L’articolo affronta i complessi rapporti tra diritto dell’Unione europea e sistema penale prendendo le mosse due tematiche di attualità. Anzitutto, viene analizzata la portata del principio di non discriminazione: nell’originaria versione dei Trattati comunitari, il principio era confinato alla mera dimensione del divieto di atti discriminatori fondati sulla nazionalità, specie delle merci. Solo per effetto dei successivi sviluppi del diritto comunitario prima, dell’Unione poi, il principio si è progressivamente emancipato dalla sua originaria connotazione economicistica. Esso si inserisce oggi nelle classiche modalità di interferenza tra norme comunitarie stricto sensu intese e norme penali interne, che si organizza nelle due opposte direzioni dell’espansione e della neutralizzazione. In particolare, in termini di neutralizzazione, la non discriminazione comunitaria appare dotata di intrinseca forza cogente sull’operato del nostro legislatore, essendosi storicamente posta alla base di una amplissima serie di decisioni giudiziarie il cui effetto è stato il ritrarsi della penalità interna. L’altra questione affrontata – prendendo spunto dalla verifica di compatibilità comunitaria della fattispecie italiana del falso in bilancio ad opera della Corte di Giustizia – attiene ai controversi effetti in malam partem del diritto comunitario sul diritto penale interno, volendo con ciò indicare la più generale problematica di un eventuale contrasto tra norme penali interne e norme comunitarie dal quale possano discendere, in conseguenza di una disapplicazione da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria o di una dichiarazione di illegittimità costituzionale — eventualmente supportate da una pronuncia della Corte di giustizia in sede di ricorso interpretativo in via incidentale — effetti pregiudizievoli per il destinatario del precetto penale.

A Report on the Hindrances Between Community Law and Criminal Law: Neutralisation and Obligation of Incrimination

MANACORDA, Stefano
2007

Abstract

L’articolo affronta i complessi rapporti tra diritto dell’Unione europea e sistema penale prendendo le mosse due tematiche di attualità. Anzitutto, viene analizzata la portata del principio di non discriminazione: nell’originaria versione dei Trattati comunitari, il principio era confinato alla mera dimensione del divieto di atti discriminatori fondati sulla nazionalità, specie delle merci. Solo per effetto dei successivi sviluppi del diritto comunitario prima, dell’Unione poi, il principio si è progressivamente emancipato dalla sua originaria connotazione economicistica. Esso si inserisce oggi nelle classiche modalità di interferenza tra norme comunitarie stricto sensu intese e norme penali interne, che si organizza nelle due opposte direzioni dell’espansione e della neutralizzazione. In particolare, in termini di neutralizzazione, la non discriminazione comunitaria appare dotata di intrinseca forza cogente sull’operato del nostro legislatore, essendosi storicamente posta alla base di una amplissima serie di decisioni giudiziarie il cui effetto è stato il ritrarsi della penalità interna. L’altra questione affrontata – prendendo spunto dalla verifica di compatibilità comunitaria della fattispecie italiana del falso in bilancio ad opera della Corte di Giustizia – attiene ai controversi effetti in malam partem del diritto comunitario sul diritto penale interno, volendo con ciò indicare la più generale problematica di un eventuale contrasto tra norme penali interne e norme comunitarie dal quale possano discendere, in conseguenza di una disapplicazione da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria o di una dichiarazione di illegittimità costituzionale — eventualmente supportate da una pronuncia della Corte di giustizia in sede di ricorso interpretativo in via incidentale — effetti pregiudizievoli per il destinatario del precetto penale.
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