Cerreto Sannita così come Palmanova (1593), Grammichele (1693) ed Àvola (1690) sono esempi coevi di quello che è stato un capitolo importante della storia urbana seicentesca. Si tratta di città di fondazione, costruite di getto, sulla scorta di un progetto unitario. Impianti urbani netti, chiari, senza traccia di quella sedimentazione dovuta alla crescita o alla sovrapposizione progressiva, progettata o spontanea, di nuove architetture o parti urbane, che solitamente nelle città storiche rendono meno evidente il segno della forma urbana originaria. L’urbanistica come disciplina autonoma non esiste ancora e la costruzione della città, sia nella sua fondazione, che nella espansione, avviene ancora attraverso il disegno e il progetto urbano. Il risultato è costituito da un progetto di città chiaro e riconoscibile, caratteristica che prevarrà fino a tutto l’ottocento e che andrà indebolendosi successivamente solo con l’affermazione dell’urbanistica normativa su quella disegnata e la sua traduzione in forme urbane incerte. L’atto fondativo stesso di queste città è, quindi, un vero e proprio progetto urbano; un progetto cioè che mira a risolvere le questioni urbane in chiave architettonica, che mette in evidenza soprattutto la forma urbana, che rende leggibili i meccanismi compositivi, i principi regolatori, le generatrici urbane, le proporzioni, i rapporti tra le parti e la stretta connessione tra gli elementi del progetto urbano che sono i tipi edilizi e la morfologia. Benché si tratti di città coeve, esse nascono per necessità differenti: Cerreto, Àvola e Grammichele sono di fatto delle ricostruzioni post terremoto mentre Palmanova viene costruita per necessità militari. Gli impianti urbani di Palmanova, Grammichele ed Àvola mostrano una diretta derivazione dai principi utopistici della città ideale rinascimentale, forme derivate da poligoni regolari e dalla loro partizione lungo assi di simmetria; si tratta quindi di forme auliche, in qualche modo anche appariscenti, ma già datate per l’epoca, il risultato di una operazione progettuale quasi modernista, una sorta di riproposizione a posteriori di schemi di oltre un secolo precedenti senza che vi sia stata una reale attualizzazione. La forma urbana di Cerreto è diversa, costruita seguendo le regole ippodamee, l’impianto è molto allungato e viene attualizzato grazie ad alcune importanti caratteristiche quali l’organizzazione e il dimensionamento della forma urbana e del tracciato viario in funzione delle caratteristiche orografiche del luogo e della infrastrutturazione territoriale dell’epoca e per risolvere al meglio le eventuali necessità indotte dal rischio sismico. Ed è innovativa anche la stessa gerarchia tipologica e residenziale (le corti e gli isolati a schiera doppia) caratterizzata da una grande semplicità e regolarità formale e strutturale. E’ indubbio, quindi, che per gli aspetti strettamente legati alla morfologia urbana l’impianto di Cerreto è di sicuro più sobrio e moderno di quelli delle tre città coeve. Lo stesso si può dire per la scelta dei tipi edilizi: in una epoca in cui ancora non vi erano seri presidi antisismici, il fattore di forma, “simmetria, corrette connessioni fra gli elementi strutturali, riduzione dell’altezza, e regolarità in pianta”, giusto per citare le acute riflessioni dell’autore di questo lavoro, rappresentano un impiego esatto e virtuoso e, se vogliamo, la giusta coniugazione e riunificazione, secondo i criteri della composizione elementare, delle tre caratteristiche del tipo edilizio (formale, distributiva e strutturale), nel modo in cui queste sono interpretate dalla scienza urbana per gli edifici della città storica.

Prefazione La forma urbana di Cerreto Sannita

BORRELLI, Marino
2017

Abstract

Cerreto Sannita così come Palmanova (1593), Grammichele (1693) ed Àvola (1690) sono esempi coevi di quello che è stato un capitolo importante della storia urbana seicentesca. Si tratta di città di fondazione, costruite di getto, sulla scorta di un progetto unitario. Impianti urbani netti, chiari, senza traccia di quella sedimentazione dovuta alla crescita o alla sovrapposizione progressiva, progettata o spontanea, di nuove architetture o parti urbane, che solitamente nelle città storiche rendono meno evidente il segno della forma urbana originaria. L’urbanistica come disciplina autonoma non esiste ancora e la costruzione della città, sia nella sua fondazione, che nella espansione, avviene ancora attraverso il disegno e il progetto urbano. Il risultato è costituito da un progetto di città chiaro e riconoscibile, caratteristica che prevarrà fino a tutto l’ottocento e che andrà indebolendosi successivamente solo con l’affermazione dell’urbanistica normativa su quella disegnata e la sua traduzione in forme urbane incerte. L’atto fondativo stesso di queste città è, quindi, un vero e proprio progetto urbano; un progetto cioè che mira a risolvere le questioni urbane in chiave architettonica, che mette in evidenza soprattutto la forma urbana, che rende leggibili i meccanismi compositivi, i principi regolatori, le generatrici urbane, le proporzioni, i rapporti tra le parti e la stretta connessione tra gli elementi del progetto urbano che sono i tipi edilizi e la morfologia. Benché si tratti di città coeve, esse nascono per necessità differenti: Cerreto, Àvola e Grammichele sono di fatto delle ricostruzioni post terremoto mentre Palmanova viene costruita per necessità militari. Gli impianti urbani di Palmanova, Grammichele ed Àvola mostrano una diretta derivazione dai principi utopistici della città ideale rinascimentale, forme derivate da poligoni regolari e dalla loro partizione lungo assi di simmetria; si tratta quindi di forme auliche, in qualche modo anche appariscenti, ma già datate per l’epoca, il risultato di una operazione progettuale quasi modernista, una sorta di riproposizione a posteriori di schemi di oltre un secolo precedenti senza che vi sia stata una reale attualizzazione. La forma urbana di Cerreto è diversa, costruita seguendo le regole ippodamee, l’impianto è molto allungato e viene attualizzato grazie ad alcune importanti caratteristiche quali l’organizzazione e il dimensionamento della forma urbana e del tracciato viario in funzione delle caratteristiche orografiche del luogo e della infrastrutturazione territoriale dell’epoca e per risolvere al meglio le eventuali necessità indotte dal rischio sismico. Ed è innovativa anche la stessa gerarchia tipologica e residenziale (le corti e gli isolati a schiera doppia) caratterizzata da una grande semplicità e regolarità formale e strutturale. E’ indubbio, quindi, che per gli aspetti strettamente legati alla morfologia urbana l’impianto di Cerreto è di sicuro più sobrio e moderno di quelli delle tre città coeve. Lo stesso si può dire per la scelta dei tipi edilizi: in una epoca in cui ancora non vi erano seri presidi antisismici, il fattore di forma, “simmetria, corrette connessioni fra gli elementi strutturali, riduzione dell’altezza, e regolarità in pianta”, giusto per citare le acute riflessioni dell’autore di questo lavoro, rappresentano un impiego esatto e virtuoso e, se vogliamo, la giusta coniugazione e riunificazione, secondo i criteri della composizione elementare, delle tre caratteristiche del tipo edilizio (formale, distributiva e strutturale), nel modo in cui queste sono interpretate dalla scienza urbana per gli edifici della città storica.
2017
9788894226744
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/380765
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