un tipo cognitivo condiviso e, dall’altra la possibile rimodulazione ideologica di essi. In questo senso, inglobando, oltre a quello linguistico, anche un elemento visivo, questo tipo di sistemi scrittori combina «il tempo della parola parlata con lo spazio della figura».
Dall’immaginario alle immagini ai segni di scrittura: il caso del segno della testa di toro nelle scritture egee
Matilde Civitillo
2024
Abstract
L’impianto ermemeutico (occidentale ed eurocentrico) relativo alla teoria delle scritture, fondato sulla lettura di Aristotele e foraggiato dalla riflessione strutturalista, ha da sempre ignorato l’apporto delle immagini alle fasi più antiche dell’elaborazione dei sistemi scrittori. La scrittura, secondo una celebre definizione di Giorgio Raimondo Cardona, è stata considerata esclusivamente quale vettore del parlato, alla stregua di un «carro che serve a trasportare un carico di fieno». Le caratteristiche strutturali di questo «carro» (i.e. l’aspetto dei segni grafici e le loro valenze) sono state frettolosamente liquidate – segnatamente nell’esplorazione dei sistemi pre-alfabetici a base iconica –, come tappe imperfette (‘primitive’ o ‘di formazione’) che, teleologicamente, avrebbero condotto dall’uso di segni ‘pittografici’ all’invenzione più perfetta, quella dei segni – ormai esclusivamente fonetici – dell’alfabeto greco. Al contrario, nella riflessione corrente, il fenomeno ‘scrittura’ si costituisce soprattutto come una matrice di significati sociali, come un luogo privilegiato di produzione simbolica, laddove larga attenzione viene riservata ai rapporti tra scrittura, pensiero e operazioni conoscitive. Lungi dal rappresentare sistemi ‘primitivi’, quelli pre-alfabetici rappresentano, infatti, un luogo di osservazione privilegiato per esplorare i rapporti tra immagini (intese come segni grafici codificati che scaturiscono da un preciso milieu culturale, ideologico e simbolico, che definiremo ‘l’immaginario’) e segni di scrittura (portatori di una significazione, oltre che culturale, anche fonetica). Infatti, in sistemi scrittori in cui non si sia ancora persa l’iconicità del segno, come nel caso del Geroglifico Cretese (rispetto al quale saranno qui analizzati alcuni esempi), si potrebbe dire – ispirandosi ad una bella formulazione di Carlo Sini – che i segni «conservano ancora la loro sapienza»; ovvero, da una parte il loro contenuto in termini culturali nel rinvio a un tipo cognitivo condiviso e, dall’altra la possibile rimodulazione ideologica di essi. In questo senso, inglobando, oltre a quello linguistico, anche un elemento visivo, questo tipo di sistemi scrittori combina «il tempo della parola parlata con lo spazio della figura».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.