In questi ultimi anni la riflessione in ambito accademico è divenuta più pressante anche per la riformulazione dei percorsi formativi attraverso la formula del 3+27, dovendosi ripensare i curricula formativi delle lauree triennali, ormai quasi del tutto definiti in gran parte delle sedi universitarie, e delle lauree specialistiche, in via di definizione, in molte facoltà. Accanto al ripensamento di percorsi formativi più tradizionali, alcune sedi hanno avuto l’occasione di avviare altri corsi di laurea specifici come quello in Urbanistica e Scienze della Pianificazione Territoriale e Ambientale inaugurato con l’anno accademico 2002-2003 presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II8. In questi momenti ogni disciplina fa il punto della situazione sullo stato dell’arte. Ciò sta avvenendo anche per il nostro settore, che negli ultimi anni9 si è interrogato sul ruolo delle discipline della pianificazione e sul loro contributo alla formazione dei futuri ingegneri, architetti e pianificatori10. Il tutto reso ancora più urgente anche dalla ridefinizione dell’ordinamento degli Albi professionali11 e della loro suddivisione nelle sezioni A e B, rispettivamente per i laureati del percorso specialistico e per i laureati del percorso triennale. Nel discorso di prolusione all’Anno Accademico 1998-99, Bernardo Secchi propone un Viaggio di formazione nella città contemporanea, per riflettere sui futuri percorsi formativi12 accademici e avanza delle ipotesi su tre questioni principali: • i caratteri e i problemi della città contemporanea; • il ruolo del pianificatore nella risoluzione di alcuni di questi; • i saperi che tale ruolo dovrebbe mobilitare. In merito alla prima questione afferma che essa è ineludibile e affonda le radici in elementi a cui è difficile rinunciare, relativamente alla seconda evidenzia che essa è profondamente mutata e si deve dedicare attenzione alla formazione tecnica e culturale di chi in modi decentrati e dispersi agisce sulla modificazione e trasformazione dei territori della contemporaneità, per la terza questione propone un abbandono della concezione ottocentesca delle relazioni tra i diversi saperi, dopo la crisi epistemologica dei decenni scorsi: Affrontare queste questioni richiede uno sforzo iniziale, semplice e allo stesso tempo difficile. Richiede che ci si chini sui caratteri della città e del territorio contemporanei privi di qualsiasi nostalgia per il passato, mossi da una forte curiosità e dal desiderio di comprendere13. In verità, già anche in altri momenti storici operazioni simili erano avvenute: è opportuno ricordare in particolare alcuni studi che hanno rappresentato dei riferimenti. Il primo fu condotto nel 1950 dall’INU, che promosse un convegno nazionale sull’insegnamento dell’Urbanistica e pubblicò, a cura di Astengo, Vernetto e Turin, un volumetto con i dati raccolti dalla rivista Urbanistica. Il secondo si deve a Luigi Dodi che, pubblicato nel 1967 con il titolo Sull’insegnamento dell’Urbanistica, presentava i risultati di un’indagine condotta presso istituti universitari e altri enti culturali d’Europa e d’America, nella cui prefazione si leggeva: il problema di una definizione dell’Urbanistica, dei suoi compiti, deisuoi contenuti, delle sue estensioni è vivo quanto mai. Altrettanto vivo è, naturalmente, il problema dell’insegnamento della disciplina, che assume aspetti diversi nei vari Paesi e da oltre vent’anni forma oggetto di discussioni, di studi e di proposte di riforma. L’indagine è stata condotta presso numerose e importanti scuole superiori europee ed americane vuole recare un contributo alla migliore conoscenza degli attuali orientamenti didattici in un momento come l’attuale di profonde trasformazioni nel campo della vita associata14. Il terzo è dell’IPIGET (Istituto per la Pianificazione e la Gestione del Territorio del CNR) e fu pubblicato nel 1986 con il titolo La formazione professionale in Italia: Scuole e corsi post-laurea nei settori dell’Habitat e dell’Urbanistica; tale documento, sulla falsa riga degli analoghi repertori francese, tedesco e inglese, nati sotto l’egida del Carrefour International de Formation, restituiva il quadro delle strutture e dei corsi post-universitari organizzati nell’ambito dei settori legati all’Habitat e alla Pianificazione Urbana. La dissoluzione del quadro di certezze tecniche che rappresentava lo specifico disciplinare e offriva con la sua cassetta degli attrezzi la soluzione alle questioni che venivano poste ai professionisti dell’Urbanistica, può essere letta come un’ulteriore fase di crescita della disciplina, verso la tesaurizzazione di teorie e tecniche innovative che via via si affiancano e/o sostituiscono quelle tradizionali arricchendone il patrimonio scientifico e operativo in vista di nuove ed emergenti domande di territorio poste dalle comunità insediate.

