Il notevole complesso architettonico e ambientale che va sotto il nome di Villa Rufolo a Ravello è certamente una delle maggiori testimonianze monumentali di cui il territorio campano può andare orgoglioso. Numerose sono le motivazioni che giustificano la monografia. Innanzitutto, constatare che le ipotesi finora formulate circa la configurazione, l’articolazione e l’estensione della fabbrica sono state fondate prevalentemente su testimonianze letterarie, piuttosto che su evidenze archeologiche e architettoniche, dando cioè l’impressione, a chi guardasse alla sussistenza del monumento, che tutta una serie di aspetti, assai estesi della struttura, fossero sostanzialmente trascurati. Inoltre, l’assenza di indagini archivistiche sulle vicende che hanno interessato il complesso, relativamente ai passaggi di proprietà, ai più o meno lunghi abbandoni ed alle trasformazioni subite nel corso dei sei secoli circa intercorsi tra la sua costruzione e l’acquisto, operato nel 1851, da Francis Nevile Reid. L’interesse della storiografia precedente si è appuntato sulle parti ritenute con certezza del XIII secolo, ignorando o quasi il nucleo centrale del palazzo, «inquinato» da successive stratificazioni, comprendente il grande salone, vero fulcro della dimora, ed il lungo volume residenziale affacciante verso sud-est. Similmente è stato rilevato il mancato accertamento della portata del restauro ottocentesco, effettuato dall’architetto Michele Ruggiero, quasi come se quest’esperienza contasse poco nella vicenda complessiva della residenza. I dati della ricerca, dunque, che, attraverso l’individuazione di inediti documenti di archivio, ha consentito, tra l’altro, di: precisare i passaggi di proprietà del palazzo tra il XVI ed il XIX secolo; hanno permesso di accertare che il crollo del patio si è verificato, non già nel XVIII secolo come si è finora ritenuto, ma che era da anticipare di circa un secolo con le inevitabili implicazioni che tale acquisizione comporta; così come hanno richiesto di collocare tra il tardo XVII ed il primo XVIII secolo la costruzione delle strutture di rinforzo tuttora esistenti per le quali i pronunciamenti degli studiosi sono sempre stati, almeno sul dato cronologico, alquanto elusivi. Il lavoro prodotto è consistito, soprattutto, nella complessa e puntuale lettura materica dell’organismo, volta a cogliere effettivamente le varie parti della residenza ‘scoprendo’, in realtà, il vero ‘pezzo forte’ della casa ossia la galleria a cinque moduli estradossati a tutta altezza collocata su una preesistente cisterna e su ulteriore porzione di fabbrica. L’organica progettazione di questo spazio con la celebrata orchestazione del cosiddetto patio moresco e degli ambienti prossimi è stata colta come ulteriore addizione al primo nucleo della residenza da individuare nella porzione a monte di via dell’Annunziata e nei moduli della cosiddetta ‘sala da pranzo’ di Reid. Parimenti inedite appaiono le puntualizzazioni sui materiali e sulle tecniche di esecuzione delle note decorazioni in tufo grigio di Nocera, pertinenti non solo la celebre quinta del patio, ma anche tanti altri episodi del complesso per i quali gli autori, pur non escludendo una eventuale progettazione di provenienza alloctona riconoscono invece come autoctona la puntuale realizzazione dei manufatti, collegandola alle tante esperienze del territorio, esperienze che hanno dato lustro a quella che si è qualificata come vera e propria classe professionale richiesta anche da grandi cantieri europei: i maestri costruttori della valle Metelliana.

Villa Rufolo a Ravello. La Maison mauresque. L'organismo medievale, le trasformazioni moderne, i restauri contemporanei

CARILLO, Saverio;
2008

Abstract

Il notevole complesso architettonico e ambientale che va sotto il nome di Villa Rufolo a Ravello è certamente una delle maggiori testimonianze monumentali di cui il territorio campano può andare orgoglioso. Numerose sono le motivazioni che giustificano la monografia. Innanzitutto, constatare che le ipotesi finora formulate circa la configurazione, l’articolazione e l’estensione della fabbrica sono state fondate prevalentemente su testimonianze letterarie, piuttosto che su evidenze archeologiche e architettoniche, dando cioè l’impressione, a chi guardasse alla sussistenza del monumento, che tutta una serie di aspetti, assai estesi della struttura, fossero sostanzialmente trascurati. Inoltre, l’assenza di indagini archivistiche sulle vicende che hanno interessato il complesso, relativamente ai passaggi di proprietà, ai più o meno lunghi abbandoni ed alle trasformazioni subite nel corso dei sei secoli circa intercorsi tra la sua costruzione e l’acquisto, operato nel 1851, da Francis Nevile Reid. L’interesse della storiografia precedente si è appuntato sulle parti ritenute con certezza del XIII secolo, ignorando o quasi il nucleo centrale del palazzo, «inquinato» da successive stratificazioni, comprendente il grande salone, vero fulcro della dimora, ed il lungo volume residenziale affacciante verso sud-est. Similmente è stato rilevato il mancato accertamento della portata del restauro ottocentesco, effettuato dall’architetto Michele Ruggiero, quasi come se quest’esperienza contasse poco nella vicenda complessiva della residenza. I dati della ricerca, dunque, che, attraverso l’individuazione di inediti documenti di archivio, ha consentito, tra l’altro, di: precisare i passaggi di proprietà del palazzo tra il XVI ed il XIX secolo; hanno permesso di accertare che il crollo del patio si è verificato, non già nel XVIII secolo come si è finora ritenuto, ma che era da anticipare di circa un secolo con le inevitabili implicazioni che tale acquisizione comporta; così come hanno richiesto di collocare tra il tardo XVII ed il primo XVIII secolo la costruzione delle strutture di rinforzo tuttora esistenti per le quali i pronunciamenti degli studiosi sono sempre stati, almeno sul dato cronologico, alquanto elusivi. Il lavoro prodotto è consistito, soprattutto, nella complessa e puntuale lettura materica dell’organismo, volta a cogliere effettivamente le varie parti della residenza ‘scoprendo’, in realtà, il vero ‘pezzo forte’ della casa ossia la galleria a cinque moduli estradossati a tutta altezza collocata su una preesistente cisterna e su ulteriore porzione di fabbrica. L’organica progettazione di questo spazio con la celebrata orchestazione del cosiddetto patio moresco e degli ambienti prossimi è stata colta come ulteriore addizione al primo nucleo della residenza da individuare nella porzione a monte di via dell’Annunziata e nei moduli della cosiddetta ‘sala da pranzo’ di Reid. Parimenti inedite appaiono le puntualizzazioni sui materiali e sulle tecniche di esecuzione delle note decorazioni in tufo grigio di Nocera, pertinenti non solo la celebre quinta del patio, ma anche tanti altri episodi del complesso per i quali gli autori, pur non escludendo una eventuale progettazione di provenienza alloctona riconoscono invece come autoctona la puntuale realizzazione dei manufatti, collegandola alle tante esperienze del territorio, esperienze che hanno dato lustro a quella che si è qualificata come vera e propria classe professionale richiesta anche da grandi cantieri europei: i maestri costruttori della valle Metelliana.
2008
978-88-87111-68-2
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/161004
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