La monografia analizza il binomio lavoro e salute mentale e il suo declinarsi in una relazione composita e dinamica, foriera di scenari antitetici: l’attività lavorativa costituisce un possibile fattore protettivo e, insieme, di rischio rispetto all’insorgenza e alla gestione di pregiudizi alla salute mentale. La ricerca muove dall’esperienza singolare maturata nelle istituzioni manicomiali tra Ottocento e Novecento, dove il lavoro – prima traitement moral e poi ergoterapia – era, al contempo, causa e cura dell’alienazione mentale. L’indagine sulle origini della psichiatria e sul rilievo riconosciuto al lavoro come strumento riabilitativo-terapeutico, reale o presunto, “dentro” le mura dei manicomi costituisce la premessa teorica per lo studio dei numerosi profili di intersezione della normativa lavoristica con il complesso tema della salute mentale – su cui l’A. si sofferma diffusamente nella seconda sezione del volume – ed evidenzia alcuni tratti che governano ancora oggi i processi di produzione sociale e di rigenerazione dell’alienazione mentale, come il legame diretto tra richieste del mercato del lavoro, diseguaglianze (economiche e sociali) e tassi di guarigione della malattia mentale, nonché il condizionamento dei meccanismi economici e sociali rispetto alla fisionomia del disturbo mentale. L’A. ricostruisce il percorso di accesso e di permanenza al lavoro dei sofferenti psichici che, pur se agevolato da un pacchetto di misure legislative volte a incentivarne l’inserimento mirato, nel rispetto della funzionalità economica dell’impresa, si presenta non poco accidentato. Lo stigma correlato alla malattia e al disagio mentale, che può concretizzarsi in fenomeni di discriminazione, diretta e/o indiretta, al momento del reclutamento come pure in tutte le fasi di svolgimento del rapporto di lavoro del soggetto disabile, persiste ed è fenomeno radicato e ubiquitario, nonostante le politiche di contrasto allo stesso e di inclusione sociale (in primo luogo lavorativa) promosse a livello nazionale e sovranazionale. Queste, condizionate dai nuovi approdi della comunità scientifica internazionale, hanno riscritto la nozione di disabilità (e, in parallelo, il concetto, solo teoricamente speculare, di salute), sostituendo l’originario richiamo all’alterazione anatomico-funzionale con una formula aperta al contesto socio-culturale e ambientale. L’attenzione ai processi di esclusione lavorativa – causati da ostacoli di varia natura che si frappongono al godimento e all’esercizio, pieni ed effettivi, su base di eguaglianza con gli altri, del diritto al lavoro – ha innescato una feconda osmosi con il diritto antidiscriminatorio, che ha prodotto l’ampliamento del vincolo all’adozione di “accomodamenti ragionevoli”, tardivamente recepito nel nostro ordinamento ma prezioso nella prospettiva di assicurare un reale e sostenibile inserimento dei soggetti svantaggiati. Il libro non trascura di considerare le questioni che attengono al complesso sistema volto a prevenire l’insorgere di disturbi mentali legati al lavoro, a promuovere la salute mentale nei luoghi di lavoro, nonché a gestire adeguatamente eventuali situazioni di scarsa salute mentale preesistenti all’assunzione o sopraggiunte nel corso del rapporto. L’analisi è svolta con particolare riguardo alle attuali organizzazioni ipertecnologiche e digitali e alla fase post pandemica, evidenziandosi come nella società tecno-capitalista il rischio alienazione, tra vecchie e nuove (plurime) forme di organizzazione dell’attività lavorativa, assuma sfumature sempre più evidenti e lesive dei profili immateriali della persona. A fronte dei significativi cambiamenti che stanno travolgendo la società e il mondo del lavoro si suggerisce un ripensamento dei rapporti tra persona, lavoro e salute, in una direzione volta a porre la persona al centro, tenendo conto del valore determinante e propulsivo che la risorsa umana riveste, pure per lo sviluppo dell’impresa e dell’intero sistema produttivo.
