72 postazioni di colonneine binate ritmano, in ragione di 18 per lato, il chiostro di Sant Cugat del Vallès (Barcelona, Spagna). 144 sono i capitelli ridondanti di motivi ornamentali, molti dei quali zoomorfi, così che appare improbo ravvisare un nesso logico tra quel che sembra a prima vista una sorta di bestiario d’ispirazione religiosa. Diverse, tuttavia, sono le considerazioni che inducono a ritenere le sculture tutt’altro che un susseguirsi insensato di capricci bizzarri. In primo luogo l’austera essenzialità invocata dai cistercensi che avevano provveduto a estirpare dall’esistenza cenobitica ogni aspetto che non fosse stato strettamente pragmatico; in secondo luogo la posizione dell’abate Suger de Saint-Denis (1127-1140) che aveva gettato le premesse per un nuovo debutto delle sculture nei luoghi di culto. Vero è che quando il consigliere Guillem de Claramunt stanziò la somma necessaria a completare i lavori, Bernardo era scomparso da ben trentasette anni e con lui il rigore imposto dalla Regola Riformata (lettera inoltrata al cugino Roberto Châtillon nel 1124). Sia se si voglia sostenere il gusto soggettivo degli scalpellini, sia se si voglia ritenere la didattica dell’immagine predominante sul valore estetico delle forme, s’impone la necessità di ampliare la riflessione per comprendere le ragioni dei caratteri (im)materiali che rendono il chiostro di Sant Cugat coinvolgente e misterioso. IPOTESI All’inizio del secolo scorso, quando gli architetti parlavano di ‘Musica’ di un edificio si riferivano all’equilibrio delle leggi matematiche che trascrivevano le qualità poetiche di un’opera. La varietà discendeva dall’applicazione dei criteri di commisurazione [Vit. I, sec.], quelli che in buona sostanza hanno portato i compositori di pietre e di musica a condividere lo stesso linguaggio, così che il disegno del capitello si è rilevato, dall’umanesimo ai primi anni del Novecento, una chiave privilegiata per la composizione architettonica e un banco di prova per la comunicazione dei criteri conformativi [Capanna 2019].Diversamente si colloca il riferimento alla ‘Musica’ introdotto e sostenuto da Marius Schneider, in nome e per conto di una Scuola, quella di fine Ottocento, che a Vienna ricercava nell’esperienza la risposta alle contraddizioni lasciate irrisolte dalla scienza del primo Novecento come ebbe a chiarire Hermann Minkowski, il maestro di Einstein, nella conferenza Raum und Zeit, tenuta nel 1908. Nella teoria di Schneider rivive un’arte fondata sul valore, la funzionalità e la concatenazione dei suoni che, espandendosi nel tempo e nello spazio, coinvolgono molteplici sensazioni fisiche e psichiche. Le modalità attuative del pensiero non possono quindi essere linearmente prevedibili ma si avvalgono di un’intelligenza simultanea, l’unica in grado di attribuire un conveniente ordine ai momenti della verifica pratica e concettuale. Lo studioso ricorda come dall’espansione suono, la cultura vedá (XX sec. a. C.) ritenesse derivato tutto ciò che nel mondo è visibile e tangibile [Schneider, 1976:13]. Un concetto rimasto nell’accezione greca del termine: ‘Mousikè’ rimarca la natura del suono inscindibilmente legata al ritmo della danza e della poesia [Esiodo, VII sec. a.C.]. Un dato sopravvissuto nella cultura del Gotico Internazionale quando la fonetica e la sintassi si allontanarono dal lessico latino per dare voce alla moltitudine di forme dialettali. La policromia e la poliritmia del mondo medievale venne infatti sacrificata all’assiduo lavoro di esegesi che del trattato di Vitruvio si fece dall’Umanesimo in poi. Il lavoro insistente condotto sulle copie del manoscritto portato da Alcuino alla corte di Carlo Magno, aveva finito per ingessare i criteri classici, dimodochè i primi ‘Moderni’, ovvero i Rinascimentali alla maniera del Vasari, persero di vista il mondo delle intuizioni ‘profonde’, quelle che i popoli arii avevano tramandato e che il suono cadenzato garantiva e sosteneva nell’invocazione di lode, nei monasteri indirizzata alle ‘orecchie del cuore’ [Ef 2:1-7]. Formatosi alla scuola di Julius Schlosser, ultimo grande rappresentante della Wiener Schule der Kunstgeschichte, Schneider riporta all'attenzione dei suoi contemporanei gli attributi delle sculture mitologiche per analizzare i tre chiostri romanici una ricca produzione editoriale raccoglie gli esiti del suo