Nella soluzione delle controversie internazionali, i tribunali internazionali si confrontano sempre più spesso con complesse questioni di fatto e, complice l'incalzare del progresso tecnologico, gli Stati in lite fanno uso crescente di sofisticati mezzi di prova a sostegno delle proprie ragioni. Il lavoro è incentrato sul ruolo del giudice internazionale nell'amministrazione e nella valutazione della prova nel processo internazionale, con particolare riferimento alla Corte internazionale di giustizia. Il rapporto tra prova e giudice consente infatti di misurare l'efficacia del processo internazionale. Idem est non esse et non probari: la locuzione latina vale non soltanto a ricordare agli Stati in controversia che vantare un diritto senza riuscire a provarlo equivale a non averlo. Essa si pone soprattutto quale fondamentale regola di giudizio per il tribunale internazionale, posta a garanzia dell'integrità della funzione giurisdizionale. Il giudice internazionale è quindi chiamato a valutare la qualità del materiale probatorio, la logica attendibilità e la giuridica concludenza dei singoli mezzi di prova e, infine, a scegliere, all'esito del contraddittorio tra le parti e nel confronto dialettico tra elementi di prova antagonisti, quelli che appaiono funzionali alla dimostrazione dei fatti di causa. I primi capitoli del lavoro sono incentrati, rispettivamente, sull'oggetto della prova e sulla funzione della prova nella formazione del convincimento del giudice (capitolo 1) e sul delicato tema delle fonti che disciplinano la prova nel processo (capitolo 2). I restanti capitoli entrano nel vivo della gestione della prova nel processo. La fase dell'istruzione probatoria (capitolo 3) è non soltanto la più importante del processo, perché quanto più disporrà di elementi di prova tanto più il giudice internazionale riuscirà a comporre il puzzle sui fatti di causa, ma è anche la fase che costringerà in futuro il giudice internazionale a ripensare il suo ruolo nel fact-finding, bilanciando il rispetto della sovranità degli Stati, che porta a limitare l'esercizio di poteri istruttori motu proprio, con la necessità di individuare quei casi in cui la non completa conoscenza sui fatti di causa rischia di compromettre la qualità della decisione finale, come avviene allorquando la controversia verte su complesse questioni tecnico-scientifiche. Con riferimento alla valutazione della prova (capitolo 4), rimessa al libero convincimento del giudice, l'analisi si dipana su due piani: da un canto, ci si sofferma sui criteri che guidano il giudice nell'apprezzamento del peso probatorio da conferire ai singoli mezzi di prova, dovendo ciascuna prova acquisita al processo superare un giudizio assertorio di concludenza probatoria, al fine di verificare l'attendibilità dell'informazione che essa produce e la sua idoneità a confermare l'esistenza dei fatti che essa intende dimostrare; dall'altro canto, si analizza il tema concentra sulla valutazione complessiva del materiale probatorio, dovendo il giudice internazionale compiere un'indagine unitaria e coordinata di tutte le prove acquisite al processo, al fine di accertare che le informazioni fattuali ottenute integrino uno standard probatorio sufficiente a decidere sui fatti di causa, dovendosi qui dare conto delle ragioni che motivano l'assenza di standard della prova fissi e vanno invece a favore della gradazione degli stantard probatori al fine di tenere conto della norma invocata in giudizio, della tipologia di controversia che il giudice è chiamato a risolvere e di eventuali difficoltà connesse al reperimento di materiali completi ed accurati. Da ultimo, l'indagine verte sul principio dell'onere della prova, inteso come criterio di giudizio e regola di chiusura del sistema, giacché le regole in tema di riparto dell'onere probatorio consentono al tribunale internazionale di emettere in ogni caso la decisione in merito all'accoglienza o al rigetto della domanda, stabilendo quale tra le parti in lite debba sopportare il rischio della mancata prova dei fatti allegati. Nella soluzione delle controversie internazionali, i tribunali internazionali si confrontano sempre più spesso con complesse questioni di fatto e, complice l'incalzare del progresso tecnologico, gli Stati in lite fanno uso crescente di sofisticati mezzi di prova a sostegno delle proprie ragioni. Il lavoro è incentrato sul ruolo del giudice internazionale nell'amministrazione e nella valutazione della prova nel processo internazionale, con particolare riferimento alla Corte internazionale di giustizia. Il rapporto tra “prova” e “giudice” consente infatti di misurare l'efficacia del processo internazionale. Idem est non esse et non probari: la locuzione latina vale non soltanto a ricordare agli Stati in controversia che vantare un diritto senza riuscire a provarlo equivale a non averlo; essa si pone, soprattutto, quale fondamentale regola di giudizio per il tribunale internazionale, posta a garanzia dell'integrità della funzione giurisdizionale. I primi capitoli del lavoro sono