Lavoro e salute mentale. Dentro e fuori l'istituzione
C. Di Carluccio
2022
Abstract
La monografia analizza il binomio lavoro e salute mentale e il suo declinarsi in una relazione composita e dinamica, foriera di scenari antitetici: l’attività lavorativa costituisce un possibile fattore protettivo e, insieme, di rischio rispetto all’insorgenza e alla gestione di pregiudizi alla salute mentale. La ricerca muove dall’esperienza singolare maturata nelle istituzioni manicomiali tra Ottocento e Novecento, dove il lavoro – prima traitement moral e poi ergoterapia – era, al contempo, causa e cura dell’alienazione mentale. L’indagine sulle origini della psichiatria e sul rilievo riconosciuto al lavoro come strumento riabilitativo-terapeutico, reale o presunto, “dentro” le mura dei manicomi costituisce la premessa teorica per lo studio dei numerosi profili di intersezione della normativa lavoristica con il complesso tema della salute mentale – su cui l’A. si sofferma diffusamente nella seconda sezione del volume – ed evidenzia alcuni tratti che governano ancora oggi i processi di produzione sociale e di rigenerazione dell’alienazione mentale, come il legame diretto tra richieste del mercato del lavoro, diseguaglianze (economiche e sociali) e tassi di guarigione della malattia mentale, nonché il condizionamento dei meccanismi economici e sociali rispetto alla fisionomia del disturbo mentale. L’A. ricostruisce il percorso di accesso e di permanenza al lavoro dei sofferenti psichici che, pur se agevolato da un pacchetto di misure legislative volte a incentivarne l’inserimento mirato, nel rispetto della funzionalità economica dell’impresa, si presenta non poco accidentato. Lo stigma correlato alla malattia e al disagio mentale, che può concretizzarsi in fenomeni di discriminazione, diretta e/o indiretta, al momento del reclutamento come pure in tutte le fasi di svolgimento del rapporto di lavoro del soggetto disabile, persiste ed è fenomeno radicato e ubiquitario, nonostante le politiche di contrasto allo stesso e di inclusione sociale (in primo luogo lavorativa) promosse a livello nazionale e sovranazionale. Queste, condizionate dai nuovi approdi della comunità scientifica internazionale, hanno riscritto la nozione di disabilità (e, in parallelo, il concetto, solo teoricamente speculare, di salute), sostituendo l’originario richiamo all’alterazione anatomico-funzionale con una formula aperta al contesto socio-culturale e ambientale. L’attenzione ai processi di esclusione lavorativa – causati da ostacoli di varia natura che si frappongono al godimento e all’esercizio, pieni ed effettivi, su base di eguaglianza con gli altri, del diritto al lavoro – ha innescato una feconda osmosi con il diritto antidiscriminatorio, che ha prodotto l’ampliamento del vincolo all’adozione di “accomodamenti ragionevoli”, tardivamente recepito nel nostro ordinamento ma prezioso nella prospettiva di assicurare un reale e sostenibile inserimento dei soggetti svantaggiati. Il libro non trascura di considerare le questioni che attengono al complesso sistema volto a prevenire l’insorgere di disturbi mentali legati al lavoro, a promuovere la salute mentale nei luoghi di lavoro, nonché a gestire adeguatamente eventuali situazioni di scarsa salute mentale preesistenti all’assunzione o sopraggiunte nel corso del rapporto. L’analisi è svolta con particolare riguardo alle attuali organizzazioni ipertecnologiche e digitali e alla fase post pandemica, evidenziandosi come nella società tecno-capitalista il rischio alienazione, tra vecchie e nuove (plurime) forme di organizzazione dell’attività lavorativa, assuma sfumature sempre più evidenti e lesive dei profili immateriali della persona. A fronte dei significativi cambiamenti che stanno travolgendo la società e il mondo del lavoro si suggerisce un ripensamento dei rapporti tra persona, lavoro e salute, in una direzione volta a porre la persona al centro, tenendo conto del valore determinante e propulsivo che la risorsa umana riveste, pure per lo sviluppo dell’impresa e dell’intero sistema produttivo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.