studio , alla luce del quale vacillano le certezze e i valori della cultura tradizionale” [Zolla 1992:372]. TESI Per nulla intenzionati ad entrare nel merito delle polemiche volte a dimostrare la natura musicale dei capitelli, oppure spiegare in chiave simbolica l’iconografia di stile romanico, i temi discussi muovono da curiosità disciplinari. Queste possono inizialmente riassumersi nella necessità di rendere simultaneamente esperibili suoni e figure, trame e codici, così da seguire più speditamente alcuni dei ragionamenti esposti 'da' e ‘su’ Schneider. Da questo obbiettivo discende una presa d’atto: la ricchezza semantica che ancora nel Medioevo permetteva di condividere intuitivamente i principi scientifici, è oggi simulabile in un ambiente digitale. Strumenti e metodi di rilievo offrono l’opportunità di generare precisi e accurati modelli; le ‘copie' digitali sono flessibili e modificabili per impieghi settoriali quali i percorsi museali e le visite virtuali ovvero gli interventi di manutenzione e restauro. Consegue l’obbiettivo centrale di questo studio: chiosare sui servizi di telecomunicazione oggi capaci di accorciare la distanza tra passato e presente per far dialogare le ricerche dei singoli con la scienza dei dati. Un rinnovato paradigma comunicativo invita a organizzare percorsi inclusivi. Ad essi fa riferimento il Digital Heritage, per coinvolgere e sovrapporre settori e strategie scientifiche, pedagogiche, sociali ed economiche. L’accessibilità giova all’apprendimento; promuove azioni che i media, anche quelli dedicati al servizio del patrimonio, non mancano di moltiplicare. Al passo con i tempi e in linea con i più recenti indirizzi per la salvaguardia del patrimonio ereditato [Unesco, 2003 e seg.], la rappresentazione dei caratteri (im)materiali del chiostro di Sant Cugat guarda alla possibilità di sperimentare nuove modalità di divulgazione partecipativa. L'indagine apre verso l’interpretazione di un modello critico che include valori identitari per restituire una visione culturale di un’epoca che contribuì a forgiare l’individualità d’Europa.

Sant Cugat del Vallès.Verso l'accessibilità dei dati.

Rossi,Adriana
2023

Abstract

72 postazioni di colonneine binate ritmano, in ragione di 18 per lato, il chiostro di Sant Cugat del Vallès (Barcelona, Spagna). 144 sono i capitelli ridondanti di motivi ornamentali, molti dei quali zoomorfi, così che appare improbo ravvisare un nesso logico tra quel che sembra a prima vista una sorta di bestiario d’ispirazione religiosa. Diverse, tuttavia, sono le considerazioni che inducono a ritenere le sculture tutt’altro che un susseguirsi insensato di capricci bizzarri. In primo luogo l’austera essenzialità invocata dai cistercensi che avevano provveduto a estirpare dall’esistenza cenobitica ogni aspetto che non fosse stato strettamente pragmatico; in secondo luogo la posizione dell’abate Suger de Saint-Denis (1127-1140) che aveva gettato le premesse per un nuovo debutto delle sculture nei luoghi di culto. Vero è che quando il consigliere Guillem de Claramunt stanziò la somma necessaria a completare i lavori, Bernardo era scomparso da ben trentasette anni e con lui il rigore imposto dalla Regola Riformata (lettera inoltrata al cugino Roberto Châtillon nel 1124). Sia se si voglia sostenere il gusto soggettivo degli scalpellini, sia se si voglia ritenere la didattica dell’immagine predominante sul valore estetico delle forme, s’impone la necessità di ampliare la riflessione per comprendere le ragioni dei caratteri (im)materiali che rendono il chiostro di Sant Cugat coinvolgente e misterioso. IPOTESI All’inizio del secolo scorso, quando gli architetti parlavano di ‘Musica’ di un edificio si riferivano all’equilibrio delle leggi matematiche che trascrivevano le qualità poetiche di un’opera. La varietà discendeva dall’applicazione dei criteri di commisurazione [Vit. I, sec.], quelli che in buona sostanza hanno portato i compositori di pietre e di musica a condividere lo stesso linguaggio, così che il disegno del capitello si è rilevato, dall’umanesimo ai primi anni del Novecento, una chiave privilegiata per la composizione architettonica e un banco di prova per la comunicazione dei criteri conformativi [Capanna 2019].Diversamente si colloca il riferimento alla ‘Musica’ introdotto e sostenuto da Marius Schneider, in nome e per conto di una