incentrati, rispettivamente, sull'oggetto della prova e sulla funzione della prova nella formazione del convincimento del giudice (capitolo 1) e sul delicato tema delle fonti che disciplinano la prova nel processo (capitolo 2). I restanti capitoli entrano nel vivo della gestione della prova nel processo. La fase dell'istruzione probatoria (capitolo 3) è non soltanto la più importante del processo, perché quanto più disporrà di elementi di prova tanto più il giudice internazionale riuscirà a comporre il puzzle sui fatti di causa, ma è anche la fase che costringerà in futuro il giudice internazionale a ripensare il suo ruolo nel fact-finding, bilanciando il rispetto della sovranità degli Stati, che porta a limitare l'esercizio di poteri istruttori motu proprio, con la necessità di individuare quei casi in cui la non completa conoscenza sui fatti di causa rischia di compromettere la qualità della decisione finale, come avviene allorquando la controversia verte su complesse questioni tecnico-scientifiche. Con riferimento alla valutazione della prova (capitolo 4), rimessa al libero convincimento del giudice, l’indagine si dipana su due piani: da un canto, si esaminano i criteri che guidano il giudice nell'apprezzamento del peso da conferire ai singoli mezzi di prova, dovendo ciascuna prova acquisita al processo superare un giudizio assertorio di concludenza probatoria, al fine di verificare la sua idoneità a confermare l'esistenza dei fatti che essa intende dimostrare; dall'altro canto, nella prospettiva della valutazione complessiva di tutte le prove acquisite al processo, si analizza il controverso tema degli standard of proof, soffermandosi sulle ragioni che motivano l’assenza di rigidi standard fissi della prova e che depongono, invece, a favore della gradazione degli standard probatori al fine di tenere conto della norma invocata in giudizio, della tipologia di controversia che il giudice è chiamato a risolvere e di eventuali difficoltà connesse al reperimento di materiali completi ed accurati. Da ultimo, l'indagine verte sul principio dell'onere della prova, inteso come criterio di giudizio e regola di chiusura del sistema, giacché il riparto dell'onere probatorio consente al tribunale internazionale di emettere in ogni caso la decisione in merito all'accoglienza o al rigetto della domanda, stabilendo quale tra le parti in lite debba sopportare il rischio della mancata prova dei fatti allegati.
Giudice e amministrazione della prova nel contenzioso internazionale. Il ruolo della Corte internazionale di giustizia
Francesca Graziani
2020
Abstract
Nella soluzione delle controversie internazionali, i tribunali internazionali si confrontano sempre più spesso con complesse questioni di fatto e, complice l'incalzare del progresso tecnologico, gli Stati in lite fanno uso crescente di sofisticati mezzi di prova a sostegno delle proprie ragioni. Il lavoro è incentrato sul ruolo del giudice internazionale nell'amministrazione e nella valutazione della prova nel processo internazionale, con particolare riferimento alla Corte internazionale di giustizia. Il rapporto tra prova e giudice consente infatti di misurare l'efficacia del processo internazionale. Idem est non esse et non probari: la locuzione latina vale non soltanto a ricordare agli Stati in controversia che vantare un diritto senza riuscire a provarlo equivale a non averlo. Essa si pone soprattutto quale fondamentale regola di giudizio per il tribunale internazionale, posta a garanzia dell'integrità della funzione giurisdizionale. Il giudice internazionale è quindi chiamato a valutare la qualità del materiale probatorio, la logica attendibilità e la giuridica concludenza dei singoli mezzi di prova e, infine, a scegliere, all'esito del contraddittorio tra le parti e nel confronto dialettico tra elementi di prova antagonisti, quelli che appaiono funzionali alla dimostrazione dei fatti di causa. I primi capitoli del lavoro sono incentrati, rispettivamente, sull'oggetto della prova e sulla funzione della prova nella formazione del convincimento del giudice (capitolo 1) e sul delicato tema delle fonti che disciplinano la prova nel processo (capitolo 2). I restanti capitoli entrano nel vivo della gestione della prova nel processo. La fase dell'istruzione probatoria (capitolo 3) è non soltanto la più importante del processo, perché quanto più disporrà di elementi di prova tanto più il giudice internazionale riuscirà a comporre il puzzle sui fatti di causa, ma è anche la fase che costringerà in futuro il giudice internazionale a ripensare il suo ruolo nel fact-finding, bilanciando il rispetto della sovranità degli Stati, che porta a limitare l'esercizio di poteri istruttori motu proprio, con la necessità di individuare quei casi in cui la non completa conoscenza sui fatti di causa rischia di compromettre la qualità della decisione finale, come avviene allorquando la controversia verte su complesse questioni tecnico-scientifiche. Con riferimento alla valutazione della prova (capitolo 4), rimessa al libero convincimento del giudice, l'analisi