Alla donna romana, vissuta all’ombra dell’uomo (marito, padre, fratello) e costretta ad un’esistenza silenziosa all’interno del focolare domestico, veniva riconosciuto nel momento della morte il diritto ad essere lodata pubblicamente. Il rito funebre femminile, alla stregua di quello maschile, culminava infatti con un’orazione che celebrava l’operato e le virtù della defunta. Il volume offre il primo studio interamente dedicato alla pratica della laudatio funebris in onore di donne. Il capitolo iniziale delinea una storia dell’elogio funebre femminile, a partire dalla questione delle origini e dall’esame della tradizione storiografica (Livio e Plutarco) che ascriveva l’usus ad un’epoca molto antica (l’inizio del IV sec. a.C.). L’esposizione prosegue mettendo in evidenza il significativo sviluppo della laudatio funebris negli ultimi anni della Repubblica, e il suo consolidarsi con l’avvento del Principato, quando – come attestano le fonti epigrafiche – il costume non fu più limitato ai confini dell’Urbe ma conobbe una certa diffusione anche nei territori provinciali dell’Impero. La disamina delle testimonianze e dei frammenti conservati rivela l’opportunità di distinguere tra diverse tipologie di laudationes, che riflettono i differenti contesti in cui erano pronunciate: da un lato la solenne e spettacolare cerimonia del funus aristocratico e poi imperiale, che si svolgeva nello spazio pubblico del Foro e alla presenza dell’intera comunità dei cives, dall’altro i funerali privati che avevano luogo nei pressi della tomba o della pira, dinanzi ai parenti e agli amici più stretti della defunta. Gli elogi pubblici sono ampiamente documentati nelle fonti letterarie, mentre uno splendido esempio di quelli ad sepulchrum sembra potersi considerare la cosiddetta Laudatio Turiae. Dall’indagine emergono inoltre le funzioni che i Romani avevano assegnato alla laudatio funebris femminile. In primo luogo, essi avevano riconosciuto le potenzialità della laudatio quale veicolo di propaganda politica: l’elogio destinato ad una donna veniva abilmente sfruttato da colui che lo pronunciava per affermare il prestigio di se stesso e della propria famiglia. In secondo luogo, agli elogi era attribuita una forte valenza paideutica: come le laudationes di uomini valorosi stimolavano onore ed emulazione nella gioventù romana, così quelle delle matrone prospettavano esempi di personaggi femminili dell’ammirazione e dell’imitazione innanzitutto delle discendenti della defunta ma anche di un più ampio pubblico di donne romane che prendevano parte al rituale. Il secondo capitolo affronta il tema dei rapporti tra laudatio funebris e retorica, e si apre con un esame dei giudizi espressi dagli stessi teorici antichi (in particolare Cicerone e Quintiliano) in merito alle caratteristiche e alla qualità estetica degli elogi funebri. Quindi, a partire dai testi conservati, si fa luce sulla struttura delle laudationes in onore di donne, sul loro contenuto e sui topoi ricorrenti, sulle peculiarità linguistiche e stilistiche. Questa indagine consente da un lato di cogliere somiglianze e differenze con le corrispondenti orazioni dedicate a personaggi maschili, dall’altro di scorgere, dietro i profili delle defunte celebrate in questi elogi, un comune modello femminile, ideale e quasi cristallizzato nel tempo, quello della matrona dalle virtù integerrime, che poteva assurgere ad exemplum morale per la collettività. I capitoli terzo e quarto sono dedicati rispettivamente alla Laudatio Murdiae – elogio di una madre pronunciato dal figlio di prime nozze – e alla Laudatio Matidiae – l’orazione funebre dell’imperatore Adriano per la suocera Matidia – che, insieme alla Laudatio Turiae, rappresentano gli esempi più significativi di elogi funebri femminili conservati. Composte in origine per una performance oratoria ai funerali delle due donne, queste laudationes sono state poi incise sulla pietra e tramandate per via epigrafica. Nel terzo capitolo si ricostruisce la storia della Laudatio Murdiae con le vicende legate alla sua riscoperta nel corso del Settecento, si discutono le caratteristiche epigrafiche e paleografiche dell’iscrizione, si conduce un’analisi della struttura e del contenuto, se ne offre il testo accompagnato dalla prima traduzione italiana e da un commento analitico, che arricchisce quello di F. Vollmer risalente alla fine dell’Ottocento. Il quarto capitolo offre una nuova edizione critica della Laudatio Matidiae, con traduzione italiana e commento filologico-letterario. L’iscrizione, che agli inizi del XVI secolo era affissa alle pareti di una chiesa a Tivoli, è oggi perduta, ma di essa si conservano le copie realizzate da collezionisti e antiquari in epoca umanistica. L’edizione si fonda su una nuova recensio della tradizione manoscritta, che ha permesso di individuare un numero di testimoni della Laudatio più ampio rispetto a quello recensito nelle edizioni critiche precedenti (anch’esse risalenti alla fine dell’Ottocento). La storia dell’iscrizione e la descriptio codicum sono presentate nelle pagine introduttive del capitolo, che contengono anche una discussione sulla originaria natura di oratio funebris e sulla sua attribuzione all’imperatore Adriano. Nel commento sono discusse varianti testuali e integrazioni delle lacune, segnalate nell’apparato critico. Il volume, infine, è corredato da un’appendice che raccoglie le testimonianze e i frammenti delle laudationes funebres femminili, dalla bibliografia e da un indice analitico.

