Nato per confutare il perduto “Elogio della chioma” di Dione di Prusa, questo breve scritto polemico sarcasticamente respinge ad uno ad uno gli argomenti a sostegno di una folta capigliatura e, con brillanti paradossi, giunge – addirittura – ad esaltare la calvizie. Quando al dramma della caduta dei capelli – di cui cerca faticosamente di farsene una ragione – si aggiunge la beffa di uno scritto polemico (che riaccende un dolore mai del tutto sopito), Sinesio si trova costretto a combattere su due fronti, quello della natura e quello della cultura. Decide così di accettare una sfida davvero difficile: difendere la calvizie e far vergognare i capelluti richiede, infatti, una sottigliezza d’ingegno e un’abilità retorica di gran lunga superiore a quella del suo zazzeruto antagonista. E tuttavia il vescovo-filosofo, convinto del fatto che capelli e intelligenza difficilmente possano coesistere (com’è dimostrato dal fatto che gli animali generalmente ritenuti più stupidi sono anche i più pelosi), ci presenta una serie infinita di argomentazioni – talvolta ai limiti del paradosso – che, facendo arrossire ogni capellone, ci convincono della bontà delle sue tesi. L’uso persuasivo e raffinatissimo della parola, insieme al costante richiamo ai classici (da Omero a Pindaro, da Aristotele a Tolomeo, da Tucidide ad Arriano) fanno di questo libello di Sinesio di Cirene un’armoniosa sintesi di artificio retorico e cultura filosofica degna della migliore tradizione sofistica. Al testo sinesiano fa da premessa un breve excursus autobiografico del curatore che, prendendo le mosse dall’historia suae pilosae calamitatis, offre al curioso lettore un breve compendio storico-antropologico dell’umana calvizie.
Elogio della calvizie
CESARO, Antimo
2014
Abstract
Nato per confutare il perduto “Elogio della chioma” di Dione di Prusa, questo breve scritto polemico sarcasticamente respinge ad uno ad uno gli argomenti a sostegno di una folta capigliatura e, con brillanti paradossi, giunge – addirittura – ad esaltare la calvizie. Quando al dramma della caduta dei capelli – di cui cerca faticosamente di farsene una ragione – si aggiunge la beffa di uno scritto polemico (che riaccende un dolore mai del tutto sopito), Sinesio si trova costretto a combattere su due fronti, quello della natura e quello della cultura. Decide così di accettare una sfida davvero difficile: difendere la calvizie e far vergognare i capelluti richiede, infatti, una sottigliezza d’ingegno e un’abilità retorica di gran lunga superiore a quella del suo zazzeruto antagonista. E tuttavia il vescovo-filosofo, convinto del fatto che capelli e intelligenza difficilmente possano coesistere (com’è dimostrato dal fatto che gli animali generalmente ritenuti più stupidi sono anche i più pelosi), ci presenta una serie infinita di argomentazioni – talvolta ai limiti del paradosso – che, facendo arrossire ogni capellone, ci convincono della bontà delle sue tesi. L’uso persuasivo e raffinatissimo della parola, insieme al costante richiamo ai classici (da Omero a Pindaro, da Aristotele a Tolomeo, da Tucidide ad Arriano) fanno di questo libello di Sinesio di Cirene un’armoniosa sintesi di artificio retorico e cultura filosofica degna della migliore tradizione sofistica. Al testo sinesiano fa da premessa un breve excursus autobiografico del curatore che, prendendo le mosse dall’historia suae pilosae calamitatis, offre al curioso lettore un breve compendio storico-antropologico dell’umana calvizie.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.