TEORIA E TECNICA NELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA. Tradizione e innovazione. Documenti per un dibattito

Losco S
2003

Abstract

In questi ultimi anni la riflessione in ambito accademico è divenuta più pressante anche per la riformulazione dei percorsi formativi attraverso la formula del 3+27, dovendosi ripensare i curricula formativi delle lauree triennali, ormai quasi del tutto definiti in gran parte delle sedi universitarie, e delle lauree specialistiche, in via di definizione, in molte facoltà. Accanto al ripensamento di percorsi formativi più tradizionali, alcune sedi hanno avuto l’occasione di avviare altri corsi di laurea specifici come quello in Urbanistica e Scienze della Pianificazione Territoriale e Ambientale inaugurato con l’anno accademico 2002-2003 presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II8. In questi momenti ogni disciplina fa il punto della situazione sullo stato dell’arte. Ciò sta avvenendo anche per il nostro settore, che negli ultimi anni9 si è interrogato sul ruolo delle discipline della pianificazione e sul loro contributo alla formazione dei futuri ingegneri, architetti e pianificatori10. Il tutto reso ancora più urgente anche dalla ridefinizione dell’ordinamento degli Albi professionali11 e della loro suddivisione nelle sezioni A e B, rispettivamente per i laureati del percorso specialistico e per i laureati del percorso triennale. Nel discorso di prolusione all’Anno Accademico 1998-99, Bernardo Secchi propone un Viaggio di formazione nella città contemporanea, per riflettere sui futuri percorsi formativi12 accademici e avanza delle ipotesi su tre questioni principali: • i caratteri e i problemi della città contemporanea; • il ruolo del pianificatore nella risoluzione di alcuni di questi; • i saperi che tale ruolo dovrebbe mobilitare. In merito alla prima questione afferma che essa è ineludibile e affonda le radici in elementi a cui è difficile rinunciare, relativamente alla seconda evidenzia che essa è profondamente mutata e si deve dedicare attenzione alla formazione tecnica e culturale di chi in modi decentrati e dispersi agisce sulla modificazione e trasformazione dei territori della contemporaneità, per la terza questione propone un abbandono della concezione ottocentesca delle relazioni tra i diversi saperi, dopo la crisi epistemologica dei decenni scorsi: Affrontare queste questioni richiede uno sforzo iniziale, semplice e allo stesso tempo difficile. Richiede che ci si chini sui caratteri della città e del territorio contemporanei privi di qualsiasi nostalgia per il passato, mossi da una forte curiosità e dal desiderio di comprendere13. In verità, già anche in altri momenti storici operazioni simili erano avvenute: è opportuno ricordare in particolare alcuni studi che hanno rappresentato dei riferimenti. Il primo fu condotto nel 1950 dall’INU, che promosse un convegno nazionale sull’insegnamento dell’Urbanistica e pubblicò, a cura di Astengo, Vernetto e Turin, un volumetto con i dati raccolti dalla rivista Urbanistica. Il secondo si deve a Luigi Dodi che, pubblicato nel 1967 con il titolo Sull’insegnamento dell’Urbanistica, presentava i risultati di un’indagine condotta presso istituti universitari e altri enti culturali d’Europa e d’America, nella cui prefazione si leggeva: il problema di una definizione dell’Urbanistica, dei suoi compiti, deisuoi contenuti, delle sue estensioni è vivo quanto mai. Altrettanto vivo è, naturalmente, il problema dell’insegnamento della disciplina, che assume aspetti diversi nei vari Paesi e da oltre vent’anni forma oggetto di discussioni, di studi e di proposte di riforma. L’indagine è stata condotta presso numerose e importanti scuole superiori europee ed americane vuole recare un contributo alla migliore conoscenza degli attuali orientamenti didattici in un momento come l’attuale di profonde trasformazioni nel campo della vita associata14. Il terzo è dell’IPIGET (Istituto per la Pianificazione e la Gestione del Territorio del CNR) e fu pubblicato nel 1986 con il titolo La formazione professionale in Italia: Scuole e corsi post-laurea nei settori dell’Habitat e dell’Urbanistica; tale documento, sulla falsa riga degli analoghi repertori francese, tedesco e inglese, nati sotto l’egida del Carrefour International de Formation, restituiva il quadro delle strutture e dei corsi post-universitari organizzati nell’ambito dei settori legati all’Habitat e alla Pianificazione Urbana. La dissoluzione del quadro di certezze tecniche che rappresentava lo specifico disciplinare e offriva con la sua cassetta degli attrezzi la soluzione alle questioni che venivano poste ai professionisti dell’Urbanistica, può essere letta come un’ulteriore fase di crescita della disciplina, verso la tesaurizzazione di teorie e tecniche innovative che via via si affiancano e/o sostituiscono quelle tradizionali arricchendone il patrimonio scientifico e operativo in vista di nuove ed emergenti domande di territorio poste dalle comunità insediate.
2003
978-88-95315-28-7
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/159915
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