Scuola, quella di fine Ottocento, che a Vienna ricercava nell’esperienza la risposta alle contraddizioni lasciate irrisolte dalla scienza del primo Novecento come ebbe a chiarire Hermann Minkowski, il maestro di Einstein, nella conferenza Raum und Zeit, tenuta nel 1908. Nella teoria di Schneider rivive un’arte fondata sul valore, la funzionalità e la concatenazione dei suoni che, espandendosi nel tempo e nello spazio, coinvolgono molteplici sensazioni fisiche e psichiche. Le modalità attuative del pensiero non possono quindi essere linearmente prevedibili ma si avvalgono di un’intelligenza simultanea, l’unica in grado di attribuire un conveniente ordine ai momenti della verifica pratica e concettuale. Lo studioso ricorda come dall’espansione suono, la cultura vedá (XX sec. a. C.) ritenesse derivato tutto ciò che nel mondo è visibile e tangibile [Schneider, 1976:13]. Un concetto rimasto nell’accezione greca del termine: ‘Mousikè’ rimarca la natura del suono inscindibilmente legata al ritmo della danza e della poesia [Esiodo, VII sec. a.C.]. Un dato sopravvissuto nella cultura del Gotico Internazionale quando la fonetica e la sintassi si allontanarono dal lessico latino per dare voce alla moltitudine di forme dialettali. La policromia e la poliritmia del mondo medievale venne infatti sacrificata all’assiduo lavoro di esegesi che del trattato di Vitruvio si fece dall’Umanesimo in poi. Il lavoro insistente condotto sulle copie del manoscritto portato da Alcuino alla corte di Carlo Magno, aveva finito per ingessare i criteri classici, dimodochè i primi ‘Moderni’, ovvero i Rinascimentali alla maniera del Vasari, persero di vista il mondo delle intuizioni ‘profonde’, quelle che i popoli arii avevano tramandato e che il suono cadenzato garantiva e sosteneva nell’invocazione di lode, nei monasteri indirizzata alle ‘orecchie del cuore’ [Ef 2:1-7]. Formatosi alla scuola di Julius Schlosser, ultimo grande rappresentante della Wiener Schule der Kunstgeschichte, Schneider riporta all'attenzione dei suoi contemporanei gli attributi delle sculture mitologiche per analizzare i tre chiostri romanici una ricca produzione editoriale raccoglie gli esiti del suo studio , alla luce del quale vacillano le certezze e i valori della cultura tradizionale” [Zolla 1992:372]. TESI Per nulla intenzionati ad entrare nel merito delle polemiche volte a dimostrare la natura musicale dei capitelli, oppure spiegare in chiave simbolica l’iconografia di stile romanico, i temi discussi muovono da curiosità disciplinari. Queste possono inizialmente riassumersi nella necessità di rendere simultaneamente esperibili suoni e figure, trame e codici, così da seguire più speditamente alcuni dei ragionamenti esposti 'da' e ‘su’ Schneider. Da questo obbiettivo discende una presa d’atto: la ricchezza semantica che ancora nel Medioevo permetteva di condividere intuitivamente i principi scientifici, è oggi simulabile in un ambiente digitale. Strumenti e metodi di rilievo offrono l’opportunità di generare precisi e accurati modelli; le ‘copie' digitali sono flessibili e modificabili per impieghi settoriali quali i percorsi museali e le visite virtuali ovvero gli interventi di manutenzione e restauro. Consegue l’obbiettivo centrale di questo studio: chiosare sui servizi di telecomunicazione oggi capaci di accorciare la distanza tra passato e presente per far dialogare le ricerche dei singoli con la scienza dei dati. Un rinnovato paradigma comunicativo invita a organizzare percorsi inclusivi. Ad essi fa riferimento il Digital Heritage, per coinvolgere e sovrapporre settori e strategie scientifiche, pedagogiche, sociali ed economiche. L’accessibilità giova all’apprendimento; promuove azioni che i media, anche quelli dedicati al servizio del patrimonio, non mancano di moltiplicare. Al passo con i tempi e in linea con i più recenti indirizzi per la salvaguardia del patrimonio ereditato [Unesco, 2003 e seg.], la rappresentazione dei caratteri (im)materiali del chiostro di Sant Cugat guarda alla possibilità di sperimentare nuove modalità di divulgazione partecipativa. L'indagine apre verso l’interpretazione di un modello critico che include valori identitari per restituire una visione culturale di un’epoca che contribuì a forgiare l’individualità d’Europa.
2023
9788833596105
2611-4291
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