si dipana su due piani: da un canto, ci si sofferma sui criteri che guidano il giudice nell'apprezzamento del peso probatorio da conferire ai singoli mezzi di prova, dovendo ciascuna prova acquisita al processo superare un giudizio assertorio di concludenza probatoria, al fine di verificare l'attendibilità dell'informazione che essa produce e la sua idoneità a confermare l'esistenza dei fatti che essa intende dimostrare; dall'altro canto, si analizza il tema concentra sulla valutazione complessiva del materiale probatorio, dovendo il giudice internazionale compiere un'indagine unitaria e coordinata di tutte le prove acquisite al processo, al fine di accertare che le informazioni fattuali ottenute integrino uno standard probatorio sufficiente a decidere sui fatti di causa, dovendosi qui dare conto delle ragioni che motivano l'assenza di standard della prova fissi e vanno invece a favore della gradazione degli stantard probatori al fine di tenere conto della norma invocata in giudizio, della tipologia di controversia che il giudice è chiamato a risolvere e di eventuali difficoltà connesse al reperimento di materiali completi ed accurati. Da ultimo, l'indagine verte sul principio dell'onere della prova, inteso come criterio di giudizio e regola di chiusura del sistema, giacché le regole in tema di riparto dell'onere probatorio consentono al tribunale internazionale di emettere in ogni caso la decisione in merito all'accoglienza o al rigetto della domanda, stabilendo quale tra le parti in lite debba sopportare il rischio della mancata prova dei fatti allegati. Nella soluzione delle controversie internazionali, i tribunali internazionali si confrontano sempre più spesso con complesse questioni di fatto e, complice l'incalzare del progresso tecnologico, gli Stati in lite fanno uso crescente di sofisticati mezzi di prova a sostegno delle proprie ragioni. Il lavoro è incentrato sul ruolo del giudice internazionale nell'amministrazione e nella valutazione della prova nel processo internazionale, con particolare riferimento alla Corte internazionale di giustizia. Il rapporto tra “prova” e “giudice” consente infatti di misurare l'efficacia del processo internazionale. Idem est non esse et non probari: la locuzione latina vale non soltanto a ricordare agli Stati in controversia che vantare un diritto senza riuscire a provarlo equivale a non averlo; essa si pone, soprattutto, quale fondamentale regola di giudizio per il tribunale internazionale, posta a garanzia dell'integrità della funzione giurisdizionale. I primi capitoli del lavoro sono incentrati, rispettivamente, sull'oggetto della prova e sulla funzione della prova nella formazione del convincimento del giudice (capitolo 1) e sul delicato tema delle fonti che disciplinano la prova nel processo (capitolo 2). I restanti capitoli entrano nel vivo della gestione della prova nel processo. La fase dell'istruzione probatoria (capitolo 3) è non soltanto la più importante del processo, perché quanto più disporrà di elementi di prova tanto più il giudice internazionale riuscirà a comporre il puzzle sui fatti di causa, ma è anche la fase che costringerà in futuro il giudice internazionale a ripensare il suo ruolo nel fact-finding, bilanciando il rispetto della sovranità degli Stati, che porta a limitare l'esercizio di poteri istruttori motu proprio, con la necessità di individuare quei casi in cui la non completa conoscenza sui fatti di causa rischia di compromettere la qualità della decisione finale, come avviene allorquando la controversia verte su complesse questioni tecnico-scientifiche. Con riferimento alla valutazione della prova (capitolo 4), rimessa al libero convincimento del giudice, l’indagine si dipana su due piani: da un canto, si esaminano i criteri che guidano il giudice nell'apprezzamento del peso da conferire ai singoli mezzi di prova, dovendo ciascuna prova acquisita al processo superare un giudizio assertorio di concludenza probatoria, al fine di verificare la sua idoneità a confermare l'esistenza dei fatti che essa intende dimostrare; dall'altro canto, nella prospettiva della valutazione complessiva di tutte le prove acquisite al processo, si analizza il controverso tema degli standard of proof, soffermandosi sulle ragioni che motivano l’assenza di rigidi standard fissi della prova e che depongono, invece, a favore della gradazione degli standard probatori al fine di tenere conto della norma invocata in giudizio, della tipologia di controversia che il giudice è chiamato a risolvere e di eventuali difficoltà connesse al reperimento di materiali completi ed accurati. Da ultimo, l'indagine verte sul principio dell'onere della prova, inteso come criterio di giudizio e regola di chiusura del sistema, giacché il riparto dell'onere probatorio consente al tribunale internazionale di emettere in ogni caso la decisione in merito all'accoglienza o al rigetto della domanda, stabilendo quale tra le parti in lite debba sopportare il rischio della mancata prova dei fatti allegati.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.