Morire da donna: ritratti esemplari di bonae feminae nella laudatio funebris romana

Cristina Pepe
2015

Abstract

Alla donna romana, vissuta all’ombra dell’uomo (marito, padre, fratello) e costretta ad un’esistenza silenziosa all’interno del focolare domestico, veniva riconosciuto nel momento della morte il diritto ad essere lodata pubblicamente. Il rito funebre femminile, alla stregua di quello maschile, culminava infatti con un’orazione che celebrava l’operato e le virtù della defunta. Il volume offre il primo studio interamente dedicato alla pratica della laudatio funebris in onore di donne. Il capitolo iniziale delinea una storia dell’elogio funebre femminile, a partire dalla questione delle origini e dall’esame della tradizione storiografica (Livio e Plutarco) che ascriveva l’usus ad un’epoca molto antica (l’inizio del IV sec. a.C.). L’esposizione prosegue mettendo in evidenza il significativo sviluppo della laudatio funebris negli ultimi anni della Repubblica, e il suo consolidarsi con l’avvento del Principato, quando – come attestano le fonti epigrafiche – il costume non fu più limitato ai confini dell’Urbe ma conobbe una certa diffusione anche nei territori provinciali dell’Impero. La disamina delle testimonianze e dei frammenti conservati rivela l’opportunità di distinguere tra diverse tipologie di laudationes, che riflettono i differenti contesti in cui erano pronunciate: da un lato la solenne e spettacolare cerimonia del funus aristocratico e poi imperiale, che si svolgeva nello spazio pubblico del Foro e alla presenza dell’intera comunità dei cives, dall’altro i funerali privati che avevano luogo nei pressi della tomba o della pira, dinanzi ai parenti e agli amici più stretti della defunta. Gli elogi pubblici sono ampiamente documentati nelle fonti letterarie, mentre uno splendido esempio di quelli ad sepulchrum sembra potersi considerare la cosiddetta Laudatio Turiae. Dall’indagine emergono inoltre le funzioni che i Romani avevano assegnato alla laudatio funebris femminile. In primo luogo, essi avevano riconosciuto le potenzialità della laudatio quale veicolo di propaganda politica: l’elogio destinato ad una donna veniva abilmente sfruttato da colui che lo pronunciava per affermare il prestigio di se stesso e della propria famiglia. In secondo luogo, agli elogi era attribuita una forte valenza paideutica: come le laudationes di uomini valorosi stimolavano onore ed emulazione nella gioventù romana, così quelle delle matrone prospettavano esempi di personaggi femminili dell’ammirazione e dell’imitazione innanzitutto delle discendenti della defunta ma anche di un più ampio pubblico di donne romane che prendevano parte al rituale. Il secondo capitolo affronta il tema dei rapporti tra laudatio funebris e retorica, e si apre con un esame dei giudizi espressi dagli stessi teorici antichi (in particolare Cicerone e Quintiliano) in merito alle caratteristiche e alla qualità estetica degli elogi funebri. Quindi, a partire dai testi conservati, si fa luce sulla struttura delle laudationes in onore di donne, sul loro contenuto e sui topoi ricorrenti, sulle peculiarità linguistiche e stilistiche. Questa indagine consente da un lato di cogliere somiglianze e differenze con le corrispondenti orazioni dedicate a personaggi maschili, dall’altro di scorgere, dietro i profili delle defunte celebrate in questi elogi, un comune modello femminile, ideale e quasi cristallizzato nel tempo, quello della matrona dalle virtù integerrime, che poteva assurgere ad exemplum morale per la collettività. I capitoli terzo e quarto sono dedicati rispettivamente alla Laudatio Murdiae – elogio di una madre pronunciato dal figlio di prime nozze – e alla Laudatio Matidiae – l’orazione funebre dell’imperatore Adriano per la suocera Matidia – che, insieme alla Laudatio Turiae, rappresentano gli esempi più significativi di elogi funebri femminili conservati. Composte in origine per una performance oratoria ai funerali delle due donne, queste laudationes sono state poi incise sulla pietra e tramandate per via epigrafica. Nel terzo capitolo si ricostruisce la storia della Laudatio Murdiae con le vicende legate alla sua riscoperta nel corso del Settecento, si discutono le caratteristiche epigrafiche e paleografiche dell’iscrizione, si conduce un’analisi della struttura e del contenuto, se ne offre il testo accompagnato dalla prima traduzione italiana e da un commento analitico, che arricchisce quello di F. Vollmer risalente alla fine dell’Ottocento. Il quarto capitolo offre una nuova edizione critica della Laudatio Matidiae, con traduzione italiana e commento filologico-letterario. L’iscrizione, che agli inizi del XVI secolo era affissa alle pareti di una chiesa a Tivoli, è oggi perduta, ma di essa si conservano le copie realizzate da collezionisti e antiquari in epoca umanistica. L’edizione si fonda su una nuova recensio della tradizione manoscritta, che ha permesso di individuare un numero di testimoni della Laudatio più ampio rispetto a quello recensito nelle edizioni critiche precedenti (anch’esse risalenti alla fine dell’Ottocento). La storia dell’iscrizione e la descriptio codicum sono presentate nelle pagine introduttive del capitolo, che contengono anche una discussione sulla originaria natura di oratio funebris e sulla sua attribuzione all’imperatore Adriano. Nel commento sono discusse varianti testuali e integrazioni delle lacune, segnalate nell’apparato critico. Il volume, infine, è corredato da un’appendice che raccoglie le testimonianze e i frammenti delle laudationes funebres femminili, dalla bibliografia e da un indice analitico.
2015
978-884674394-7
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/401164
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