La volontà di ricostruire, attraverso l‘analisi di un determinato contesto, i materiali, i protocolli e le procedure che, a partire da un evento particolarmente gravoso come il terremoto del 23 novembre 1980, hanno contraddistinto l‘intervento di restauro post-sismico sulle strutture lignee di un ricco patrimonio chiesastico, di diversa consistenza e tipologia, risponde a molteplici istanze. Attraverso una lettura storica delle prestazioni, dei comportamenti alle sollecitazioni telluriche e degli interventi subiti, questo approfondimento estende lo studio dei tetti e dei solai della tradizione campana dalla qualificazione cronotipologica degli esemplari realizzati tra XVI e XX sec. alla definizione delle carenze strutturali, quindi, delle vulnerabilità specifiche [1]. Rappresentando queste ultime le predisposizioni di un‘architettura o di suoi elementi, nello stato attuale, a subire un danno a fronte di determinate sollecitazioni, la loro definizione, come fattori moltiplicatori e condizionanti del danneggiamento, sostanzia un obiettivo preliminare e prioritario della conservazione. La trattazione delle strutture lignee portate (cassettonati e incannucciate), limitatamente alle realizzazioni in cameracanne, solo di recente, inoltre, ha trovato spazio nella ricerca scierntifica [2]. L‘analisi degli apparati materici tradizionali e la ricostruzione dei trattamenti che, dagli anni Ottanta ad oggi, ne hanno contrassegnato recupero e salvaguardia documentano allora manualità e accorgimenti di un patrimonio che, ad eccezione delle superfici intradossali, é stato generalmente sacrificato dalla prassi restaurativa, sebbene testimonianza preziosa di una cultura costruttiva avvezza ai dissesti di origine dinamica, la comprensione della quale risulta imprescindibile ad una lettura storica efficace. Le componenti e i materiali tradizionali più poveri - intonaci, impasti, elementi lignei, etc. - nella pratica comune dell‘ultimo ventennio del Novecento hanno costantemente subito rifacimenti estesi e manomissioni significative, quanto meno, di apparecchi e strutture, dedicando ai soli eventuali apparati figurativi pregiati le dinamiche di salvaguardia. Non diversamente da quanto accaduto con il sisma friulano del1976, ciò si é verificato anche negli interventi seguiti agli eventi del 1980-81, dove il rifacimento anche con materiali e procedure diverse di coperture, orizzontamenti e incannucciate ha comportato la perdita di un ricco repertorio di soluzioni e varianti del quale, se si eccettuano le riprese fotografiche, si é autorizzato il sacrificio senza alcuna preventiva documentazione [3]. L‘ampiezza dell‘area investita dai terremoti 23 novembre 1980 e 14 febbraio 1981 e la consistenza del patrimonio culturale danneggiato evidenziarono, fin da subito, l‘inadeguatezza dell‘Amministrazione ordinaria. Per potenziarne l‘azione, il 4 luglio 1981 il Ministro Scotti istituì tre nuovi uffici campani, trasformati in Soprintendenze con la L. 456 dell‘8 agosto 1981. Si attivarono così le Soprintendenze per i Beni ambientali, architettonici e artistici delle provincie di Caserta e Benevento, quella archeologica di Pompei e, nella zona più colpita, la Soprintendenza per i Beni ambientali, architettonici e artistici delle provincie di Salerno e Avellino, che andarono ad affiancare le Amministrazioni vigenti [4]. Esperienze e applicazioni dirette dall‘Ente competente per la riparazione dei danni nei comparti casertano e beneventano, in un contesto segnato, cioè, da crolli parziali reiterati e quadri fessurativi diffusi, in riferimento ad una tipologia architettonica precisa, quella chiesastica, che per la peculiare conformazione, ben più di altre, concentra vulnerabilità e danneggiamenti proprio nelle coperture e negli orizzontamenti sottostanti, é sembrato allora uno spaccato adeguato agli intenti proposti.
