La ricerca è stata condotta con l’obiettivo di analizzare, attraverso le ‘rappresentazioni valutative del contesto’, realizzate a vario titolo nel corso dei secoli (XVI – XVIII), l’evoluzione dello ‘Stato di Caserta’. A partire dal 1511 quando, con la morte di Caterina della Ratta, l’importante ‘Stato’ feudale accresciuto nel corso di tre secoli, passò ad Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona che, il 29 luglio 1516 da Bruxelles, ne ricevette formale atto d'assenso da Carlo V. La politica feudale della Corona, perfettamente coincidente con l’interesse dei grandi baroni, era incline alla costituzione di corpora feudali realizzati, anche attraverso una disciplina successoria mortis causa strutturata sul presupposto della primogenitura maschile, in modo da assicurare in perpetuum il patrimonio alla famiglia. Questo corpus individuum, che con specifico riferimento agli iura di diritto pubblico era definito anche ‘status’, veniva conferito alle casate fedeli alla Corona, perseguendo una politica di frantumazione dei grandi patrimoni feudali detenuti dai baroni ostili e di successiva aggregazione “reductio in unum corpus” in stati feudali, con ampi poteri giurisdizionali, nelle mani di potenti Signori. Così, se da un lato si realizzava una parcellizzazione dei beni feudali attraverso la loro sottrazione a danno delle famiglie ostili, dall’altro si determinava un nuovo e certamente più ampio fenomeno di aggregazione di complessi patrimoni feudali. La posizione del duca d’Atri, analogamente a quella della ristretta cerchia di fidi vassalli del Regnum Siciliae citra Pharum, assunse rilievo primario nel governo del Regno, come si evince dalla clausola «pro bono pacis, stabilimento ac statu et quiete Regni» contenuta nell’atto di assenso alla proprietà feudale della contea di Caserta ed in molti privilegi di concessione o di assenso feudali. Base di partenza è stata l’accurata relazione ispettiva di Joan Vaguer del 9 ottobre 1532, stilata allo scopo di descrivere «i possedimenti feudali ritornati al fisco dopo gli avvenimenti del 1527-30, perché già in dominio di ribelli esclusi dall’amnistia concessa da Carlo V nel 1530», che è preziosa fonte di informazioni sulla condizione della Città di Caserta, alla quale sono seguiti i due catasti dello Stato di Caserta che offrono con estrema accuratezza l’unica descrizione socio-economica dello Stato di Caserta preborbonico, il primo, del 16 agosto 1635, redatto da Pietro de Marino, architetto e tavolario del Sacro Regio Consiglio, il secondo, del 27 giugno 1636, in revisione del precedente, curato da Francesco Serra, primario dei tavolari del Sacro Regio Consiglio. Queste minuziose descrizioni da un lato delineavano il profilo territoriale di Caserta e dall’altro testimoniavano gli assetti socio-istituzionali dello Stato feudale rappresentato nel momento di massima autonomia e di maggior floridezza, al quale seguirà circa un secolo di progressivo declino fino al dominio borbonico che, pur elevando il piccolo Stato alla gloria mundi - attraverso quegli interventi monumentali che ancor oggi ne caratterizzano l’essenza - ne interromperà ogni possibilità di autonomo sviluppo realizzando quel fenomeno di confusione tra Città e Palazzo, e quindi tra Caserta e la Capitale. Interessanti elementi emergono dai documenti di apprezzo dai quali emergono con chiarezza le tecniche utilizzate dai Tavolari per ‘forgiare’ al bisogno gli elementi descrittivi dai quali veniva desunto il valore dello ‘status’ feudale.

La rappresentazione del contesto per il 'sentire politico': lo 'Stato di Caserta'

TISCI, Antonio
2009

Abstract

La ricerca è stata condotta con l’obiettivo di analizzare, attraverso le ‘rappresentazioni valutative del contesto’, realizzate a vario titolo nel corso dei secoli (XVI – XVIII), l’evoluzione dello ‘Stato di Caserta’. A partire dal 1511 quando, con la morte di Caterina della Ratta, l’importante ‘Stato’ feudale accresciuto nel corso di tre secoli, passò ad Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona che, il 29 luglio 1516 da Bruxelles, ne ricevette formale atto d'assenso da Carlo V. La politica feudale della Corona, perfettamente coincidente con l’interesse dei grandi baroni, era incline alla costituzione di corpora feudali realizzati, anche attraverso una disciplina successoria mortis causa strutturata sul presupposto della primogenitura maschile, in modo da assicurare in perpetuum il patrimonio alla famiglia. Questo corpus individuum, che con specifico riferimento agli iura di diritto pubblico era definito anche ‘status’, veniva conferito alle casate fedeli alla Corona, perseguendo una politica di frantumazione dei grandi patrimoni feudali detenuti dai baroni ostili e di successiva aggregazione “reductio in unum corpus” in stati feudali, con ampi poteri giurisdizionali, nelle mani di potenti Signori. Così, se da un lato si realizzava una parcellizzazione dei beni feudali attraverso la loro sottrazione a danno delle famiglie ostili, dall’altro si determinava un nuovo e certamente più ampio fenomeno di aggregazione di complessi patrimoni feudali. La posizione del duca d’Atri, analogamente a quella della ristretta cerchia di fidi vassalli del Regnum Siciliae citra Pharum, assunse rilievo primario nel governo del Regno, come si evince dalla clausola «pro bono pacis, stabilimento ac statu et quiete Regni» contenuta nell’atto di assenso alla proprietà feudale della contea di Caserta ed in molti privilegi di concessione o di assenso feudali. Base di partenza è stata l’accurata relazione ispettiva di Joan Vaguer del 9 ottobre 1532, stilata allo scopo di descrivere «i possedimenti feudali ritornati al fisco dopo gli avvenimenti del 1527-30, perché già in dominio di ribelli esclusi dall’amnistia concessa da Carlo V nel 1530», che è preziosa fonte di informazioni sulla condizione della Città di Caserta, alla quale sono seguiti i due catasti dello Stato di Caserta che offrono con estrema accuratezza l’unica descrizione socio-economica dello Stato di Caserta preborbonico, il primo, del 16 agosto 1635, redatto da Pietro de Marino, architetto e tavolario del Sacro Regio Consiglio, il secondo, del 27 giugno 1636, in revisione del precedente, curato da Francesco Serra, primario dei tavolari del Sacro Regio Consiglio. Queste minuziose descrizioni da un lato delineavano il profilo territoriale di Caserta e dall’altro testimoniavano gli assetti socio-istituzionali dello Stato feudale rappresentato nel momento di massima autonomia e di maggior floridezza, al quale seguirà circa un secolo di progressivo declino fino al dominio borbonico che, pur elevando il piccolo Stato alla gloria mundi - attraverso quegli interventi monumentali che ancor oggi ne caratterizzano l’essenza - ne interromperà ogni possibilità di autonomo sviluppo realizzando quel fenomeno di confusione tra Città e Palazzo, e quindi tra Caserta e la Capitale. Interessanti elementi emergono dai documenti di apprezzo dai quali emergono con chiarezza le tecniche utilizzate dai Tavolari per ‘forgiare’ al bisogno gli elementi descrittivi dai quali veniva desunto il valore dello ‘status’ feudale.
2009
Tisci, Antonio
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/178066
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