L’umanità sta diventando sempre più urbana: sono previsti cinque miliardi e mezzo di cittadini per il 2025; in tutto il mondo, una persona su due oggi abita in città. In Europa, dove i territori rurali non si svuotano quasi più ed i cittadini ritornano a viverci nonostante il pendolarismo che ne consegue, la città e la campagna possono davvero continuare a contrapporsi? La campagna urbana non è semplicemente un luogo di passeggiate ai confini tra città e mondo rurale. Essa implica anche il ripensamento delle relazioni fra la città e la campagna. La campagna urbanizzata è caratterizzata da un tessuto edilizio contraddistinto da una densità medio bassa che diminuisce ulteriormente spostandosi verso i margini, dove il territorio rurale è fortemente compenetrato con la città così da rendere difficile la distinzione degli spazi e degli elementi urbani da quelli rurali. Il territorio rurale non va riguardato come uno vuoto da antropizzare ma come un sistema coniugato alla città in quanto sede di processi essenziali di produzione primaria, di salvaguardia della biodiversità, dei cicli ambientali e dei paesaggi. L’Urbanistica tradizionale si è concentrata sulla costruzione della città; ma si è da tempo consolidata la convinzione che anche il paesaggio agricolo necessita di una pianificazione. Sul versante della pianificazione delle aree non urbanizzate e/o agricole molte scelte sono state dettate negli ultimi anni dalle politiche comunitarie che sono state più attente alla programmazione economica senza troppo preoccuparsi della territorializzazione degli interventi previsti. Si può senza dubbio attribuire all’irruzione delle tematiche ambientali nella Pianificazione del Territorio l’aver evidenziato queste contraddizioni tanto sul versante urbanistico tanto su quello della pianificazione. La necessità di una dimensione ambientale della pianificazione fisica del territorio viene ormai imposta anche dalle direttive europee e dalle corrispondenti norme di recepimento nazionali e regionali. Tale pianificazione dovrebbe tendere proprio alla valorizzazione dei segni del paesaggio agricolo come elementi di identità di un luogo, alla promozione di tecniche di coltivazione tradizionali, all’utilizzo di energie alternative, all’insediamento di modelli e funzioni reversibili come la rotazione delle colture. C’è da riproporre il ruolo dello spazio agricolo quale patrimonio della metropoli. La definizione di questo ruolo non può essere affidata alle convenienze individuali dell’imprenditore agricolo privato, né può essere solo correlata alla capacità regolatrice della politica economica, che opera ad una scala troppo aggregata per tener conto delle singole situazioni territoriali. Se il fine ultimo è la difesa del patrimonio di spazi agricoli ancora disponibili, anche questo problema assume rilevanza. Come conservare questi spazi di natura? Come organizzare quartieri urbani i cui abitanti si approprino degli spazi agricoli come se fossero dei giardini pubblici in modo che la sola ipotesi futura di edificarli venga considerata un’eresia? La posta in gioco non è soltanto l’alimentazione dei cittadini bensì la qualità della vita urbana in città meno dense e meno compatte di quelle prodotte dai consueti processi di urbanizzazione. Certo, non tutte le forme di agricoltura sono adatte. Senza dubbio le forme agricole tradizionali e nostalgiche non sono le uniche possibili. Così, per inventare queste campagne ibride, prodotte da agricoltori che amano la città e hanno bisogno dei cittadini, è necessario concepire nuovi progetti di territorio: spazi-parco che accoglieranno i cittadini cui offriranno prodotti di qualità. Spazi in cui l’agricoltore-imprenditore capitalizzerà il suo sapere e i suoi introiti su suoli il cui destino non sarà quello di essere costruito ma quello di essere trasmesso ad altri agricoltori.

CAMPAGNE URBANIZZATE E PERIFERIE METROPOLITANE: Un Parco agricolo-urbano nell’area nord della provincia di Napoli

Losco S.
2012

Abstract

L’umanità sta diventando sempre più urbana: sono previsti cinque miliardi e mezzo di cittadini per il 2025; in tutto il mondo, una persona su due oggi abita in città. In Europa, dove i territori rurali non si svuotano quasi più ed i cittadini ritornano a viverci nonostante il pendolarismo che ne consegue, la città e la campagna possono davvero continuare a contrapporsi? La campagna urbana non è semplicemente un luogo di passeggiate ai confini tra città e mondo rurale. Essa implica anche il ripensamento delle relazioni fra la città e la campagna. La campagna urbanizzata è caratterizzata da un tessuto edilizio contraddistinto da una densità medio bassa che diminuisce ulteriormente spostandosi verso i margini, dove il territorio rurale è fortemente compenetrato con la città così da rendere difficile la distinzione degli spazi e degli elementi urbani da quelli rurali. Il territorio rurale non va riguardato come uno vuoto da antropizzare ma come un sistema coniugato alla città in quanto sede di processi essenziali di produzione primaria, di salvaguardia della biodiversità, dei cicli ambientali e dei paesaggi. L’Urbanistica tradizionale si è concentrata sulla costruzione della città; ma si è da tempo consolidata la convinzione che anche il paesaggio agricolo necessita di una pianificazione. Sul versante della pianificazione delle aree non urbanizzate e/o agricole molte scelte sono state dettate negli ultimi anni dalle politiche comunitarie che sono state più attente alla programmazione economica senza troppo preoccuparsi della territorializzazione degli interventi previsti. Si può senza dubbio attribuire all’irruzione delle tematiche ambientali nella Pianificazione del Territorio l’aver evidenziato queste contraddizioni tanto sul versante urbanistico tanto su quello della pianificazione. La necessità di una dimensione ambientale della pianificazione fisica del territorio viene ormai imposta anche dalle direttive europee e dalle corrispondenti norme di recepimento nazionali e regionali. Tale pianificazione dovrebbe tendere proprio alla valorizzazione dei segni del paesaggio agricolo come elementi di identità di un luogo, alla promozione di tecniche di coltivazione tradizionali, all’utilizzo di energie alternative, all’insediamento di modelli e funzioni reversibili come la rotazione delle colture. C’è da riproporre il ruolo dello spazio agricolo quale patrimonio della metropoli. La definizione di questo ruolo non può essere affidata alle convenienze individuali dell’imprenditore agricolo privato, né può essere solo correlata alla capacità regolatrice della politica economica, che opera ad una scala troppo aggregata per tener conto delle singole situazioni territoriali. Se il fine ultimo è la difesa del patrimonio di spazi agricoli ancora disponibili, anche questo problema assume rilevanza. Come conservare questi spazi di natura? Come organizzare quartieri urbani i cui abitanti si approprino degli spazi agricoli come se fossero dei giardini pubblici in modo che la sola ipotesi futura di edificarli venga considerata un’eresia? La posta in gioco non è soltanto l’alimentazione dei cittadini bensì la qualità della vita urbana in città meno dense e meno compatte di quelle prodotte dai consueti processi di urbanizzazione. Certo, non tutte le forme di agricoltura sono adatte. Senza dubbio le forme agricole tradizionali e nostalgiche non sono le uniche possibili. Così, per inventare queste campagne ibride, prodotte da agricoltori che amano la città e hanno bisogno dei cittadini, è necessario concepire nuovi progetti di territorio: spazi-parco che accoglieranno i cittadini cui offriranno prodotti di qualità. Spazi in cui l’agricoltore-imprenditore capitalizzerà il suo sapere e i suoi introiti su suoli il cui destino non sarà quello di essere costruito ma quello di essere trasmesso ad altri agricoltori.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11591/166615
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