Il testo ripercorre le vicende alla base del primo progetto per l'Accademia di Brera del 1935, dimostrandone poi, attraverso l'analisi formale, le comparazioni figurative, tipologiche e dimensionali, il processo analogico che ne è alla base e che lo pone come un paradigma del Razionalismo italiano nell'interpretazione della relazione con la storia e con i grandi esempi del Mo.Mo. Della trilogia dei progetti di Figini, Pollini, Lingeri e Terragni per l’ampliamento dell’Accademia di Brera, la prima soluzione del 1935 presenta tutte le caratteristiche di una tipica architettura della modernità (e, in qualche modo, del Mo.Mo., seppur nella posizione eccentrica dell’Italia e del Razionalismo che ne è espressione) ossia quelle proprie di un’opera di anticipazione, preparata cioè per un avvento sociale e politico e di cui l’architettura, più di altre arti, si fa carico di interpretare. Da questo punto di vista questo progetto manifesta la sua identificazione con la persichiana «sostanza di cose sperate» e lo fa con i seguenti attributi: la congruenza tra radicalità compositiva e arditezza strutturale, la perentorietà dei caratteri, la sicurezza nel riferimento ai canoni del moderno da cui discendono le peculiarità formali e del dispositivo formativo. La prima soluzione è una sintesi tra diverse attitudini del Razionalismo, che avviene perché questo progetto, nella sua condizione di lavoro collettivo è, ancora nel 1935, teso alla costruzione di un comune fronte della modernità, e quindi proiettato a stabilire principi dalla validità generale e a definire il Razionalismo come linguaggio universale. In esso rinveniamo la tensione alla ricerca di un metodo, alla sua costruzione, ma anche l’estremo tentativo di individuare una attitudine collettiva e condivisa, per affrontare le problematicità del progetto.
Il prisma razionalista. Il progetto dell’ampliamento dell’Accademia di Brera del 1935 di Figini, Pollini, Lingeri e Terragni
Francesco Costanzo
2024
Abstract
Il testo ripercorre le vicende alla base del primo progetto per l'Accademia di Brera del 1935, dimostrandone poi, attraverso l'analisi formale, le comparazioni figurative, tipologiche e dimensionali, il processo analogico che ne è alla base e che lo pone come un paradigma del Razionalismo italiano nell'interpretazione della relazione con la storia e con i grandi esempi del Mo.Mo. Della trilogia dei progetti di Figini, Pollini, Lingeri e Terragni per l’ampliamento dell’Accademia di Brera, la prima soluzione del 1935 presenta tutte le caratteristiche di una tipica architettura della modernità (e, in qualche modo, del Mo.Mo., seppur nella posizione eccentrica dell’Italia e del Razionalismo che ne è espressione) ossia quelle proprie di un’opera di anticipazione, preparata cioè per un avvento sociale e politico e di cui l’architettura, più di altre arti, si fa carico di interpretare. Da questo punto di vista questo progetto manifesta la sua identificazione con la persichiana «sostanza di cose sperate» e lo fa con i seguenti attributi: la congruenza tra radicalità compositiva e arditezza strutturale, la perentorietà dei caratteri, la sicurezza nel riferimento ai canoni del moderno da cui discendono le peculiarità formali e del dispositivo formativo. La prima soluzione è una sintesi tra diverse attitudini del Razionalismo, che avviene perché questo progetto, nella sua condizione di lavoro collettivo è, ancora nel 1935, teso alla costruzione di un comune fronte della modernità, e quindi proiettato a stabilire principi dalla validità generale e a definire il Razionalismo come linguaggio universale. In esso rinveniamo la tensione alla ricerca di un metodo, alla sua costruzione, ma anche l’estremo tentativo di individuare una attitudine collettiva e condivisa, per affrontare le problematicità del progetto.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.