L'intento perseguito in questo saggio è guardare alla discrezionalità interpretativa del giudice muovendo da una prospettiva che non disgiunga, ma che tenti, al contrario, di collegare il profilo più strettamente ermeneutico, proprio dell’attività decisionale del giudice, a quello funzionale, legato, cioè, all’organizzazione del potere giudiziario. L’ambito della discrezionalità interpretativa del giudice è condizionato, infatti, non solo da strumenti e metodi ermeneutici che tradizione e cultura giuridiche gli consegnano, ma anche dalle regole organizzative con cui un dato sistema giuridico disciplina la funzione giurisdizionale. Partendo da tale evidenza, si è scelto di collocare il problema dell’attività interpretativa del giudice e dei margini della discrezionalità della stessa all’interno di una costellazione di questioni che, inevitabilmente, influenzano quell'attività, quali il vincolo del giudice al diritto, la certezza e la prevedibilità, il pluralismo delle fonti, il rispetto del precedente o la possibilità di prescindere da esso. Così posto, il problema della discrezionalità interpretativa del giudice è non solo teorico, logico e ermeneutico, ma anche strettamente connesso alla posizione istituzionale del giudice. Il saggio muove, in altri termini, dalla consapevolezza che l’interpretazione non è soltanto questione di attribuzione o “scoperta” del significato di un testo, o di individuazione del più adeguato metodo interpretativo o, ancora, del migliore modello di razionalità possibile, bensì anche questione di allocazione di poteri. Di fronte a quel grado di “creatività” (inevitabile e necessaria, in quanto connaturata all'attiva interpretativa) delle decisioni giurisdizionali, il rispetto dell'obbligo costituzionale di motivazione appare l'unica garanzia utile a circoscrivere e giustificare la discrezionalità insita nel momento interpretativo del diritto. Parole chiave
il giudice è soggetto soltanto al "diritto". Contributo allo studio dell'articolo 101, comma 2 della Costituzione italiana
BIFULCO, Daniela
2008
Abstract
L'intento perseguito in questo saggio è guardare alla discrezionalità interpretativa del giudice muovendo da una prospettiva che non disgiunga, ma che tenti, al contrario, di collegare il profilo più strettamente ermeneutico, proprio dell’attività decisionale del giudice, a quello funzionale, legato, cioè, all’organizzazione del potere giudiziario. L’ambito della discrezionalità interpretativa del giudice è condizionato, infatti, non solo da strumenti e metodi ermeneutici che tradizione e cultura giuridiche gli consegnano, ma anche dalle regole organizzative con cui un dato sistema giuridico disciplina la funzione giurisdizionale. Partendo da tale evidenza, si è scelto di collocare il problema dell’attività interpretativa del giudice e dei margini della discrezionalità della stessa all’interno di una costellazione di questioni che, inevitabilmente, influenzano quell'attività, quali il vincolo del giudice al diritto, la certezza e la prevedibilità, il pluralismo delle fonti, il rispetto del precedente o la possibilità di prescindere da esso. Così posto, il problema della discrezionalità interpretativa del giudice è non solo teorico, logico e ermeneutico, ma anche strettamente connesso alla posizione istituzionale del giudice. Il saggio muove, in altri termini, dalla consapevolezza che l’interpretazione non è soltanto questione di attribuzione o “scoperta” del significato di un testo, o di individuazione del più adeguato metodo interpretativo o, ancora, del migliore modello di razionalità possibile, bensì anche questione di allocazione di poteri. Di fronte a quel grado di “creatività” (inevitabile e necessaria, in quanto connaturata all'attiva interpretativa) delle decisioni giurisdizionali, il rispetto dell'obbligo costituzionale di motivazione appare l'unica garanzia utile a circoscrivere e giustificare la discrezionalità insita nel momento interpretativo del diritto. Parole chiaveI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.