Terremoto e conservazione: incannucciate, cassettonati e capriate in legno
D'APRILE, Marina
2011
Abstract
La volontà di ricostruire, attraverso l‘analisi di un determinato contesto, i materiali, i protocolli e le procedure che, a partire da un evento particolarmente gravoso come il terremoto del 23 novembre 1980, hanno contraddistinto l‘intervento di restauro post-sismico sulle strutture lignee di un ricco patrimonio chiesastico, di diversa consistenza e tipologia, risponde a molteplici istanze. Attraverso una lettura storica delle prestazioni, dei comportamenti alle sollecitazioni telluriche e degli interventi subiti, questo approfondimento estende lo studio dei tetti e dei solai della tradizione campana dalla qualificazione cronotipologica degli esemplari realizzati tra XVI e XX sec. alla definizione delle carenze strutturali, quindi, delle vulnerabilità specifiche [1]. Rappresentando queste ultime le predisposizioni di un‘architettura o di suoi elementi, nello stato attuale, a subire un danno a fronte di determinate sollecitazioni, la loro definizione, come fattori moltiplicatori e condizionanti del danneggiamento, sostanzia un obiettivo preliminare e prioritario della conservazione. La trattazione delle strutture lignee portate (cassettonati e incannucciate), limitatamente alle realizzazioni in cameracanne, solo di recente, inoltre, ha trovato spazio nella ricerca scierntifica [2]. L‘analisi degli apparati materici tradizionali e la ricostruzione dei trattamenti che, dagli anni Ottanta ad oggi, ne hanno contrassegnato recupero e salvaguardia documentano allora manualità e accorgimenti di un patrimonio che, ad eccezione delle superfici intradossali, é stato generalmente sacrificato dalla prassi restaurativa, sebbene testimonianza preziosa di una cultura costruttiva avvezza ai dissesti di origine dinamica, la comprensione della quale risulta imprescindibile ad una lettura storica efficace. Le componenti e i materiali tradizionali più poveri - intonaci, impasti, elementi lignei, etc. - nella pratica comune dell‘ultimo ventennio del Novecento hanno costantemente subito rifacimenti estesi e manomissioni significative, quanto meno, di apparecchi e strutture, dedicando ai soli eventuali apparati figurativi pregiati le dinamiche di salvaguardia. Non diversamente da quanto accaduto con il sisma friulano del1976, ciò si é verificato anche negli interventi seguiti agli eventi del 1980-81, dove il rifacimento anche con materiali e procedure diverse di coperture, orizzontamenti e incannucciate ha comportato la perdita di un ricco repertorio di soluzioni e varianti del quale, se si eccettuano le riprese fotografiche, si é autorizzato il sacrificio senza alcuna preventiva documentazione [3]. L‘ampiezza dell‘area investita dai terremoti 23 novembre 1980 e 14 febbraio 1981 e la consistenza del patrimonio culturale danneggiato evidenziarono, fin da subito, l‘inadeguatezza dell‘Amministrazione ordinaria. Per potenziarne l‘azione, il 4 luglio 1981 il Ministro Scotti istituì tre nuovi uffici campani, trasformati in Soprintendenze con la L. 456 dell‘8 agosto 1981. Si attivarono così le Soprintendenze per i Beni ambientali, architettonici e artistici delle provincie di Caserta e Benevento, quella archeologica di Pompei e, nella zona più colpita, la Soprintendenza per i Beni ambientali, architettonici e artistici delle provincie di Salerno e Avellino, che andarono ad affiancare le Amministrazioni vigenti [4]. Esperienze e applicazioni dirette dall‘Ente competente per la riparazione dei danni nei comparti casertano e beneventano, in un contesto segnato, cioè, da crolli parziali reiterati e quadri fessurativi diffusi, in riferimento ad una tipologia architettonica precisa, quella chiesastica, che per la peculiare conformazione, ben più di altre, concentra vulnerabilità e danneggiamenti proprio nelle coperture e negli orizzontamenti sottostanti, é sembrato allora uno spaccato adeguato agli intenti proposti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.