Sviluppatosi ad occidente della città di Napoli, il borgo di Chiaia ha rappresentato una straordinaria anomalia nel quadro delle trasformazioni urbane partenopee, luogo residenziale per eccellenza celebrato fin dall'antichità per salubrità e posizione paesaggistica. Durante gli oltre due secoli di viceregno l'area si affermerà quale sede di nuovi ordini religiosi e della più recente nobiltà, terreno assai fertile per la sperimentazione di quegli interventi che portarono, poi, al ridisegno della capitale borbonica. Se l'utilizzo pubblico della bastionata a mare e il passeggio alberato lungo la spiaggia rappresentarono, alla fine del Seicento, i primi tentativi di aprire la città ad occidente, solamente la demolizione della porta vicereale e la realizzazione della Villa Reale rappresenteranno i risultati più interessanti del vivace dibattito tardo settecentesco, i cui esiti proseguirono anche durante il secolo successivo. Specchio di una capitale moderna e funzionale, qui troveranno una felice applicazione le rettifiche stradali, l'allineamento delle cortine edilizie e il ridisegno dei prospetti sulla scorta dei principi di "comodo e abbellimento" tanto celebrati dai contemporanei, ma che incisero ben poco su di un tessuto ancora disomogeneo per dotazioni infrastrutturali e qualità architettoniche. "Non perfettamente città, né del tutto campagna", ancora alla metà del XIX secolo il quartiere manteneva ancora inalterate le caratteristiche di borgo, tanto che solamente il tracciamento della "strada delle colline" avrebbe garantito nuovi collegamenti e lo sfruttamento di un vasto territorio ancora in gran parte inedificato, immaginato già negli anni precedenti l'Unità quale zona d'ampliamento dalle spiccate valenze residenziali. Premessa ai successivi interventi inclusi poi nei piani di ampliamento tardo ottocenteschi in nome di una pubblica utilità solo presunta, questa operazione offrì in realtà un'ampia disponibilità di suoli edificabili alle società immobiliari nazionali, portando alla definitiva trasformazione del quartiere che più di ogni altro aveva mantenuto uno straordinario equilibrio tra dimensione urbana e paesaggio rurale.

Come una città separata. Chiaia da borgo extramoenia a quartiere borghese.

PIGNATELLI SPINAZZOLA, Giuseppe
2014

Abstract

Sviluppatosi ad occidente della città di Napoli, il borgo di Chiaia ha rappresentato una straordinaria anomalia nel quadro delle trasformazioni urbane partenopee, luogo residenziale per eccellenza celebrato fin dall'antichità per salubrità e posizione paesaggistica. Durante gli oltre due secoli di viceregno l'area si affermerà quale sede di nuovi ordini religiosi e della più recente nobiltà, terreno assai fertile per la sperimentazione di quegli interventi che portarono, poi, al ridisegno della capitale borbonica. Se l'utilizzo pubblico della bastionata a mare e il passeggio alberato lungo la spiaggia rappresentarono, alla fine del Seicento, i primi tentativi di aprire la città ad occidente, solamente la demolizione della porta vicereale e la realizzazione della Villa Reale rappresenteranno i risultati più interessanti del vivace dibattito tardo settecentesco, i cui esiti proseguirono anche durante il secolo successivo. Specchio di una capitale moderna e funzionale, qui troveranno una felice applicazione le rettifiche stradali, l'allineamento delle cortine edilizie e il ridisegno dei prospetti sulla scorta dei principi di "comodo e abbellimento" tanto celebrati dai contemporanei, ma che incisero ben poco su di un tessuto ancora disomogeneo per dotazioni infrastrutturali e qualità architettoniche. "Non perfettamente città, né del tutto campagna", ancora alla metà del XIX secolo il quartiere manteneva ancora inalterate le caratteristiche di borgo, tanto che solamente il tracciamento della "strada delle colline" avrebbe garantito nuovi collegamenti e lo sfruttamento di un vasto territorio ancora in gran parte inedificato, immaginato già negli anni precedenti l'Unità quale zona d'ampliamento dalle spiccate valenze residenziali. Premessa ai successivi interventi inclusi poi nei piani di ampliamento tardo ottocenteschi in nome di una pubblica utilità solo presunta, questa operazione offrì in realtà un'ampia disponibilità di suoli edificabili alle società immobiliari nazionali, portando alla definitiva trasformazione del quartiere che più di ogni altro aveva mantenuto uno straordinario equilibrio tra dimensione urbana e paesaggio rurale.
2014
978-88-495-2833-6
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