Nessuno slogan resta più impresso del famoso titolo di Adolf Loos Ornamento e delitto. Ma l’ornamento non è l’unico delitto attribuito all’oggetto dall’avvento della rivoluzione industriale. Troppi, freddi, inutili, inerti, effimeri, indigesti, muti: oggetti anonimi come frutto della replicazione incontrollata delle macchine; oggetti kitsch o consumistici; oggetti indigesti per l’ecosistema in quanto incapaci di biodegradarsi; effimeri, perché usa-e-getta; muti perché privi di significazione e di interattività. Un ideale processo all’oggetto industriale ha messo sul banco degli imputati, talvolta alla rinfusa, ora una maniglia d’acciaio o un vaso di plastica, ora una sedia decorata, un packaging o un lume al neon… ritenendoli pesanti indizi di un delitto contro l’arte o contro l’anima, contro l’ecologia o contro la civiltà, contro il gusto o contro la fantasia. Partendo da questa critica, talvolta aspra, rivolta al prodotto industriale, il saggio evidenzia snodi cruciali della cultura del design che, in particolare dagli anni ’60, appare impegnata a ripensare il suo stesso oggetto per trasformarlo profondamente. Un nuovo immaginario scientifico, l’influenza dell’arte, la questione ambientale, l’evoluzione tecnologica, concorrono in tutto il Novecento a mobilizzare la concezione tradizionale delle “cose”, declinandole sul binomio materiale/immateriale. In questo contesto la disciplina del design svolge un grande ruolo, facendosi interprete della metamorfosi dell’oggetto avvenuta con l’età post-industriale. Attraverso 12 parole-chiave, che racchiudono la risposta ad un capo di accusa che è stato imputato all’oggetto, il libro individua una serie di fenomeni influenti che caratterizzano oggi il design e scopre, infine, quello che è l’unico vero delitto che può commettere il design.

Design e delitto. Critica e metamorfosi dell'oggetto contemporaneo

LA ROCCA, Francesca
2016

Abstract

Nessuno slogan resta più impresso del famoso titolo di Adolf Loos Ornamento e delitto. Ma l’ornamento non è l’unico delitto attribuito all’oggetto dall’avvento della rivoluzione industriale. Troppi, freddi, inutili, inerti, effimeri, indigesti, muti: oggetti anonimi come frutto della replicazione incontrollata delle macchine; oggetti kitsch o consumistici; oggetti indigesti per l’ecosistema in quanto incapaci di biodegradarsi; effimeri, perché usa-e-getta; muti perché privi di significazione e di interattività. Un ideale processo all’oggetto industriale ha messo sul banco degli imputati, talvolta alla rinfusa, ora una maniglia d’acciaio o un vaso di plastica, ora una sedia decorata, un packaging o un lume al neon… ritenendoli pesanti indizi di un delitto contro l’arte o contro l’anima, contro l’ecologia o contro la civiltà, contro il gusto o contro la fantasia. Partendo da questa critica, talvolta aspra, rivolta al prodotto industriale, il saggio evidenzia snodi cruciali della cultura del design che, in particolare dagli anni ’60, appare impegnata a ripensare il suo stesso oggetto per trasformarlo profondamente. Un nuovo immaginario scientifico, l’influenza dell’arte, la questione ambientale, l’evoluzione tecnologica, concorrono in tutto il Novecento a mobilizzare la concezione tradizionale delle “cose”, declinandole sul binomio materiale/immateriale. In questo contesto la disciplina del design svolge un grande ruolo, facendosi interprete della metamorfosi dell’oggetto avvenuta con l’età post-industriale. Attraverso 12 parole-chiave, che racchiudono la risposta ad un capo di accusa che è stato imputato all’oggetto, il libro individua una serie di fenomeni influenti che caratterizzano oggi il design e scopre, infine, quello che è l’unico vero delitto che può commettere il design.
2016
978-88-917-4414-2
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/364807
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